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Poesie di tendenza

Poeti di tendenza

Ludovico Ariosto

Ludovico Ariosto (Reggio nell’Emilia, 8 settembre 1474 – Ferrara, 6 luglio 1533) è stato un poeta, commediografo, funzionario e diplomatico italiano, autore dell’Orlando furioso (1516-1521-1532). È considerato uno degli autori più celebri ed influenti del suo tempo. Le sue opere, il Furioso in particolare, simboleggiano una potente rottura degli standard e dei canoni dell’epoca. La sua ottava, definita “ottava d’oro”, rappresenta uno dei massimi della letteratura pre-illuminista. Biografia Ludovico Ariosto nacque a Reggio Emilia l’8 settembre del 1474, primo di dieci fratelli. Suo padre Niccolò, proveniente dalla nobile famiglia degli Ariosti, faceva parte della corte del duca Ercole I d’Este ed era comandante del presidio militare degli Estensi a Reggio Emilia. La madre, Daria Malaguzzi Valeri, era una nobildonna di Reggio.Ludovico dapprima intraprese, per volontà del padre, studi di legge a Ferrara, ma li abbandonò dopo poco tempo per concentrarsi pienamente negli studi umanistici sotto la guida del monaco agostiniano Gregorio da Spoleto. Ariosto seguì nel frattempo studi di filosofia presso l’Università di Ferrara, appassionandosi così anche alla poesia in volgare. Il fatto che il padre fosse funzionario della corte degli Estensi gli permise, fin dalla giovane età, di avere contatti con il mondo della corte, luogo della sua formazione letteraria e umanistica. Divenuto amico di Pietro Bembo, condivise con lui l’entusiasmo e la passione per le opere di Petrarca. Alla morte del padre, nel 1500, Ludovico si ritrovò a dover badare alla famiglia; nel 1502 si vide “costretto” ad accettare l’incarico di capitano della rocca presso Canossa ed è proprio qui che, da Maria, domestica che già aveva servito il padre, gli nasce Giambattista, il primogenito che Ludovico non sarà mai completamente convinto di dover riconoscere come proprio, contestando l’affidabilità di Maria. Successivamente, rientrato a Ferrara, non ancora trentenne diviene funzionario e viene assunto dal cardinale Ippolito d’Este (figlio di Ercole), per ottenere alcuni benefici ecclesiastici, facendosi poi chierico. Nel 1506 fu investito del beneficio della ricca parrocchia di Montericco (ora frazione di Albinea, in provincia di Reggio Emilia). Questa condizione gli spiacque molto: Ippolito era uomo avaro, ignorante e gretto; Ariosto stesso era divenuto un umile cortigiano, un ambasciatore, un “cavallaro”. Potrebbe meravigliare che l’Ariosto fosse addirittura “ cameriere “ alle dipendenze del Cardinale: in realtà questo termine deve essere inteso come cameriere segreto o come cameriere d’onore. In questo periodo, quindi, a causa delle faccende diplomatiche e politiche di cui doveva occuparsi, non ebbe tempo di dedicarsi alla letteratura. Nel 1509, a Ferrara, da un’altra domestica di casa Ariosto, Orsolina di Sassomarino, gli nasce un altro figlio, Virginio, che verrà poi legittimato e che seguirà le orme del padre. Il legame con Orsolina durò vari anni e fu importante per il poeta, che comprò alla madre del suo secondogenito una casa nella strada di San Michele, poi via del Turco. Nel 1513, dopo la morte del papa Giulio II della Rovere, venne eletto papa Leone X (Giovanni dei Medici), che aveva spesso manifestato stima e amicizia nei confronti dell’Ariosto. Il poeta considerava Roma il centro culturale italiano per eccellenza e decise così di recarsi alla curia papale con la speranza di trasferirvisi dopo aver ottenuto un incarico, ma invano. Intanto a Firenze Ariosto si innamorò di una donna, Alessandra Benucci, moglie del mercante Tito Strozzi, che frequentava la corte estense per affari. Successivamente, dopo essere rimasta vedova nel 1515, la donna si trasferì a Ferrara, iniziando una relazione con lo scrittore. L’Ariosto era stato sempre restio al matrimonio; pertanto si sposò solo dopo anni, in gran segreto per la paura di perdere i benefici ecclesiastici che gli erano stati concessi e con lo scopo di evitare che alla donna venisse revocata l’eredità del marito.Nel 1516 pubblicò la prima edizione dell’Orlando furioso, poema diviso in 40 canti, la cui stesura era iniziata 11 anni prima della pubblicazione. Lo dedicò al suo signore, il quale non lo apprezzò affatto. Quando nel 1517 Ippolito d’Este divenne vescovo di Agria (nome italiano per Eger, nell’Ungheria orientale), Ludovico si rifiutò di seguirlo, adducendo motivi di salute. In realtà le cause sono da ricercare nell’astio verso il cardinale, nell’amore per la sua Ferrara e in quello per la sua donna. Passò quindi al servizio di Alfonso. Anche questa si trattava di «servitù», ma «di minor disagio e probabilmente era più dignitosa». Nel 1522 Alfonso gli affidò l’arduo compito di governatore della Garfagnana, da poco annessa al Ducato, regione turbolenta, abitata da una popolazione fiera ed indomita poco avvezza al comando ed infestata da banditi, in cui l’ordine doveva essere mantenuto con la forza; in quest’occasione Ariosto dimostrò abilità politiche e pratiche. Pure queste attività gli erano invise perché gli impedivano di dedicarsi agli studi ed alla poesia. Dal 1525 tornò a Ferrara e passò i suoi ultimi anni tranquillamente, dedicandosi alla scrittura e alla messa in scena di alcune commedie e all’ampliamento dell’Orlando furioso. Rifiutò l’incarico di ambasciatore papale, spiegando che desiderava occuparsi delle sue opere e della famiglia.Nel 1532 Ariosto accompagnò Alfonso all’incontro a Mantova con l’imperatore Carlo V; al rientro a Ferrara, si ammalò di enterite e morì, dopo alcuni mesi di malattia, il 6 luglio 1533. Ludovico fu sepolto dapprima nella chiesa di San Benedetto a Ferrara e successivamente venne tumulato con grandi onori a Palazzo Paradiso. Il suo monumento funebre è opera dello scultore mantovano Alessandro Nani su disegno dell’architetto Giovan Battista Aleotti. Personalità Ariosto nelle sue opere lascia di sé l’immagine di uomo amante della vita sedentaria, tranquilla, scevra di atteggiamenti eroici.In realtà si tratta di un’immagine letteraria, di «una scelta matura e meditata». Per dovere o per scelta, egli viaggiò molto e dimostrò anche notevoli doti pratiche. Si è di fronte all’ultimo grande umanista e alla crisi dell’Umanesimo: Ariosto rappresenta ancora l’uomo nuovo che si pone al centro del mondo, il demiurgo che con l’arte plasma la realtà fantastica, ma non lo è nella sua vita sociale di umile cortigiano subordinato alla volontà di un signore. Opere Poesia lirica La produzione lirica di Ariosto viene suddivisa in due filoni: latino e volgare. Il primo degli anni della giovinezza comprende sessantasette opere ed ha importanza documentaria. Il secondo è formato da dieci opere originali ed importanti.Complessivamente la produzione lirica ariostesca comprende ottantasette componimenti (sonetti, madrigali, canzoni, egloghe e capitoli in terza rima). Le opere, non raccolte in un canzoniere organico, vennero pubblicate solo postume nel 1546. Ariosto viene influenzato dal modello petrarchesco riproposto dall’amico Pietro Bembo. Da questa scelta deriva la ricerca meticolosa del lessico e della metrica e la rilevanza del tema dell’amore.Risulta interessante la sua reinterpretazione umanistica. Mentre Bembo si discosta poco dai dettami petrarcheschi Ariosto li adatta ai canoni dell’Umanesimo, riferendosi costantemente ai classici latini come Tibullo, Properzio, Catullo e Orazio. Orlando furioso L’Orlando furioso è un poema cavalleresco in ottave, a schema ABABABCC, strutturato su 46 canti, per un totale di 38.736 versi nell’edizione definitiva del 1532. Vi sono state infatti due edizioni precedenti, scritte con una lingua più popolare e rozza. In particolare, una prima redazione dell’Orlando furioso, in 40 canti, era stata redatta nel 1515 e venne pubblicata nel 1516. La seconda edizione uscì nel 1521, caratterizzata da una lieve revisione linguistica.L’opera ha una trama molto stratificata che si sviluppa sostanzialmente su tre narrazioni principali: quella militare, costituita dalla guerra tra i paladini, difensori della religione cristiana, e i Saraceni infedeli; quella amorosa, incentrata sulla fuga di Angelica e sulla pazzia di Orlando, e infine quella encomiastica, con cui si lodava la grandezza dei duchi d’Este, dedicata invece alle vicende amorose tra la cristiana Bradamante e il saraceno Ruggiero.L’Orlando furioso si propone come il naturale prosieguo dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo; Ariosto continuò la narrazione proprio dove Boiardo la interruppe, facendo evolvere la vicenda amorosa tra Angelica e Orlando che, a causa del rifiuto dell’amata, diviene furioso, pazzo per amore.La lingua definitiva dell’Orlando furioso è ben diversa da quella delle edizioni precedenti. In principio il registro linguistico, ricco di termini toscani, padani e latineggianti, teneva conto delle espressività popolari, essendo più orientato a un pubblico ferrarese o padano. Fu solo dopo che Ariosto si rese conto della portata di capolavoro dell’opera si mirò a creare un modello linguistico italiano nazionale, secondo i canoni teorizzati da Pietro Bembo nelle sue Prose della volgar lingua. La revisione tuttavia non riguarda soltanto l’aspetto linguistico e stilistico, ma anche i contenuti: vi è l’aggiunta di diversi episodi significativi come quello di Olimpia (canti IX-XI) e soprattutto di Marganorre (XXXVII) fino a raggiungere l’attuale struttura di 46 canti. L’inserimento di questi episodi provocò anche una variazione degli equilibri strutturali. Infatti, l’episodio di Marganorre, feroce tiranno persecutore delle donne, funge da contrappeso a quello delle femmine omicide. Uno degli obiettivi di Ariosto è quello di invitare il lettore ad una riflessione sul reale. Uno dei procedimenti volti a questo è quello dello straniamento, che consiste in un cambiamento della prospettiva in modo da guardare l’argomento trattato con imparzialità, impedendo al lettore l’immedesimazione emotiva e invogliandolo ad un atteggiamento critico. Un simile effetto avviene soprattutto grazie all’intervento della voce narrante nel corso della narrazione. Ad esempio, nel I canto, quando Angelica afferma avanti a Sacripante di essere ancora vergine, la voce narrante commenta: «Forse era ver, ma non però credibile / a chi del senso suo fosse signore; / ma parve facilmente a lui possibile, / ch’era perduto in via più grave errore» Un commento del genere, inevitabilmente, costringe a riflettere sull’ambiguità dei personaggi e su ciò a cui si sta assistendo. Sempre volto alla riflessione sul reale, è il procedimento dell’abbassamento, consistente nell’abbassare appunto la dignità eroica dei suoi personaggi, riportandoli ad un livello comune e quotidiano. Evento maggiormente significativo è quando Orlando si rende conto dell’amore di Angelica con Medoro e il suo letto gli pare «più duro ch’un sasso, e più pungente / che se fosse d’urtica»: l’ortica ovviamente non rende grazie al personaggio di Orlando, tanto acclamato nella precedente generazione, ora viene, volutamente e non per semplice gioco parodico, svilito per riflettere sul comportamento degli uomini. Satire Le Satire sono l’opera ariostesca più apprezzata dalla storia dopo il Furioso. Si tratta di sette componimenti in terzine, scritti in forma di lettere indirizzate da Ariosto a parenti e amici realmente esistiti, plasmate secondo i canoni delle satire latine e in particolar modo secondo i canoni oraziani.I temi principali delle Satire riguardano la condizione dell’intellettuale cortigiano, il contrasto fra questa condizione e il desiderio di libertà personale, l’aspirazione ad una vita dedita allo studio lontana dall’avidità della corte e dalla corruzione della politica. L’atteggiamento di Ariosto è sì ironico, ma sempre pacato e tollerante, senza mai dar vita a situazioni polemiche. Questo non va confuso con un disinteresse nei confronti della realtà; al contrario, testimonia la sua capacità di osservazione, ottenuta dopo importanti esperienze personali in campo politico, seppur compiute controvoglia .Le Satire rappresentano in tutto e per tutto una pietra miliare della letteratura ariostesca e rinascimentale in genere, in quanto è apprezzabile quell’atteggiamento riflessivo, tanto caro ai letterati post 1494, che è sì presente anche nell’Orlando furioso, ma che appare in maniera più evidente grazie all’assenza della componente fiabesca e fantastica. Commedie * Di seguito vengono riportate le commedie prodotte da Ariosto: * La tragedia di Tisbe, perduta, 1493 (trattandosi di una tragedia di ispirazione ovidiana, sarebbe piuttosto da inserire in una più generica categoria dei testi drammatici); * La Cassaria, in prosa, 1508; * I Suppositi, in prosa, 1509; * Il Negromante, in versi, 1520; * La Lena, in versi, 1528; * Gli studenti, incompiuta, in versi, 1518-19. Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Ludovico_Ariosto

Francesco D'Addino

L'autore nasce a Monaco di Baviera ( Germania) il 3 luglio del 1987, da genitori calabresi e , dopo un'infanzia trascorsa fra l'Italia e la Baviera , nel 1994 la sua esistenza si stabilizza definitivamente in Calabria, dove compirà gli studi della propria formazione. All'età di 8/9 anni inizia a mostrare una particolare predilezione per l'arte figurativa ( il fumetto ) e successivamente nei primi anni dell'adolescenza , tale interesse si sposta su un altro canale espressivo, ovvero la scrittura e nella fattispecie la poesia, tant'è che nel 2019 pubblica una raccolta di poesie dal titolo " Pane al pane, vino al vino"©con una piccola casa editrice locale, contenente componimenti scritti fra il 2003 ed il 2018. Nel periodo pre- pandemia mette in ordine altri componimenti, racchiudendoli in una raccolta dal titolo "Crisalidi, amnesie di un giorno all'imbrunire"©; scritti che appariranno anche in ordine sparso su diverse antologie e su diverse riviste dedicate alla poesia. Negli anni, partecipa a numerosi concorsi di poesia , tant'è che in uno di questi, precisamente nel 2015 ( al Poetry slam Murazzi) è fra i dieci finalisti a livello regionale ( Calabria). Consegue presso l'Unical , nel 2013 la Laurea in Scienze dell'Educazione. Attualmente vive ancora nella casa in campagna, del paesino calabro della provincia di Cosenza e, a tutt'oggi l'autore trova la linfa necessaria per vivere nella potenza evocativa dell'arte e della poesia ; a suo modo di vedere "Madre rigenerante"dalle capacità curative.

Aldo Palazzeschi

Aldo Palazzeschi, pseudonimo di Aldo Pietro Vincenzo Giurlani (Firenze, 2 febbraio 1885 – Roma, 17 agosto 1974), è stato uno scrittore e poeta italiano, uno dei padri delle avanguardie storiche. Inizialmente firmò le sue opere col suo vero nome, e dal 1905 adottò come pseudonimo il cognome della nonna materna, appunto Palazzeschi. Dalla seconda attività conseguì una ricca produzione letteraria che gli diede fama di rango nazionale. Biografia Nacque da Alberto Giurlani e Amalia Martinelli in via Guicciardini a Firenze; per volontà del padre frequentò gli studi in ragioneria, dedicandosi poi all’arte e alla scrittura. Inizialmente si dedicò alla recitazione: nel 1902 si iscrisse alla regia scuola di recitazione “Tommaso Salvini”. Nelle compagnie teatrali conobbe anche Gabriellino, figlio di Gabriele D’Annunzio. Fu probabilmente proprio la passione teatrale a far sì che l’artista rinunciasse al suo cognome anagrafico assumendo uno pseudonimo. Infatti, il padre non vedeva di buon occhio il fatto che Palazzeschi si dedicasse alla recitazione, tanto meno se questa attività veniva praticata con il nome di famiglia. Con il tempo, Palazzeschi si staccò dall’attività teatrale per dedicare il suo lavoro alla poesia. Grazie all’appoggio finanziario della famiglia, fu in grado di pubblicare le sue raccolte a proprie spese. Fu così che nel 1905 pubblicò il primo libro di poesie, I cavalli bianchi, per un editore immaginario, Cesare Blanc (che in realtà era il nome del suo gatto) con una sede immaginaria in via Calimala 2, Firenze. Tra i componimenti spiccano Ara Mara Amara e Il Pappagallo. La raccolta avvicinava Palazzeschi al Crepuscolarismo tanto per lo stile quanto per i contenuti. Il libro fu recensito in modo positivo dal poeta Sergio Corazzini con il quale Palazzeschi iniziò una fitta corrispondenza, fino alla precoce morte del Corazzini avvenuta nel 1907. La recensione non ebbe però un seguito e il libro rimase praticamente sconosciuto. Dopo circa un anno, alla prima opera seguì Lanterna, che contiene la poesia Comare Coletta. In questa come nella precedente raccolta, i componimenti di Palazzeschi sono oscuri, fiabeschi e ricchi di simboli poco trasparenti. A dispetto della giovane età dell’artista, ricorre ripetutamente nelle poesie il riferimento alla morte, tema che percorre entrambe le raccolte allo stato latente. Altri motivi ricorrenti sono la malattia e la vecchiaia. Il metro è sempre lo stesso: si tratta del trisillabo, dunque di versi ternari, oppure di versi di 6, 9, 12 o più sillabe. La monotonia del ritmo si coniuga perfettamente alla staticità (spaziale e temporale) che caratterizza i due poemi d’esordio del poeta. Nel 1908 pubblicò, sempre presso l’immaginario editore Cesare Blanc, il suo primo romanzo di stile liberty dal titolo: riflessi, ricco di misticismo e religiosità decadenti per quanto concerne la prima parte, inaspettatamente fondato sul registro comico, della cronaca e del pettegolezzo mondano, per quanto riguarda la seconda.Seguì la terza raccolta Poemi, che avrebbe portato per la prima volta Palazzeschi ad un pubblico più ampio. In questa eterogenea opera ricordiamo Chi sono?, Habel Nasshab, nonché Rio Bo. Rispetto a quanto si poteva osservare nelle prime due raccolte, il tono è stavolta più solare. Alcune delle poesie sono inoltre legate tra di loro da una trama, la quale conferisce ai poemi un certo dinamismo. Il verso ternario e il senario ecc. sono ancora quelli privilegiati, ma il rigido schema metrico viene per la prima volta spezzato, in quanto ricorrono versi di tutte le lunghezze. Il gioco ritmico sul trisillabo viene ironicamente portato alle estreme conseguenze nella poesia della Fontana malata. Pare che con il tempo l’artista si attenga sempre di meno a canoni formali di qualsiasi natura. Anche se durante la prima produzione letteraria Palazzeschi gradiva il fatto di restare più o meno nell’anonimato, stavolta la raccolta non passerà inosservata. Il periodo futurista In seguito alla lettura di Poemi Filippo Tommaso Marinetti rimase entusiasta, convinto della creatività di Palazzeschi e alquanto compiaciuto dell’uso del verso libero: Palazzeschi fu dunque invitato a collaborare alla rivista “Poesia”. Pubblicherà la raccolta di poesie l’Incendiario, dedicato “A F.T. Marinetti anima della nostra fiamma”, preceduto dal Rapporto sulla vittoria futurista di Trieste. Nell’estate il volume venne sequestrato a Trento per gli accesi toni interventisti della prefazione. Nella raccolta si ritrova lo scherzoso componimento E lasciatemi divertire, dove il poeta si immagina di recitare la poesia davanti ad un pubblico costernato e scandalizzato. L’8 ottobre Palazzeschi si reca al Tribunale di Milano dove assiste al processo contro Filippo Tommaso Marinetti, accusato di oltraggio al pudore per il romanzo Mafarka il futurista. Il 1911 è l’anno del romanzo Il codice di Perelà. Nell’autunno del 1912 conobbe Ardengo Soffici e Giovanni Papini, impegnati nella preparazione di una nuova rivista (Lacerba) in polemica con Giuseppe Prezzolini, direttore de La Voce. Nel 1914 seguì il manifesto del Controdolore che era apparso in precedenza su Lacerba. Nel marzo del 1914 raggiunse Papini e Soffici a Parigi. Qui Palazzeschi entrò in contatto con artisti come Apollinaire, Léger, Modigliani, Max Jacob, Umberto Boccioni e Ungaretti, che gli mostrò alcune sue composizioni. Nella stessa occasione, in compagnia di Giovanni Papini, si recò nello studio parigino di Pablo Picasso. Palazzeschi iniziò dunque a collaborare intensivamente con il movimento futurista recandosi spesso a Milano e ripubblicando le sue poesie grazie all’appoggio ricevuto. È sorprendente il fatto che le antologie di poeti futuristi includessero anche diversi dei primi componimenti di Palazzeschi, che per il loro tono sommesso e statico erano in gran parte incompatibili con i toni vitali e dinamici dei marinettiani (soprattutto per quanto riguarda le poesie dei Cavalli bianchi). Il fatto che i futuristi abbiano spesso chiuso un occhio davanti a tutto ciò non fa che confermare che Palazzeschi aveva le carte in regola per arrivare ad un notevole successo. In ogni caso, l’interesse di Palazzeschi per il movimento del futurismo non lo portò mai a ricambiare pienamente l’entusiasmo che il gruppo nutriva nei suoi confronti, nonostante fu certamente abbacinato e sconvolto dalla vitalità straordinaria di Marinetti. Il 3 settembre del 1914 si trovò a Roma, in Piazza San Pietro, dove ebbe modo di ascoltare il messaggio di pace del nuovo papa, Benedetto XV. Alla vigilia della grande guerra, i nodi vennero al pettine: Palazzeschi si dichiarò neutrale giudicando retorico l’acceso interventismo che veniva propagandato dal movimento futurista dei marinettiani: Al momento della dichiarazione di guerra si riavvicinò alle posizioni dei compagni, consapevole della necessità del conflitto. Esordirà, infatti, su Lacerba del 22 maggio 1915 scrivendo: “Evviva questa guerra!”.In seguito, si sarebbe dedicato con profitto alla scrittura in prosa. Per quanto riguarda la poesia, alla vigilia della guerra Palazzeschi aveva ormai dato il meglio di sé. Si avvicinò all’ambiente de La Voce di Giuseppe De Robertis e iniziò a collaborare per la rivista. Richiamo alle armi e gli anni del fascismo Durante l’estate del 1916, pur essendo stato riformato alla visita militare, venne richiamato il 16 luglio e il 24 agosto alle armi come soldato del genio. Fu per poco tempo al fronte e in seguito di stanza a Firenze, a Roma e a Tivoli. Si ritrovano i ricordi di quel periodo nei suoi bozzetti di Vita militare e nel libro autobiografico Due imperi... mancati (1920). Durante gli anni del fascismo, Palazzeschi non partecipò alla cultura ufficiale nonostante gli sforzi intrapresi in questo senso da Filippo Tommaso Marinetti; compì qualche viaggio a Parigi e dal 1926 collaborò al Corriere della Sera. Nel 1921 pubblicò il suo primo libro di racconti, presso Vallecchi, Il re bello; nel 1926 uno “scherzo” iniziato nel 1912 dal titolo La piramide. Nel 1929 trovarono spazio su vari giornali e riviste, fra cui Pègaso, Pan e Il Selvaggio, novelle, saggi e ricordi. Fra il 1930 e il 1931 si recò più volte a Parigi dove ebbe modo di conoscere Filippo de Pisis, Georges Braque e Henri Matisse. Nel 1930 venne stampata dall’editore Preda a Milano l’edizione definitiva delle Poesie risistemate con alcune variazioni; frequentò i coniugi Prezzolini e conobbe Pirandello a casa Crémieux; nel 1931 pubblicò altri racconti su Pègaso e sulla Gazzetta del Popolo; apparve nella «Collezione Romantica» Mondadori, la sua traduzione di Tartarino di Tarascona di Alphonse Daudet. Nel 1932, abbandonate le veneri della stravaganza e dell’iconoclastica di matrice futurista, si riconciliò con le forme tradizionali pubblicando, su proposta di Ugo Ojetti, Stampe dell’Ottocento, prose di ricordi, che gli valse una menzione onorevole nell’assegnazione del Premio Mussolini. Nel 1933 collaborò con alcuni racconti alla terza pagina del settimanale Quadrivio di Telesio Interlandi. Nel 1934 fece parte della giuria del premio di poesia della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia e con Ungaretti e Riccardo Bacchelli della giuria dei Littoriali per la gioventù tenutisi a Firenze. Uscì presso Vallecchi il romanzo Sorelle Materassi, anticipato a puntate sulla Nuova Antologia diretta da Luigi Federzoni. Il romanzo, uscito in volume, fu recensito da Antonio Baldini sulla rivista Omnibus di Leo Longanesi: Per quanto concerne Palazzeschi, sempre schivo a rilasciare interviste, in occasione dell’uscita delle Sorelle Materassi ne concesse una alla Gazzetta del Popolo. Dopo aver riassunto la trama del romanzo, dichiarò: Nel 1937 collaborò con alcune novelle alla rivista Omnibus su invito del direttore Longanesi. Il 1937 fu altresì l’anno de Il palio dei buffi, seconda raccolta di novelle. Anni romani Il 13 agosto 1938 morì la madre e nell’ottobre del 1940 il padre di Palazzeschi. Il 15 ottobre 1939 scrisse sulla nuova rivista di Curzio Malaparte, Prospettive. A marzo è in Piazza San Pietro in occasione dell’elezione di Papa Pio XII. Nel 1941, si trasferì a Roma dove abiterà fino alla morte. Nello stesso anno, il racconto Don Giovanni e l’etèra, incluso nelle Stampe dell’800, appare tradotto in tedesco sulla rivista Europäische Revue del principe Karl Anton Rohan. Del 1945 è un altro libro autobiografico Tre imperi... mancati. Nel 1948 ottenne, ex aequo con Menzogna e sortilegio di Elsa Morante, il premio Viareggio per il romanzo I fratelli Cuccoli. . Tra il 1950 e il 1951, per dieci mesi, curò la rubrica cinematografica del settimanale Epoca. Nel 1953 presso Vallecchi pubblicò il romanzo Roma, per il quale Palazzeschi ricevette il Premio Marzotto. Nel 1954 uscirono nuove edizioni di Sorelle Materassi e de Il codice di Perelà, con il titolo L’uomo di fumo. A dicembre dello stesso anno fece parte con Marino Moretti della giuria del premio Alessandro Manzoni dell’Unione Editori Cattolici Italiani. Nel 1955 pubblicò presso Scheiwiller la raccolta di poesie Viaggio sentimentale. Collaborò al Corriere della Sera e a La Fiera Letteraria. Nel 1957 gli venne assegnato dall’Accademia Nazionale dei Lincei il premio Feltrinelli per la letteratura. Nel 1960 l’Università degli Studi di Padova gli conferì la laurea in lettere honoris causa. Nel 1964 pubblicò il libro autobiografico Il piacere della memoria. In agosto gli venne annunciato il conferimento da parte dell’ex sovrano Umberto II dell’Ordine civile di Savoia, che ricevette ufficialmente a Cascais il 15 settembre.Nel febbraio del 1965 presenziò alla conferenza “Con Gozzano e altri poeti nel salotto di Nonna Speranza” organizzata da Nino Tripodi. Nello stesso anno presiedette le giurie di vari premi tra cui quella del premio Nazionale d’arte Ardengo Soffici, a Prato, e quelle letterarie del premio Fiuggi, del premio Settembrini-Mestre e del premio Stradanova. Nel 1966 diede alle stampe gli Schizzi italofrancesi (All’insegna del pesce d’oro, Milano). In aprile uscì presso Mondadori la raccolta di novelle Il buffo integrale, che ottenne il premio Gabriele D’Annunzio. Nel 1967 le Nuovedizioni Enrico Vallecchi pubblicarono la raccolta di prose Ieri oggi e... non domani. Da Mondadori uscì in maggio il romanzo Il Doge. Nell’aprile del 1968 uscì da Mondadori la raccolta Cuor mio, in cui sono contenute le liriche composte a partire dal secondo dopoguerra. Nel 1969 fu l’anno del romanzo Stefanino (1969). Nel 1971 uscirono presso Mondadori il nuovo romanzo Storia di un’amicizia e l’antologia Poesie, a cura di Sergio Antonielli. A primavera ricevette dal sindaco di Roma il Premio della Simpatia, ideato dall’amico Domenico Pertica. Nel 1972 venne nominato membro onorario dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti. A febbraio l’Assemblea generale dei Soci dell’Accademia pisana dell’Arte-Sodalizio dell’Ussero lo nominò socio onorario. Nel mese di giugno apparve su Il Giornale d’Italia un suo articolo intitolato La simpatia. Supervisionò inoltre alla produzione dello sceneggiato televisivo Sorelle Materassi, messo in onda dalla Rai sempre nel 1972. Questo evento mediale fu di vasta portata: l’opera dell’artista, giunto ormai a tarda età, fece il suo ingresso in milioni di focolai domestici e diede un contributo tutt’altro che trascurabile alla fama del Palazzeschi romanziere. Lo stesso anno uscì nella collana Mondadori Lo Specchio la raccolta di poesie Via delle cento stelle, a proposito della quale Palazzeschi dichiarerà: Nel 1973 ricevette numerosi premi e riconoscimenti: il Perseo d’oro del C.O.F.A.T. 1973-1974, l’Ulivo d’oro per la poesia, la Grand Aigle d’or de la Ville de Nice al Festival International du Livre. In marzo il presidente Andreotti lo informò della nomina a componente della Commissione per il conferimento dei Premi della «Penna d’Oro» e del «Libro d’oro». Collaborò con Paolo Prestigiacomo al suo antico carteggio con Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato in seguito nel 1978. Un corteo di personaggi passa per la sua abitazione romana: riceve continuamente Prezzolini e sua moglie da Lugano e, da Venezia, il conte Cini e la contessa.; a Vittorio Cini l’autore si sarebbe ispirato per la figura del doge nel romanzo omonimo del 1967.Quando si stavano preparando i festeggiamenti per i suoi novant’anni e le riviste Il Verri e Galleria gli dedicavano un numero monografico, lo scrittore, per gravi condizioni seguite a un ascesso dentario trascurato, morì all’ospedale Fatebenefratelli, il 17 agosto alle 11. Poetica Originalità della sua poesia Palazzeschi, anche se nelle varie fasi della sua lunga attività di scrittore si è accostato ai movimenti contemporanei, ha sempre mantenuto la sua individualità e una particolare fisionomia. Anche quando egli, in un primo tempo, riprende i motivi crepuscolari e, in seguito, quelli futuristi, mantiene la sua originalità. I temi crepuscolari da lui ripresi sono infatti privi di languori eccessivi: se Palazzeschi ne ricalca certe situazioni, sostituisce però lo scherzo al sospiro e contamina il tono elegiaco con la presa in giro che conferisce alle sue liriche il carattere di divertimento.Analoghe considerazioni valgono per l’adesione di Palazzeschi ad altre correnti. Lo scrittore seguirà come detto per breve tempo il movimento futurista e nel dichiarare ufficialmente sulla rivista Lacerba, nel 1914, che non si considerava più un futurista dichiarerà apertamente la sua vocazione al gioco della fantasia e al riso: «bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride [...] Bisogna rieducare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente...». Questo atteggiamento fa sì che in Palazzeschi si ritrovino i temi e i toni più vari: dall’immagine più onirica alla risata beffarda, dal divertimento funambolesco alla canzonatura che non esclude, comunque, un che di affettuoso e completamente estraneo al futurismo. Sempre in tema di futurismo, si pensi all’originalità di liriche come Pizzicheria dove viene introdotto il dialogo tra il pizzicagnolo e il cliente. Per quanto riguarda La passeggiata, questa poesia non è altro che l’enumerazione delle diverse immagini, delle scritte pubblicitarie e dei numeri civici che l’io poetico immagina di osservare durante la passeggiata tra le vie di una città, passeggiata che ha dunque la funzione di una cornice. Con questi stravolgimenti, Palazzeschi sembra seguire i futuristi dei quali però non interessa né l’esaltazione del movimento, né l’attivismo politico, ma principalmente la distruzione delle tradizionali strutture. Narrativa Tutte queste posizioni sono facilmente riscontrabili nella sua narrativa che avrà, nell’opera di Palazzeschi, una parte prevalente. Una notevole prova viene data dall’autore già nel 1911 con Il codice di Perelà che è la storia di un inconsistente omino di fumo capitato nel nostro mondo. È questa una favola allegorica dove il divertimento non rimane solamente fantastico ma lascia il posto per l’irrisione, di matrice nietzscheana, dei valori codificati della nostra società che, visti attraverso il modo di vivere anticonformista di Perelà, risultano essere una denuncia della loro provvisorietà e credibilità. Anche nell’opera successiva, Piramide (scritta subito dopo ma pubblicata nel 1926) rimaniamo ancora nel campo della fantasticheria umoristica, mentre nelle Stampe dell’Ottocento del 1932 e in Sorelle Materassi del 1934, il tono cambia decisamente. Vengono in esse adottati moduli narrativi più tradizionali che richiamano, nella rappresentazione degli ambienti e dei personaggi, alla forma del bozzettismo toscano di fine Ottocento e una più soffusa interpretazione del programmatico E lasciatemi divertire che si avvia a toni di umana malinconia e comprensione. Su posizioni più tradizionali, si pone dunque la produzione successiva alla fase futurista. È il periodo del cosiddetto “ritorno all’ordine”, che viene generalmente distinto in due fasi: la prima è quella degli anni Trenta, coincidente con il romanzo Sorelle Materassi e le novelle Il Palio dei buffi; la seconda si distende lungo gli anni Quaranta e Cinquanta ed è rappresentata dai romanzi I fratelli Cuccoli e Roma. Nella prima la tradizione letteraria è accettata, ma sono evidenti elementi del programmatico E lasciatemi divertire; nella seconda il canone tradizionale è perfettamente rispettato e la carica dissacrante è totalmente assente. Chiudono la stagione narrativa dell’autore tre romanzi brevi: Il doge (1967), Stefanino (1969) e Storia di un’amicizia (1971), che presentano, soprattutto i primi due, un recupero delle strutture sperimentali riconducibili alla stagione del futurismo. Palazzeschi si diletta nel mettere alla berlina il conformismo della massa, la quale tende costantemente ad erigere feticci e idoli. I bersagli del Doge e di Stefanino sono in definitiva la credulità e la stupidità della folla. Del resto Palazzeschi, negli anni di stesura del Doge e di Stefanino – come si evince dal carteggio con lo scrittore Moretti – andava sempre più nutrendo diffidenza nei confronti della piccola e media borghesia, responsabile della congerie politica venuta ad affermarsi in quel frangente storico. Il doge è da considerarsi– stando alle parole dell’autore– anche come una riflessione sul mistero dell’esistenza: Saggistica Nel 1920 pubblica Due imperi ...mancati un pamphlet polemico sulla Prima guerra mondiale, accolto paradossalmente in senso favorevole da interventisti della prima ora come Ardengo Soffici e Giovanni Papini. In Due imperi... mancati Palazzeschi, accanto alle pagine dedicate alla vita in caserma, muove contro quanti hanno causato il conflitto, contrapponendo loro il pacifismo di Romain Rolland e Karl Marx ma al contempo anela a una società, decisamente utopica, una sorta di età dell’oro, in cui ogni uomo possa vivere, senza guerre, in pace, del suo lavoro. In conclusione affida i caduti del conflitto alla Madonna, recuperando la preghiera alla Vergine del Canto XXXIII del Paradiso.Del 1945 è Tre imperi ...mancati, seguito ideale del saggio precedente e testimonianza polemica ma anche melanconica della seconda guerra mondiale, in cui Palazzeschi ripercorre gli anni del fascismo e del secondo conflitto mondiale; «un libro conservatore, avverso all’economicismo marxista e aneddotico», ma fortemente critico nei confronti della dittatura appena trascorsa. Coerenza delle sue opere Una delle qualità che si evidenziano nella produzione di Palazzeschi è la coerenza del suo lavoro e il legame che esiste tra un’opera e l’altra. Pertanto anche in queste opere non si cade mai nel sentimentalismo elegiaco perché spesso le pagine sono percorse da sprazzi di riso. Ed è appunto questo amalgamarsi di sorriso e pietà, che non rinnega la vocazione al divertimento. Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Palazzeschi

Francesco D'Addino

L'autore nasce a Monaco di Baviera ( Germania) il 3 luglio del 1987, da genitori calabresi e , dopo un'infanzia trascorsa fra l'Italia e la Baviera , nel 1994 la sua esistenza si stabilizza definitivamente in Calabria, dove compirà gli studi della propria formazione. All'età di 8/9 anni inizia a mostrare una particolare predilezione per l'arte figurativa ( il fumetto ) e successivamente nei primi anni dell'adolescenza , tale interesse si sposta su un altro canale espressivo, ovvero la scrittura e nella fattispecie la poesia, tant'è che nel 2019 pubblica una raccolta di poesie dal titolo " Pane al pane, vino al vino"©con una piccola casa editrice locale, contenente componimenti scritti fra il 2003 ed il 2018. Nel periodo pre- pandemia mette in ordine altri componimenti, racchiudendoli in una raccolta dal titolo "Crisalidi, amnesie di un giorno all'imbrunire"©; scritti che appariranno anche in ordine sparso su diverse antologie e su diverse riviste dedicate alla poesia. Negli anni, partecipa a numerosi concorsi di poesia , tant'è che in uno di questi, precisamente nel 2015 ( al Poetry slam Murazzi) è fra i dieci finalisti a livello regionale ( Calabria). Consegue presso l'Unical , nel 2013 la Laurea in Scienze dell'Educazione. Attualmente vive ancora nella casa in campagna, del paesino calabro della provincia di Cosenza e, a tutt'oggi l'autore trova la linfa necessaria per vivere nella potenza evocativa dell'arte e della poesia ; a suo modo di vedere "Madre rigenerante"dalle capacità curative.

Roberto Antonio Gargiulo

Mi chiamo Roberto Antonio Gargiulo, sono nato il 18 gennaio del 1999 in una casa in provincia di Caserta. Il mio percorso artistico è iniziato nel 2002, quando avevo tre anni. Passavo il tempo ad osservare e poi disegnare con la matita tutto ciò che mi attirava. Ho scoperto da solo la prospettiva, e a sei anni mi è stato proposto di partecipare come uditore alle lezioni del Liceo Artistico di Santa Maria Capua Vetere. Intanto a cinque anni ho iniziato a studiare pianoforte. Alle medie sviluppai interesse per la recitazione e la composizione. Nello stesso periodo vivevo una forte crisi con il disegno, incompreso dagli insegnanti e insofferente nei confronti della matita. Per otto anni non ho più disegnato, se non piccoli e sporadici schizzi. Successivamente, durante gli anni del Liceo musicale a Capua, ho iniziato a nutrire interesse per la scrittura creativa, la poesia e la fotografia. Poi, libero dagli impegni scolastici, finalmente ho potuto studiare approfonditamente le varie discipline che mi avevano colpito negli anni precedenti. Nel 2017 mi sono iscritto all'Accademia di Belle Arti di Napoli, che lasciai dopo tre mesi per continuare gli studi da un maestro. Allo stesso tempo iniziai a studiare pianoforte al Conservatorio Cimarosa di Avellino (laureandomi nel 2020), e privatamente canto, composizione, recitazione e fotografia. Da autodidatta invece ho approfondito la poesia e la scrittura creativa. Il mio obiettivo artistico è quello di unire due o più arti in un'opera grande, nuova, variegata, completa: qualcosa che incarni l'universalità del nostro periodo storico globale. Credo che possa definirmi un "nomade" artistico, un viandante che cerca di avere quanti più strumenti possibili per esprimersi, in una continua ricerca interna e del mondo. A questo viaggio, progetto e concetto do il nome di Ars.

Rosita Matera

CANTA O DONNA Canta o donna la tua pagina di suoni racchiusi nelle conchiglie del tuo mare immenso. Sei nata da una costola ma sei sostegno di vita, nessuna come te sa lottare per amore. Non dimenticare la Verità che ti soffiò il Creatore nella natura dei tuoi petali come rosa mattutina. Non dimenticare la grazia femminile che culla la tua anima, in cui ti stendi quando cerchi le braccia della fragranza che ti vela. Non solchi mai il tuo volto di Luna nessuna lacrima di pianto, perché nelle mani hai una dose di pazienza con cui tessere lo scialle per proteggere il tuo mondo... BIOGRAFIA Rosita Matera nasce a Cerignola, in provincia di Foggia. La Puglia, regione che le ha dato i natali, ha influenzato non poco la sua formazione attraverso la schietta solarità della natura e le tradizioni legate a gesti semplici ma ricchi di significato. Da anni si dedica alla scrittura, pittura e fotografia d’autore. Ha studiato presso il Liceo classico “Nicola Zingarelli” di Cerignola. Insegnante di Informatica, ha frequentato l’ Università “Carlo Bo” di Urbino, completando il corso di studi sulla figura e le opere di Raffaello Sanzio e sul Rinascimento Italiano. Presso l’Università Federico II di Napoli ha conseguito l’Attestato di “Laboratorio di restauro” e “Disegno dello spazio scenico”. Presso l’Università Cattolica di Milano ha frequentato la Scuola Estiva Internazionale di Studi Danteschi. Iscritta a varie associazioni artistiche e culturali e gruppi di scrittura creativa, ha ottenuto lusinghieri riconoscimenti. Nel 2020 vince il Concorso letterario internazionale “Pubblica il tuo libro” per la Casa Editrice “Il Filo di Arianna”. Nel 2021 vince il Concorso nazionale “Dante il Sommo” per il comune di Termoli e nel 2022 il Concorso letterario “Una Corte di Libri”, sezione poesia. Ha pubblicato nell’aprile 2021 la raccolta poetica "Lassù c’è un cuore indecifrabile" per il Filo di Arianna Editore e nel 2023"Giallo è il verso del mattino"- Ivvi Editore. Dal 2018 gestisce il blog letterario “I Colori della Vita” (Tutti i diritti sono riservati L.633/41 )

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autori

“Senza poeti, senza artisti, gli uomini sarebbero presto stanchi della monotonia della natura.” —Guillaume Apollinaire

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opere

“La poesia è il fuoriuscire spontaneo di sentimenti potenti: essa trae origine dall'emozione raccolta in tranquillità” —William Wordsworth

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