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Canto terzo

1- Sforzasi1 alcuno allo inimico porre
Con forza il freno più che con ingegno.
Così il vecchio Priámo e il forte Ettorre
Cercavano smorzare il greco sdegno:
Ma in altro modo si sforzò Nestorre
E Ulisse minare il trojan regno,
Pensando esser, l’un saggio e l’altro veglio,
Vincer con senno che con forza meglio.
 
2- Così visto ho a’ miei giorni, ovvero inteso,
Per non dar testimonio il tempo antico,
Esser Francesco re di Francia preso
Per senno, più che a forza, dal nemico;
E pria due volte innanzi esser difeso
Francesco Sforza da chi gli era amico
Contra esercito tanto e tanta boria,
Che forza non potea darli vittoria.
 
3- Con la prudenzia i suoi nemici ammorza
Alfonso Estense, mio signore invitto,
Che avendo men che ’l suo nemico forza,
Hallo più volte già con senno afflitto.
In stato è ancora, e non fia mai ch’il torza6
Da quello per timor, per fatto o ditto;
E in casi che niun mai l’aría pensato,
Nel suo seggio signor sempre è restato.
 
4- Io lasserò di Julio i gran litigi
Contra di lui per seguitare il Gallo,
Zannïolo, Ravenna, e li vestigi
Lassati alla Bastía per l’altrui fallo:
Lasserò discacciato te, Luigi,
D’Italia fuor; chè anche bene Iddio sallo
Quanto il stato de Alfonso allor pendea,
Scacciato essendo chi lo difendea.
 
5- Ma dirò quando, per crudel fortuna,
Prigion restò Francesco re di Francia;
Chè, oltra che allor non fu persona alcuna
Che non bagnasse per dolor la guancia,
Io credo che pensasse anco ciascuna
Alfonso più che mai stare in bilancia,
Per essersi sì a lui fedel mostrato
Allor, quanto alcun mai tempo passato.
 
6- Ma con prudenzia e suo nativo senno,
Oltra ogni fede e pensamento accorto,
Placato ha quelli che prigione il fenno,
Ed ha il naviglio suo condutto in porto.
Così far tutti i gran principi denno,
Chè vincer fa talor prudenzia il torto:
Così Cristiani, per salvarsi il regno,
Vincer cercan per forza e per ingegno.
 
7- Io vi lassai che Namo era già mosso
Contra la schiera di Tricardo altiero,
E che Rinaldo taglia insino all’osso
Quanti ne assalta, più che giammai fiero.
Gridando tutti:—Ammazza, addosso addosso,—
Estrema occisïon di Pagan fêro:
Alardo, Ricciardetto e la sorella,
Contra Pagani ciaschedun martella.
 
8- Dall’altro canto, pur Doranio sorse
All’improviso contra i Saracini,
E lor tal tema nelle vene porse,
Che stimano che ’l ciel tutto rovini:
Fugge ciascun, ciascuno in frotta corse
Per schifar li nimici a sè vicini:
Ciascun si pone in tal disordinanza,
Che solo nel fuggire hanno speranza.
 
9- Marsilio, Panteraccio e li altri capi,
E Balugante, in fuga universale
Tutti son persi, e restano con capi
Senza consiglio e zucche senza sale.
Visti tutti fuggir, Rinaldo i capi
Sol ferir cerca, e di lor sol gli incale:11
—Ai capi, ai capi,—grida; e alla sua voce,
De’ suoi ciascun mostròssi più feroce.
 
              (Manca la continuazione.)
 
10- Non puote pur Fondran tacer, chè al fine
Fu forza all’ira rallentare il freno,
E dir:—Dunque li miei di mie rovine
Son causa? Ah Macon falso e di error pieno!
Veggio ch’in te non stanno le divine
Grazie, e quel ben che mai non vien a meno:
Piena è tua fede di fantasme e sogni;
Io voglio seguir Cristo a’ miei bisogni.
 
11- Allor lo suase il conte umanamente,
Che battizzar si voglia al sacro fonte:
Chè, invero, Orlando fu molto eloquente,
Ed agli amici di benigna fronte;
Geloso della Fede, e assai prudente,
E per umilità volse esser conte;
Casto, fedele, pazïente e pio,
E fu sempre, vivendo, in grazia a Dio.
 
12- Milon superbo, Fondrano e Grugnato,
I compagni Aridéo e Rosadoro,
I figli di Arimonte dispietato,
Già crudo Urcasto e il fedele Antiforo,
Per il parlar del conte onesto e grato
Alla cristiana Fè conversi fôro:
Con gran gaudio del conte e di Dio, stimo,
Si battizzaro, e fu Fondrano il primo
 
13- Gallicïana, e tutta la cittade
Fu battizzata allor per man d’Orlando.
Egli si affaticò per caritade
Di battizzarli, e averli al suo comando:
Poi, mosso dall’amore e da pietade,
Dispose per Fondrano oprare il brando,
E in stato porlo; e però fe gridare
Che ogni soldato debba in punto stare.
 
14- E dopo alquanti giorni, partir fece
La gente di Milone a questa impresa:
Lassar Gallïciana ormai gli lece,
Poi che non teme più d’alcuno offesa.
Ma a Ferraguto ormai tornar mi dece,
Che già tutta d’amore ha l’alma accesa,
E dalla ciambra ove era, uscendo fuori,
Entrò ’n un12 campo pien di vaghi fiori.
 
15- Tutta fiorisce d’erbe la pianura,
Di colorite rose e gigli14 piena;
Avea di mirti intorno una verdura
Che vie più ch’altro quella facéa amena;
Cinto era intorno di16 merlate mura,
E da ogni merlo pende una catena;
Ardenti fuochi v’erano in più bande,
Qual piccol, qual mezzano e qual più grande.
 
16 Volava in quella un pargoletto arciero,
Quale avea dardi di piombo e di oro:
Quel fuga, questo fa l’amor sincero,
Come diversi da natura fôro.
Vola il fanciullo per quel piano altiero,
E sagitta col stral spesso uno alloro:
Par che ferir quell’arbor gli sia grato,
Faretrato, fanciul, nudo, orbo e alato.
 
17- Eravi in mezzo un vago carro aurato,
Fatto non di opra umana, anzi divina,
Sol di rubini e di diamanti ornato;
E sopra vi sedeva una regina,
Di dolce aspetto e da ciascuno amato,
Adorna tutta di porpora fina:
Un pomo di or nella man destra avea:
Da un Trojan l’ebbe: è questa Vener dea.
 
18- Era di lieta ma di vista altiera,
Con maniere leggiadre e grazïose:
Altra stagion non vuol che primavera,
Lieta di odori e di fiorite rose:
Odia vecchiezza, e sol nella sua schiera
Giovani sono e lor dame amorose,
Lascivetti animali e verdi piante;
E in somma, alcun non vuol che non sia amante.
 
19- Quattro destrier vie più che sangue rossi,
Qual non si trovan mai nel correr stanchi,
Guidano il car’ da un dotto19 auriga mossi,
Senza alcun freno e senza sproni ai fianchi.
Altri li han visti, e fan lor gambe e dossi
E code e colli più che neve bianchi;
Ma a Ferraù, ch’anch’esso fu in quel loco,
Parveno rossi più ch’ardente fuoco.
 
20- Sol li regge alla voce il saggio auriga,
E tienli e scioglie come cani al lasso;
Nè sempre scorre a un modo il bel quadriga,
Ma talor corre e talor va di passo;
Nè sempre è il suo camin per una riga,
Ma or poggia in alto ed or dechina al basso;
Talor sfrenato va, talor modesto,
Or lunge corre, ed or si afferma presto.
 
21- Per ciascuno una fiata il carro corre,
E mostra, anzi predice a ognun li amori
Quali esser denno, e quanto ognun trascorre,
E quai son fidi e quai falsi amatori;
E chi del suo servir dê frutto côrre,
E chi ritrarne sol stenti e dolori;
Chi gran voglia d’amare, e chi non molta
Mostra a ciascuno il carro una sol volta.
 
22- Pur allor Ferraguto il vide in mezzo,
Con genti innanzi che facean gran feste;
Ed altri vide ch’il seguían da sezzo,
Con occhi lacrimosi e facce meste:
E questi sono che non trovan mezzo
A far lor voglie ad altri manifeste;
Sperano in vano, e tranno22 i preghi al vento,
Vivono in servitù, mojono in stento.
 
23- Ma la turba che innanzi al carro giva,
Che coglie del suo amor qualche mercede,
In ordini diversi si partiva,
E il maritale amor primo si vede.
Questo fra li altri florido gioiva
Di legittimo nodo e pura fede:
Vener li sguarda con allegra faccia,
E i discordi fra lor a dietro scaccia.
 
24- Dopo seguíano i giovinetti amanti,
Che ’l nodo marital disíano insieme,
Che con bei suoni e dilettevol canti
Chiamano, il frutto del lor sparso seme;
In vaghe foggie e ’n amorosi manti,
E nel farsi estimare hanno ogni speme,
Con brette torte e chioma tanto ornata,
Che basterebbe a Spagna innamorata.
 
25- Poi l’amor giunto a qualche vituperio
Con ordine li suoi avea schierati,
Secondo che distinguon l’adulterio
In semplice e composto i dotti frati.
Chi è saggio noterà tutto il misterio,
Senza ch’a pieno vui da me l’odiati:
Li ordini solo io vi dirò, e l’amore
Qual li altri seguirà, serà il peggiore.
 
26- Prima vedeasi il quasi adulterino
Secreto amor di vedovette belle,
Che allo adulterio si può dir vicino,
Perchè ancora al marito obligo han quelle:
Escusabile amor, chè ’l lor destino
Lassòlle, ahimè! pur presto vedovelle;
Misto con onestà, suave amore,
Che dal bisogno vien più che dal cuore.
 
27- Poi seguían quelli che de’ duoi solo uno
Amanti avean col nodo maritale,
Che è semplice adulterio; e se ciascuno
Di essi ha quel nodo, è poi composto male.
Composito adulterio appresso alcuno
Si chiama, errore a li animi mortale:
Questi seguían dapoi tinti d’amore
Che più grato il piacer fa che l’onore.
 
28- Seguivano dappoi li innamorati
Chierichi, preti ed altri sacerdoti,
Vescovi, papi, cardinali e frati,
Con colli torti ed abiti devoti;
Che dappoi che han li articol predicati
E della Fede esposti i sensi ignoti,
Aman le suor’ con tristo desiderio,
E ciascuno ha la sua nel monasterio.
 
29- Segue dappoi un amor falso e reo
Che accader suol, come tra figlio e madre;
Come Fedra, per cui stracciar si feo
Ippolito sue membra alme e leggiadre;
Come Canace amò già Macareo
Carnal fratello, o come Mirra il padre:
Sfrenato amore e senza alcuna legge,
Che sol con morte e strazio si corregge.
 
30- Poi si vedeano a schiera i pediconi,
Che sotto al mento altrui tenean la mano,
E nelle lonze cercano i bocconi,
E per stretto sentier trovano il grano;
E innanzi loro i patici garzoni
Stavano in atto disonesto e strano:
E di essere ciascun quel ch’appunto era,
E questi e quei mostravano alla ciera.
 
31- Seguían dappoi quelli appetiti ingordi,
Privi d’umana e natural modestia,
Di vista ciechi e di audienzia sordi,
Che amano buoi o d’altra sorte bestia;
Privi d’ogni ragion, sfrenati e lordi,
Da indur sin nello inferno ira e molestia:
Pasifäe la guida era fra loro,
Che senza freno si soppose a un toro.
 
32- Veder vi si poteano anco altri amori,
Come già di sè stesso ebbe Narciso,
Di donna in donna, e di masturbatori;
Ma son, più che da dir, da gioco e riso.
Ma pur ve n’era un altro fra’ maggiori,
Che chiuder fa le porte in paradiso;
Come è tra circumcisi e noi Cristiani,
O siano Ebrei o ver Macomettani.
 
33- Queste, con altre cose ch’io non narro,
Chè lungo fôra a ben narrarvi il tutto,
Vide dinanzi a quello aurato carro
Di Vener bella Ferraù condutto:
Nè già scrivendo favoleggio o garro;
Turpino il scrisse, ed egli a ciò m’ha indutto;
E scrive ancor, che Ferraguto allora
Restò come d’ingegno e sensi fuora.
 
34- Umil divenne il cavalier feroce,
Qual pecorella o mansueto agnello;
Tutto a Venere offerse il cuor atroce,
Nè d’altro che d’amar desidra quello.
Or può domarlo una femminea voce,
Un leggiadro sembiante, un viso bello;
Quel che non puotè mai asta nè brando,
Ma qui vi lasso, e a voi mi raccomando.
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