I
Ci abituiamo presto ai nuovi muri
Ognuna dalla sua tana pensile
Scendono alle mani le cose vengono a noi
Io stesso gli occhi semichiusi al mattino
Da lunga insonnia solerte agli atti del rito
Moka al fornello metto a frutto l’intervallo
Teso all’imminente gorgogliare
Un uomo vecchio non è che una misera cosa
Albero spoglio del suo vanto – uscire
Al quotidiano ufficio rincasare
Reduce di pensosi negozi:
Dunque non troppe domande povero caro
Lasciatelo cogitare – lui solo
Sa ciò che è giusto
Remoto ieri, però eccomi oggi
Yesman completo – «sì, subito!» come una serva
Negli anni Trenta in casa di minimi impiegati
Povera più di tutti
I poveri innocua bestiola – macché poeta e poeta!
Risciacquo i piatti, ti aiuto a piegare un lenzuolo
La colpa è mia se non combacia agli orli
II
Avessi la sapienza
Non dico di Salomone ma almeno
Direi la calma perizia
Dei due che Sotto il Vòlto
Angelo per la paga, Lorenzo per passione
Apprestano un portone
Per questo ingresso vano al buio e al nulla
Murando uno lo stipite fissando i cardini e l’altro
Chiodando una lamiera al frusto legno
Riesumato da una sua campagna
Entrambi con fierezza dell’opera
Mossi da vivi gesti assunti in loro
Dal profondo di secoli vivranno
Per nuove mani d’opere venture
III
Misero è l’uomo che ha bisogno di soccorso
Misero chi si accorge
Quanto non vale ricchezza
Di immagini maestà di pensieri
Versata in libri di storia:
Avessi io gli atti infiniti
Del tuo lavoro a castigare la mia boria
«Io non sto bene ancora, non starò
Mai più bene» – è tardi per entrare
Dentro ogni gesto tuo di quarant’anni
Dove fu amore vero il trafficare
Ad accudirmi a farmi cena e pranzo
Tenuti a bada i figli per lasciarmi recitare
A me stesso una vita di romanzo
Io che pietà e conforto
Invoco adesso – io
Trascorso accanto a te come da morto
Vecchia moglie spremuta
Che interrogavi la tua angoscia muta:
Perché fossero mie
Tutte le tue poesie.