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Sonetto 134: O cameretta che già fosti un porto

O cameretta che già fosti un porto
a le gravi tempeste mie diürne,
fonte se’ or di lagrime nocturne,
che ’l dí celate per vergogna porto.
 
O letticciuol che requie eri et conforto
in tanti affanni, di che dogliose urne
ti bagna Amor, con quelle mani eburne,
solo ver ’me crudeli a sí gran torto!
 
Né pur il mio secreto e ’l mio riposo
10 fuggo, ma piú me stesso e ’l mio pensero,
che, seguendol, talor levommi a volo;
 
e ’l vulgo a me nemico et odïoso
(chi ’l pensò mai?) per mio refugio chero:
tal paura ò di ritrovarmi solo.
 

Parafrasi

 
O mia piccola camera che un tempo fosti rifugio
alle mie angosce quotidiane
ora sei il luogo dove  ogni notte piango
quelle lacrime che di giorno tengo nascoste per vergogna.
 
O mio piccolo letto  che eri un tempo riposo e conforto
in così grandi  affanni,  Amore riversa su di te
vasi pieni di lacrime
con le sue mani bianche come l’avorio,
verso di me solo ingiustamente crudeli.
 
E non  fuggo soltanto dal mio segreto e dal mio riposo,
ma piuttosto da me stesso e dal mio pensiero,
che talvolta, quando lo ho seguito, mi ha innalzato in volo;
 
e cerco come mio rifugio la folla che temo e disprezzo
(chi avrebbe mai pensato che ciò potesse accadere?)
tanta è la paura che ho di ritrovarmi da solo.
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