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Amelia Rosselli

Amelia Rosselli (Parigi, 28 marzo 1930 – Roma, 11 febbraio 1996) è stata una poetessa, organista ed etnomusicologa italiana che ha fatto parte della “generazione degli anni trenta”, insieme ad alcuni dei più conosciuti nomi della letteratura italiana.

Amelia Rosselli (Parigi, 28 marzo 1930 – Roma, 11 febbraio 1996) è stata una poetessa, organista ed etnomusicologa italiana che ha fatto parte della “generazione degli anni trenta”, insieme ad alcuni dei più conosciuti nomi della letteratura italiana.

Biografia

Amelia Rosselli nacque a Parigi, figlia dell’esule antifascista Carlo Rosselli, teorico del Socialismo Liberale, e di Marion Cave, nata in Inghilterra e attivista del partito laburista britannico. Nel 1940, dopo l’assassinio del padre e dello zio, ordinato da Mussolini e Ciano, ad opera delle milizie fasciste (cagoulards) in Francia (1937), esulò con la famiglia, esperienza che determinò il carattere apolide e insieme personalissimo della sua opera.

Amelia Rosselli si trasferì dapprima in Svizzera e quindi negli Stati Uniti. Compì all’estero (senza regolarità) studi letterari, filosofici e musicali, ultimandoli in Inghilterra, poiché in Italia, dove era tornata nel 1946, non le poterono essere riconosciuti.

Negli anni quaranta e cinquanta si occupò di teoria musicale, etnomusicologia e composizione, trasponendo le sue ricerche in alcuni saggi.

Nel 1948 cominciò a lavorare come traduttrice dall’inglese per alcune case editrici di Firenze e Roma e per la Rai; nel frattempo continuò a dedicarsi a studi letterari e filosofici. In questi anni cominciò a frequentare gli ambienti letterari romani (tramite gli amici Carlo Levi e Rocco Scotellaro, conosciuto nel 1950) e gli artisti che avrebbero successivamente dato vita all’avanguardia del Gruppo 63.

Negli anni sessanta si iscrisse al PCI e cominciò a pubblicare i suoi testi principalmente su riviste, attirando l’attenzione di Zanzotto, Raboni e Pasolini.

Nel 1963 pubblicò su Il Menabò ventiquattro poesie. L’anno successivo uscì la sua prima raccolta di poesie, Variazioni belliche, edita da Garzanti, e nel 1969 la raccolta Serie ospedaliera, comprensiva del poemetto di difficile gestazione e inedito La Libellula. Nel 1966 iniziò a pubblicare numerose recensioni letterarie su giornali come Paese Sera e L’Unità. Nel 1981 uscì Impromptu, un lungo poema diviso in tredici sezioni, e nel 1983 Appunti sparsi e persi, scritti tra il 1966 e il 1977. Notevole anche la sua ricerca plurilinguistica in poesia (poesie e prose giovanili in francese e in inglese, la successiva raccolta in inglese Sleep). Alcune prose italiane, autobiografiche, di vari periodi, furono raccolte e pubblicate nel 1990, con il titolo Diario ottuso.

La morte della madre (avvenuta nel 1949) e altre drammatiche vicende biografiche le causarono ricorrenti esaurimenti nervosi. Non accettò mai la diagnosi di schizofrenia paranoide che le venne fornita da cliniche svizzere e inglesi, ma parlò per lo più di lesioni al sistema extrapiramidale, connesse alla malattia di Parkinson, che le si manifestarono già a 39 anni.

È rimasta una figura di scrittrice unica per il suo plurilinguismo e per il tentativo di fondere l’uso della lingua con l’universalismo della musica. Ha vissuto gli ultimi anni della sua vita a Roma, nella sua casa a via del Corallo, dove è morta suicida l’11 febbraio 1996 per cause connesse ad una grave depressione. La data del suicidio segna forse volontariamente un nesso indelebile con quella di Sylvia Plath, autrice che la Rosselli tradusse e amò, dedicandole anche diverse pagine critiche.

Su Amelia Rosselli e la sua poesia

Elogio del fuoco

davanti alla bara di Amelia Rosselli, Roma, Casa della cultura, 16 febbraio 1996Il fuoco riscalda.

A leggere la poesia di Amelia, la temperatura del nostro corpo si altera un po’. Talvolta si abbassa, più spesso si innalza. E non diversi effetti scaturivano dall’ascolto, dalla sua viva voce di straordinaria lettrice. […] La sua voce era un basso profondo, una musica che faceva lievitare la fondamentale tra le parole rese singole e compenetrate le une nelle altre. […] Mai un grido nella sua recitazione, eppure quanti soprassalti nelle sue poesie! Per lei hanno nominato Campana, Rimbaud. Ma nulla le era più estraneo dello sregolamento dei sensi, dello sfrenato abbandonarsi all’altra voce che urge quando la ragione tace. In lei parlano entrambe, la ragione della mente e quella che piove dall’Altrove, ma in una educata, civilissima convivenza che non dimenticheremo mai.

Il fuoco illumina.

La poesia di Amelia Rosselli è oscura eppure chiarissima. Certo, bisogna abituarvisi, come quando si entra da fuori in una stanza buia. All’inizio avanziamo cautamente, abbiamo paura di farci male, urtiamo negli spigoli, imprechiamo. Ma poi diventiamo come i gatti che vedono anche nelle tenebre. Come loro impariamo a sviluppare sensi normalmente inerti, latenti. La sua forma di conoscenza è la Pietà, un grande canzoniere d’amore, senza tracce di narcisismo. […]

Il fuoco scotta.

Con la Storia che le ha marchiato i suoi segni sul corpo, prima ancora che nella mente. Dietro la sua poesia-amore avanzano la persecuzione politica, l’assassinio, la tragedia del conflitto più violento di un secolo ormai alla fine. La sua lingua, dissennatamente poliglotta, ne è stata disarticolata, ma quanto dilatata! Con Amelia se ne va l’ultima vittima di un secolo divoratore dei suoi poeti. Un’epoca che ostenta indifferenza verso la poesia e che continua a nutrirsene avidamente, cannibalisticamente. Marina Cvetaeva diceva che con la poesia bisogna comportarsi come con le creature amate. Si sta con loro finché non sono loro a lasciarci. E chi resta da solo con il dolore e il lutto non dimenticherà la gioia della dedizione fino al sacrificio finale.(Biancamaria Frabotta, Elogio del fuoco, in Quartetto per masse e voce sola, Roma, Donzelli, 2009, pp. 65-67)




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