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What Am I Doing Here?

a Bruce Chatwin

La strada si posa sui piedi che spesso
si sentono in grado di fare passi giganti
restando piantati per terra a percepire
i movimenti di rotazione e rivoluzione
terrestre.
 
Chissà quanti chilometri la mia vita
ha fatto sebbene non abbia mai fatto
neanche un millesimo dei km di Chatwin:
il calcolo sarebbe facile, eppure
mi limito solo a pensarlo per piangere meno
di fronte al totale del mio essere qui.
 
Che cosa ci faccio qui? È una domanda
che vale sia per chi parte, sia per chi sta.
L’abilità consiste soltanto nel come
eludere la risposta.
 
Lo specchio è la persona più accreditata
per ricevere segnali di approvazione o discredito
che accompagnano la finzione del vivere.
La strada invece è il compagno più necessario:
a braccetto dei paracarri cercare consolazione
negli orizzonti mutevoli dei giorni che passano
 
finché stanchi, sul far della sera, disfarsi
dei sogni con il sonno della ragione:
una minestra di zucca, il computer,
un bicchiere di rosso, la televisione.
 
Non è più tempo di innamorarsi
dicono appunto in tv. La Groenlandia
si scioglie, l’Amazzonia che brucia
e tu che lasci a mezzo una serie di 12
puntate sei sicuro di stare bene,
di avere il cuore puro e pronto?
 
Sicuro di niente è il mio solo bene
come abbracciare il cavo
di un castagno secco in pianta
che duro resta in attesa del fulmine
 
per accendere il cuore.
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