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Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni, nome completo Alessandro France (sco Tommaso Antonio Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873), è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo italiano. Considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi per il suo celebre romanzo I promessi sposi, caposaldo della letteratura italiana, Manzoni ebbe il merito principale di aver gettato le basi per il romanzo moderno e di aver così patrocinato l’unità linguistica italiana, sulla scia di quella letteratura moralmente e civilmente impegnata propria dell’Illuminismo italiano. Passato dalla temperie neoclassica a quella romantica, il Manzoni, divenuto fervente cattolico dalle tendenze liberali, lasciò un segno indelebile anche nella storia del teatro italiano (per aver rotto le tre unità aristoteliche) e in quella poetica (nascita del pluralismo vocale con gli Inni Sacri e della poesia civile). Il successo e i numerosi riconoscimenti pubblici e accademici (fu senatore del Regno d’Italia) si affiancarono a una serie di problemi di salute (nevrosi, agorafobia) e famigliari (i numerosi lutti che afflissero la vita domestica dello scrittore) che lo ridussero in un progressivo isolamento esistenziale. Nonostante quest’isolamento, Manzoni fu in contatto epistolare con la migliore cultura intellettuale francese, con Goethe, con intellettuali di primo ordine come Antonio Rosmini e, seppur indirettamente, con le novità estetiche romantiche britanniche (influsso di Walter Scott per il genere del romanzo). Biografia Origini familiari Famiglia Alessandro Manzoni proveniva, dal lato materno, da una famiglia illustre, i Beccaria. Il nonno materno di Manzoni, infatti, era quel Cesare Beccaria, autore del trattato Dei delitti e delle pene, che fu uno dei principali animatori dell’illuminismo lombardo. A detta del Manzoni stesso, lui e il nonno si conobbero soltanto una volta, in occasione della visita della madre presso il celebre padre. La parentela coi Beccaria lo rendeva inoltre lontano cugino dello scrittore scapigliato Carlo Dossi. Più modesta era invece la famiglia paterna: don Pietro Manzoni, il padre di Alessandro, discendeva da una nobile famiglia di Barzio, in Valsassina, e stabilitasi a Lecco (nella località del Caleotto) nel 1612 in seguito al matrimonio di Giacomo Maria Manzoni con Ludovica Airoldi nel 1611. Per quanto don Pietro Antonio Pasino Manzoni (1657-1736) avesse poi ricevuto il feudo di Moncucco nel novarese nel 1691, e per quanto in virtù di ciò fossero conti, il titolo a Milano non era valido perché “straniero”. Inizialmente don Pietro presentò al governo austriaco una richiesta ufficiale perché fosse riconosciuto, ma poi preferì non insistere. In ogni caso, quando Roma attribuirà molto più tardi la cittadinanza al Manzoni, il titolo comitale apparirà sull’atto ufficiale e verrà mantenuto dalla sua discendenza. Manzoni e Giovanni Verri Nonostante il padre legittimo fosse Pietro Manzoni, è molto probabile che il padre naturale di Alessandro fosse un amante di Giulia, Giovanni Verri (fratello minore di Alessandro e Pietro Verri). Con Giovanni, uomo attraente e libertino, di diciassette anni maggiore di lei, ella aveva avviato una relazione già nel 1780, proseguendola anche dopo il matrimonio. Dalle parole del Tommaseo pare evincersi come Verri fosse il vero padre dello scrittore, e come questi ne fosse pienamente a conoscenza: «Anco di Pietro Verri [Manzoni] ragiona con riverenza, tanto più ch’egli sa, e sua madre non glielo dissimulava, d’essere nepote di lui, cioè figliuolo d’un suo fratello». L’infanzia e l’adolescenza Galbiate e la separazione dei genitori Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni nacque a Milano, allora parte dell’impero asburgico, al n. 20 di via San Damiano, il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e, ufficialmente, da don Pietro Manzoni. Trascorse i primi anni di vita prevalentemente nella cascina Costa di Galbiate, tenuto a balia da Caterina Panzeri, una contadina del luogo. Questo fatto è attestato dalla targa tuttora affissa nella cascina. Sin d’ora passò alcuni periodi alla villa rustica di Caleotto, di proprietà della famiglia paterna, una dimora in cui amerà tornare da adulto e che venderà, non senza rimpianti, nel 1818. In seguito alla separazione dei genitori, Manzoni venne educato in collegi religiosi. L’educazione religiosa a Merate e a Lugano Il 13 ottobre 1791 fu accompagnato dalla madre a Merate al collegio San Bartolomeo dei Somaschi, dove rimase cinque anni: furono anni duri, in quanto il piccolo Alessandro risentiva della mancanza della madre e perché soffriva del difficile rapporto con i suoi compagni di scuola, violenti tanto quanto gli insegnanti che lo punivano di frequente. La letteratura era già una consolazione e una passione: durante la ricreazione, racconterà lo scrittore, «…mi chiudevo […] in una camera, e lì componevo versi». Nell’aprile del 1796 passò al collegio di Sant’Antonio, a Lugano, gestito ancora dai Somaschi, per rimanervi fino al settembre del 1798. Nello stesso 1796, giungeva sul Lago di Lugano il somasco Francesco Soave, celebre erudito e pedagogista. Per quanto sia del tutto improbabile che Manzoni l’abbia avuto come maestro (se non per qualche giorno), la sua figura esercitò sul bambino una notevole influenza. Vecchio e prossimo alla morte, l’autore de I promessi sposi ricordava: «Io volevo bene al padre Soave, e mi pareva di vedergli intorno al capo un’aureola di gloria». Passò, alla fine del '98, al collegio Longone di Milano, gestito dai Barnabiti e quindi si trasferì a Castellazzo de’ Barzi, dove l’istituto aveva stabilito provvisoriamente la propria sede a causa delle manovre belliche per poi tornare, il 7 agosto 1799, a Milano. Non è chiaro quanto l’adolescente rimanesse dai Barnabiti, anche se l’ipotesi più accreditata lo fa supporre allievo della scuola fino al giugno 1801. Alessandro, nonostante l’isolamento cui era costretto per colpa dell’ambiente chiuso e bigotto, riuscì a stringere alcune amicizie che resteranno durature nel corso degli anni a venire: Giulio Visconti e Federico Confalonieri furono suoi compagni di classe. Un giorno imprecisato dell’anno scolastico 1800-1801, poi, gli scolari ricevettero una visita che suscitò nel Nostro una grande emozione: l’arrivo di Vincenzo Monti, che leggeva avidamente e considerava il più grande poeta vivente, «fu per lui come un’apparizione di un Dio». La formazione culturale La formazione culturale di Manzoni è imbevuta di mitologia e letteratura latina, come appare chiaramente dalle poesie adolescenziali. Due, in particolare, sono gli autori classici prediletti, Virgilio e Orazio; notevole è anche l’influsso di Dante e Petrarca, mentre tra i contemporanei, assieme al Monti, svolgono un ruolo importante Parini e Alfieri. Se si escludono gli esercizi di stile precedenti, le sue primissime esperienze poetiche risalgono alla metà del 1801, quando cominciò a stendere Del trionfo della libertà. Tuttavia vi si può riscontrare una vena satirica e polemica che avrà un ruolo non trascurabile nel Manzoni adolescente, pur venendo mitigata già a metà del decennio. Ci restano le traduzioni, in endecasillabi sciolti, di alcune parti del libro quinto dell’Eneide e della Satira terza (libro primo) di Orazio, accanto a un epigramma mutilo in cui attacca un certo fra’ Volpino che, sotto mentite spoglie, raffigura il vicerettore del collegio, padre Gaetano Volpini. Un giovane scapestrato Uscito dall’angusto mondo del Longone, visse dall’estate 1801 al 1805 con l’anziano padre don Pietro, alternando la vita di città con soggiorni alla tenuta di Caleotto, e dedicando buona parte del suo tempo al divertimento e in particolare al gioco d’azzardo, frequentando l’ambiente illuministico dell’aristocrazia e dell’alta borghesia milanese. Giocava nel ridotto del Teatro alla Scala, finché, sembra, un rimprovero del Monti lo convinse a rinunciare al vizio. Fu anche l’epoca del primo amore, quello per Luigina Visconti, sorella di Ermes. Di questa esperienza sappiamo quanto il poeta stesso rivelò nel 1807 in una lettera a Claude Fauriel. A Genova, infatti, l’aveva casualmente rivista, ormai sposata al marchese Gian Carlo Di Negro, e l’episodio aveva risvegliato in lui la nostalgia e il dispiacere di averla perduta. Oltre a questi svaghi, la giovinezza del Manzoni è contrassegnata anche da un soggiorno a Venezia (dall’ottobre 1803 al maggio 1804) presso il cugino Giovanni Manzoni, durante il quale ebbe modo di conoscere la nobildonna Isabella Teotochi Albrizzi, a suo tempo musa di Foscolo, e di scrivere tre dei quattro Sermoni. Non è chiaro il motivo del soggiorno veneziano, del quale Alessandro conservava anche ai tardi anni un bellissimo ricordo, ma non sembrano avere avuto un ruolo ragioni politiche: piuttosto vi entrò il desiderio del padre di allontanarlo da uno stile di vita dissipato. La Milano illuminista Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispirò le prime composizioni di un qualche rilievo, modulate sull’opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento. Ma, oltre questi, Manzoni si volge a Parini, portavoce degli ideali illuministi nonché dell’esigenza di moralizzazione, al poeta Ugo Foscolo, a Francesco Lomonaco, un esule lucano, e a Vincenzo Cuoco, assertore delle teorie vichiane, anche lui esule da Napoli dopo la restaurazione borbonica del 1799 e considerato il «primo vero maestro del Manzoni». La vicinanza all’ambiente neoclassico, e al suo campione Vincenzo Monti in particolare, spinsero il giovane Manzoni a frequentare alcuni corsi di eloquenza tenuti dal poeta romagnolo all’università di Pavia tra il 1802 e il 1803.Nei registri dell’ateneo il nome di Alessandro non risulta, ma è quasi certo che egli seguisse le lezioni montiane. Oltre alla nota ammirazione per il Monti e all’opinione di illustri studiosi, sembra convalidare l’ipotesi il carteggio del periodo. I corrispondenti di Manzoni, infatti, sono quasi tutti studenti (o vecchi studenti) dell’università, da Andrea Mustoxidi a Giovan Battista Pagani, da Ignazio Calderari a Ermes Visconti e a Luigi Arese. Il contesto accademico lo dovette mettere in contatto anche con due professori giansenisti, Giuseppe Zola e Pietro Tamburini, docenti rispettivamente di «storia delle leggi e dei costumi» e di «filosofia morale, diritto naturale e pubblico». Le loro idee in difesa della morale lo influenzarono molto, oltre a introdurlo per la prima volta al pensiero giansenista. Tamburini condannava la Curia romana per le sue deformazioni ma vedeva nel cattolicesimo un imprescindibile modello. Per l’elevatezza delle sue dissertazioni parve a Manzoni un punto di riferimento al pari di Zola, definito «sommo» in una lettera al Pagani del 6 settembre 1804. Dal punto di vista letterario, a questo periodo si devono Del trionfo della libertà, Adda e I quattro sermoni che recano l’impronta di Monti e di Parini, ma anche l’eco di Virgilio e Orazio. Il soggiorno parigino (1805-1810) La morte di Carlo Imbonati e il ricongiungimento con la madre Nel 1805 Manzoni venne invitato dalla madre e da Carlo Imbonati a Parigi, a quanto pare dietro suggerimento del Monti. Alessandro accettò con entusiasmo, ma non fece in tempo a conoscere il conte– alla cui missiva rispose nel marzo, con parole di calore e riconoscimento che Imbonati non lesse mai -, il quale morì il 15 marzo, lasciando la Beccaria ereditiera universale del suo patrimonio ma anche affranta e bisognosa dell’amore filiale. Il giovane, ora ventenne, giunse nella capitale francese il 12 luglio, giorno in cui la polizia locale gli rilasciava il permesso di soggiorno. Uniti entrambi nel dolore, Manzoni, che per lo scomparso scrisse l’ode In morte di Carlo Imbonati, scoprì di avere una madre: le loro strade, divise sino ad allora, si incrociarono per non lasciarsi più. Fino al 1841, anno della morte della Beccaria, i due instaurarono un rapporto strettissimo la cui profondità emerge dalle lettere dello scrittore in numerosissime occasioni. Già il 31 agosto 1805 rivelava a Vincenzo Monti di aver trovato «la mia felicità […] fra le braccia d’una madre», e di non vivere che «per la mia Giulia». Il circolo parigino: gli Idéologues e Claude Fauriel Con la madre soggiornò al numero 3 di Place Vendôme. Molto spesso, però, madre e figlio si recavano ad Auteuil, cittadina ove si riuniva il circolo intellettuale sotto il patronato della vedova del filosofo Helvétius, e alla Maisonnette di Meulan, dove passò due anni, partecipando al circolo letterario dei cosiddetti Idéologues, filosofi di scuola ottocentesca eredi dell’illuminismo settecentesco ma orientato verso tematiche concrete nella società, e anticipatori per questo di tematiche romantiche (quali l’attenzione alle classi povere, alle emozioni). Un ruolo importante nel gruppo degli Idéologues (costituito, tra gli altri, da Volney, Garat, Destutt de Tracy e il danese Baggesen) era ricoperto da Claude Fauriel, col quale Alessandro strinse una duratura amicizia per molti anni, una frequentazione facilitata anche dal legame che c’era tra Giulia e l’amante di Fauriel, Sophie de Condorcet, e dal più anziano Pierre Cabanis, autore della Lettre sur les causes premières, testo orientato in senso spiritualista, impregnato di spirito religioso, per quanto l’Essere supremo di cui si ammette l’esistenza non coincida completamente con il Dio cristiano secondo la concezione della Chiesa. A Parigi, dunque, Alessandro entra in contatto con la cultura francese classicheggiante, assimilando il sensismo, le teorie volterriane e l’evoluzione del razionalismo verso posizioni romantiche. Ci sono rimaste poche lettere relative agli anni 1805-1807, e non è pertanto possibile definire con precisione la rilevanza – per Manzoni – di tutti i testi e gli autori che il poeta lombardo conobbe o approfondì nei primi anni francesi. Fauriel e Cabanis emergono tuttavia come i due principali punti di riferimento, e una certa importanza dovette avere anche Lebrun, riconosciuto, in una lettera al Pagani del 12 marzo 1806, «grand’uomo», «poeta sommo» e «lirico trascendente». Potrebbero essere anche parole di circostanza, dettate da un’amicizia ancor fresca e dalla riconoscenza per le parole di elogio che «Pindare Lebrun» gli aveva rivolto, omaggiandolo di un suo componimento. Lo stile del poeta francese, improntato a un classicismo enfatico e di maniera, non pare in effetti conciliarsi con la poetica manzoniana, ma il poemetto Urania (ideato tra il 1806 e il 1807 e poi stancamente portato a compimento negli anni successivi) ne recherà parzialmente l’impronta. L’intermezzo italiano (1806-1807) e la morte di don Pietro Intanto, madre e figlio lasciarono una prima volta Parigi nel giugno 1806, per sistemare le ultime pratiche legali relative all’eredità dell’Imbonati, nella quale figurava anche la villa di Brusuglio. A settembre, comunque, erano già di ritorno in Francia, come dimostra una lettera di Manzoni a Ignazio Calderari; una missiva di Carlo Botta, scritta il 18 giugno, permette invece di stabilire la data della partenza da Parigi: «Madame Beccaria part demain matin pour le Piémont» (la signora Beccaria parte domattina per il Piemonte). Al febbraio 1807 risale il secondo spostamento: la lettera al Fauriel, scritta il 17, testimonia che quel giorno il Manzoni era a Susa e aveva passato il Moncenisio, e, sempre tramite testimonianze epistolari, sappiamo che il mese successivo era a Genova; sulla permanenza genovese ci informa un certo commissario Cometti, che il 16 marzo scrive di aver assistito a una rappresentazione teatrale in compagnia di Manzoni e della madre. Il 20 marzo, quando era in procinto di partire per Torino venne a sapere che il padre era gravemente malato (ma in realtà era già morto da due giorni), e durante il tragitto che lo conduceva a Milano, il figlio apprese della sua morte. Sembra che Giulia e Alessandro non siano entrati in città, preferendo trascorrere alcuni giorni nella nuova proprietà di Brusuglio, per poi riattraversare le Alpi. Le parole con cui affronta la scomparsa del padre, nelle lettere, paiono piuttosto fredde, per quanto nella missiva al Fauriel dell’8 aprile, venti giorni dopo il funerale, rivolgesse a Pietro un ultimo augurio: «Paix et honneur à sa cendre» (pace e onore alle sue ceneri); nella lettera a Pagani, scritta il 24 marzo, giorno in cui apprese la notizia del decesso, fa riferimento al motivo «ben doloroso» che lo aveva chiamato a Milano (ma pare non entrasse in città e non prendesse parte ai funerali), per poi proseguire con altri argomenti, come la soddisfazione di rivedere l’amico Calderari e l’affetto per la madre, «parlando della quale troverò sempre più ogni espressione debole e monca». Alessandro, nominato dal padre erede universale, a maggio era nuovamente a Parigi. Il matrimonio e la nascita di Giulia Da tempo Giulia Beccaria andava cercando una sposa per il figlio. Il viaggio primaverile del 1807 era stato fatto anche con questo obiettivo, divenuto ora preminente. Dopo che il progetto di fidanzare Alessandro con Augustine, figlia del filosofo Destutt de Tracy, fallì a causa del basso grado di nobiltà dei Manzoni, la Beccaria conobbe a Parigi Charlotte Blondel, imparentata con la famiglia calvinista del banchiere ginevrino François Louis Blondel. Blondel viveva a Milano con la moglie Marie e la figlia sedicenne Enrichetta nel palazzo Imbonati, che il conte gli aveva venduto anni addietro. Tramite Charlotte furono avviati i contatti, e in settembre i Manzoni partirono alla volta della città meneghina per fare la conoscenza di Enrichetta – di cui erano state fornite ottime referenze – e dei genitori. L’incontro, avvenuto a Blevio nel tardo settembre del 1807, non disattese le speranze. Manzoni rimase incantato dalla dolcezza e purezza della fanciulla e il matrimonio, che si rivelerà molto felice e sarà coronato dalla nascita di dieci figli, fu celebrato il 6 febbraio 1808 a Milano, prima con rito civile presso il Municipio e, quarantacinque minuti più tardi, con rito calvinista in via del Marino, dove si trovava la casa dei Blondel. Sistemate infine le ultime questioni legate all’eredità dell’Imbonati, i novelli sposi, accompagnati da Giulia, si stabilirono al numero 22 del Boulevard des Bains Chinois, a Parigi. Nello stesso anno, Il 23 dicembre, nacque la primogenita Giulia Claudia, che fu battezzata il 23 agosto del 1809 nella chiesa giansenista di San Nicola in località Meulan, secondo il rito cattolico e con Fauriel come padrino. La decisione di battezzare la primogenita da parte di un padre indifferente dal punto di vista religioso e da una madre calvinista è l’indice di un cambiamento radicale nella sensibilità spirituale della famiglia Manzoni. La conversione: un dibattito aperto La questione della conversione al cattolicesimo di Manzoni è una tematica su cui non solo i critici, ma anche i conoscenti e i famigliari del Manzoni hanno sempre discusso, ottenendo risposte aleatorie da parte dell’autore de I promessi sposi, riserbo che rende ogni studio critico inevitabilmente opinabile e incompleto. L’importanza della conversione, fondamentale per comprendere l’evoluzione tematica e spirituale del Manzoni del «quindicennio creativo», è dettata soprattutto dalla leggenda agiografica che vorrebbe una sua conversione repentina, dovuta allo smarrimento di Enrichetta nel 1810. In realtà, il percorso che ricondusse il giovane Alessandro e la sua famiglia alla pratica religiosa cattolica fu ben più lungo, dovuto a una serie di fattori combinati fra di loro. Le due lettere al Calderari (1806) Una certa importanza rivestono due lettere che Manzoni inviò a Ignazio Calderari in merito alla malattia che condusse alla morte il loro comune amico Luigi Arese. Nella prima, del 17 settembre 1806, si duole che al posto delle persone care, il morituro debba avere al proprio capezzale «l’orribile figura di un prete», ma il 30 ottobre, dopo la morte dell’Arese, sempre al Calderari esclama: «Oh sì! ci rivedremo! Se questa speranza non raddolcisse il desiderio dei buoni e l’orrore della presenza dei perversi, che sarebbe la vita?». Da un lato, viene confermata la reazione anticlericale ravvisata nelle prime opere, ma al tempo stesso, come emerge ugualmente dalle prime opere, Manzoni dimostra di conformarsi allo spirito cristiano, prefigurando un’esistenza dopo la morte. La supplica a Pio VII Dopo il battesimo cattolico di Giulia nell’agosto del 1809, Manzoni, d’accordo con la moglie, indirizzò una supplica a papa Pio VII affinché, «pentito del fallo commesso», l’autorità pontificia ponesse «un opportuno riparo, capace di rendere tranquilla la di lui coscienza [del supplicante, cioè del Manzoni]», rendendo possibile celebrare nuovamente il matrimonio, questa volta secondo il rito cattolico. Nel mese di novembre giunse l’autorizzazione papale con un rescritto del cardinale Di Pietro datato al 30 ottobre, e il 15 febbraio 1810, nella casa di Ferdinando Marescalchi, il curato della chiesa della Madeleine officiava la funzione. Degola e San Rocco (1809-1810) All’inizio del 1809 i Manzoni avevano fatto conoscenze importanti, forse decisive nell’orientare Alessandro verso la pratica religiosa. Pierre Jean Agier, presidente della Corte d’appello parigina, Giambattista Somis, già consigliere della Corte di appello di Torino, Ferdinando Marescalchi, ministro delle Relazioni estere del Regno d’Italia napoleonico, e Anne Marie Caroline Geymüller, una donna di Basilea rimasta vedova di un ufficiale della guardia svizzera del re Luigi XVI, facevano parte di un ambiente fortemente cattolico e giansenista. Quest’ultima, inoltre, aveva abiurato il calvinismo nel 1805 per opera di un abate genovese giansenista che i Manzoni conosceranno proprio nell’autunno del 1809, Eustachio Degola, il quale rivestì un’enorme importanza per la conversione di Alessandro e della famiglia. La conversione del Manzoni, però, è ben più nota per il cosiddetto “miracolo di San Rocco”. Il 2 aprile 1810, durante i festeggiamenti per le nozze di Napoleone e Maria Luisa d’Austria, improvvisamente scoppiarono dei mortaretti e la folla che riempiva le strade, presa dal panico, separò dalla moglie il Manzoni il quale, sospinto dalla gente in fuga, si ritrovò sui gradini della Chiesa di San Rocco, in rue Saint-Honoré, e si rifugiò in essa. Nel silenzio e nella serenità di quel tempio egli implorò la grazia di ritrovare la consorte e all’uscita, convertito, poté riabbracciarla. Un’altra versione, riportata da Giulio Carcano, racconta invece di un Manzoni frustrato che, assillato da dubbi spirituali, si sarebbe recato in San Rocco gridando: «O Dio! Se tu esisti, rivelati a me!», uscendone poi credente. Degola e i rapporti con i Manzoni Inizialmente il sacerdote ebbe il compito di preparare Enrichetta Blondel all’abiura del calvinismo, chiedendole di scrivere dei riassunti delle lezioni di religione cattolica (chiamati ristretti), affinché fossero poi corretti dallo stesso abate genovese. L’abiura, poi, fu sottoscritta in un atto ufficiale il 3 maggio 1810 e celebrata solennemente il 22 maggio nella Chiesa di Saint-Séverin, alla presenza del circolo giansenista e dell’abate Degola. L’ascendenza del prete giansenista è comunque innegabile: rimane a testimoniarlo il pluriennale carteggio che il sacerdote genovese intrattenne con Manzoni, con la moglie e con Giulia Beccaria. È relativamente facile ricostruire i passaggi attraverso cui la Blondel si convertì al cattolicesimo, ma non è chiaro perché ciò avvenisse. Probabilmente il Manzoni, che era «un animo non veramente ribelle», accettava con fastidio un matrimonio non benedetto e aver dovuto ammettere questa situazione, quando la figlia fu iscritta nel registro dei battesimi, dovette metterlo a disagio. Il ritorno in Italia (1810-1812) Tra via del Morone e Brusuglio. La famiglia Quanto lo spirito del Manzoni fosse cambiato negli ultimi mesi della permanenza parigina, o meglio, quanto fosse in contraddizione con i valori e i modelli precedenti, è difficile dire. Sicuramente la grande città francese, capitale del bel mondo e degli intellettuali del momento, non esercitava più alcun fascino su di lui. Bisognoso di tranquillità, Manzoni lasciò Parigi con la famiglia il 2 giugno, diretto a Brusuglio, dove giunse, nonostante alcuni inconvenienti, qualche settimana più tardi. Li doveva, però, aspettare la collera della famiglia Blondel, adirata per la conversione di Enrichetta al cattolicesimo, un risentimento che non diminuì con il passare degli anni. Al ritorno dalla Francia, i Manzoni alternarono periodi a Brusuglio e in città, dimorando nella villa fuori porta quando veniva la bella stagione, ove Alessandro si dedicava all’agricoltura. A Milano, si stabilirono per quasi due anni al numero 3883 di via S. Vito al Carobbio, per poi trascorrere un anno nel palazzo dei Beccaria, in via Brera, finché il 2 ottobre 1813 il poeta acquistò una casa in via del Morone, al numero 1171 (oggi 1). Manzoni era sempre stato abituato a vivere in mezzo al verde: la nuova dimora, che dava su piazza Belgioioso, aveva «un giardino proprio interno, con certo quale sentore di chiostro, assolutamente quel che ci voleva per l’indole del Manzoni». In via del Morone l’autore avrebbe trascorso il resto della propria vita. Nel corso degli anni seguenti i membri della famiglia Manzoni, che alternavano la loro residenza tra il palazzo cittadino e la villa di Brusuglio, crebbero di numero. Dopo la morte di Luigia, nata e morta nello stesso giorno (5 settembre 1811), il 21 luglio 1813 vide la luce in via Brera il primo figlio maschio, Pietro Luigi. Il 25 luglio 1815, la casa di via del Morone fu allietata dalla nascita di Cristina. Nel giro di pochi anni vennero al mondo anche Sofia (12 novembre 1817), Enrico (7 giugno 1819), Clara, vissuta due anni, nell’agosto 1821; 13 mesi dopo, Vittoria, Filippo nel marzo 1826 e Matilde nel maggio 1830. Da Degola a Luigi Tosi: la nuova guida spirituale Prima di partire, i Manzoni avevano chiesto al sacerdote giansenista di indicar loro una persona degna di fiducia che potesse continuare la sua opera di assistenza spirituale. Il 30 maggio Degola scriveva una lettera di raccomandazione per don Luigi Tosi, canonico di Sant’Ambrogio e anch’egli giansenista. Sia Giulia che Alessandro ebbero del Tosi un’ottima impressione, come può evincersi dalle parole di Alessandro: «Il degnissimo Canonico Tosi fu visitato da mia madre e me […], e fu trovato un vero amico del Degola; e questo basti per suo elogio». Il sacerdote si recava anche a Brusuglio, quando la famiglia vi soggiornava, e mantenne la sua funzione di guida spirituale per molti anni, anche dopo la sua elezione a vescovo di Pavia, avvenuta nel 1823. Ad Alessandro, come alla moglie e alla madre, non era ancora stato amministrata l’eucaristia. Dopo una breve preparazione, Manzoni si confessò il 27 agosto e il 15 settembre, assieme a Giulia ed Enrichetta, si accostò per la prima volta alla Comunione, anche se il percorso di conversione completa fu ancora molto lungo. Infatti, nell’agosto 1811, il neofita inviava a Degola e Tosi delle lettere, in cui chiedeva rispettivamente di pregare «perché piaccia al Signore scuotere la mia lentezza nel suo servizio e togliermi da una tepidezza che mi tormenta, e mi umilia», e affermava che «malgrado la mia profonda indegnità sento quanto possa in me operarne [di bene] la Onnipotenza della Divina Grazia». Il quindicennio creativo (1812-1827) Introduzione Espressione ormai adottata dalla critica letteraria, il quindicennio creativo suole indicare quell’arco temporale in cui Manzoni, ormai convertito al cattolicesimo e alle idee romantiche, si prodigò nella stesura delle sue opere letterarie principali, spaziando dalla poesia sacra a quella civile, dai saggi filosofico-religiosi alle tragedie, per giungere infine alla stesura del primo grande romanzo della storia della letteratura italiana. In tutti questi generi, Manzoni apportò elementi nuovi e rivoluzionari rispetto alla tradizione letteraria: gli Inni Sacri rivelano la coralità della poesia cristiana manzoniana; le tragedie, in nome della verosimiglianza, si slegano dalle unità aristoteliche e rivelano quell’interesse progressivo per i sentimenti umani che troveranno piena espressione nel romanzo. Gli Inni Sacri D’ora in avanti, la sua vita e la sua arte saranno pienamente conformi alla fede e alla necessità di divulgarla con l’esempio e con le opere. Nel 1812 cominciò la stesura degli Inni sacri: l’autore voleva scrivere nell’ordine Il Natale, L’Epifania, La Passione, La Risurrezione, L’Ascensione, La Pentecoste, Il Corpo del Signore, La Cattedra di San Pietro, L’Assunzione, Il Nome di Maria, Ognissanti e I Morti, ma ne portò a termine solo cinque: La Risurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste. I primi quattro furono scritti tra l’aprile 1812 e l’ottobre 1815 e pubblicati in un volumetto presso l’editore milanese Pietro Agnelli alla fine del 1815, mentre la stesura de La Pentecoste, iniziata nel 1817, fu completata solo cinque anni più tardi, rallentata da altre opere cui l’autore attese nei medesimi anni, tra cui spiccano le due tragedie e la prima versione del romanzo. L’Ognissanti (1830-1847) restò in stato di frammento, come altre possibili aggiunte agli Inni (Il Natale del 1833 e il brevissimo Dio nella natura). La poesia religiosa del Manzoni è infine completata dalle Strofe per una Prima Comunione. L’intenzione dell’autore è quella di una poesia popolare, da cui lo stile talvolta si allontana perché ancora influenzato dalla formazione neoclassica, per poi ritornare alla comunità dei credenti (l’ecclesia cristiana) che innalza, insieme al poeta, un canto di lode a Dio, unica sicurezza contro il male sempre imperante nella Storia. Questa dimensione corale emerge soprattutto nella Pentecoste, ove i «figli d’Eva» (v. 71), sparsi in tutto il mondo, trovano unità nella fede in Dio. Il 1814 e le Odi civili Mentre Manzoni elaborava gli Inni Sacri, la situazione politica italiana e internazionale si stava velocemente deteriorando: Napoleone, fortemente debilitato dopo la disastrosa campagna di Russia del 1812, crollava nella grande battaglia di Lipsia del 1813. Di conseguenza, anche gli Stati satelliti francesi, tra cui il Regno d’Italia, caddero sotto i colpi della coalizione austro-russa, obbligando Eugenio di Beauharnais a fuggire da Milano e permettendo così agli austriaci di rientrare in Lombardia dopo vent’anni di assenza. Manzoni vive questi momenti drammatici con grande angoscia, assistendo dal suo palazzo di via del Morone, il 20 aprile 1814, al linciaggio del ministro delle finanze Giuseppe Prina, la cui violenza (deplorata vivamente dal Manzoni) viene narrata dal poeta milanese in una lettera indirizzata al Fauriel. A parte l’episodio del Prina, Manzoni partecipò intensamente al tentativo di mantenere indipendente l’Alta Italia con un regno il cui re sarebbe stato proprio il Beauharnais, sottoscrivendo una petizione presso le grandi potenze vittoriose riunitesi a Parigi. Poeticamente, invece, il Manzoni contribuì all’effimero sentimento patriottico con la stesura di due canzoni entrambe rimaste incompiute: Aprile 1814 (sette strofe scritte tra il 22 aprile e il 12 maggio 1814), in cui si rievoca il terremoto politico milanese in chiave patriottica e la denuncia verso la politica napoleonica; e Il proclama di Rimini (aprile 1815), ove Manzoni riflette sull’omonimo discorso tenuto dall’ex re di Napoli Gioacchino Murat per la difesa dell’Italia, e inquadrandolo come un Liberatore inviato da Dio per sottrarre gli italiani alla schiavitù. Manzoni e il dibattito tra classicisti e romantici Gli anni successivi alla conversione furono assai significativi per il panorama letterario e culturale italiano. L’Italia, ancorata a una salda tradizione classicista grazie ai magisteri passati di autori quali Parini e Alfieri, e attuali quali quello del Monti, fu costretta a confrontarsi con la nuova temperie romantica europea. Nel gennaio del 1816, infatti, l’intellettuale francese Madame de Staël pubblicò, sul primo numero del giornale letterario la Biblioteca Italiana, un articolo intitolato Sulla maniera e utilità delle traduzioni, in cui attacca l’ostinato ancoraggio degli italiani a una vacua retorica, ignorando invece le novità letterarie provenienti dalla Germania e dall’Inghilterra. Alla successiva querelle tra classicisti (capeggiati da Pietro Giordani) e romantici (tra i quali spiccano Ludovico di Breme e Giovanni Berchet), Manzoni non partecipò attivamente. Benché fosse apertamente dalla parte dei romantici (l’ode L’ira di Apollo testimonia, in chiave ironica, l’ira del dio della poesia pagano per essere stato escluso dai testi poetici) e partecipasse alla Cameretta letteraria animata da Ermes Visconti, Gaetano Cattaneo, Tommaso Grossi e, soprattutto, dal poeta dialettale Carlo Porta, Manzoni si rifiutò di collaborare apertamente sia alla Biblioteca Italiana che al successore della prima rivista, Il Conciliatore. Oltre all’interesse sempre crescente per la formulazione di una poetica cristiana e l’inizio delle indagini sul genere teatrale, furono determinanti anche la nevrosi depressiva che colpì Manzoni, per la prima volta, nel 1810 (in occasione dello smarrimento di Enrichetta) e, in modo sempre più debilitante, negli anni successivi: questo e la sua difficoltà a parlare in pubblico avevano minato i suoi rapporti interpersonali, costringendolo a una vita tranquilla e ritirata nei suoi possedimenti di Brusuglio o nella quiete del suo palazzo milanese. La produzione teatrale Decisiva fu l’impronta che Manzoni lasciò nella storia del teatro italiano. Dopo la stagione alfieriana, Manzoni intervenne sulla struttura e la finalità stessa del dramma, il quale non deve impegnarsi a descrivere il verosimile (fattore che esclude l’artificiosità delle unità aristoteliche) e i moti dell’anima dei protagonisti, campo d’indagine proprio del poeta e non degli storici di professione, come emerge dalla Lettera a Monsieur Chauvet del 1820. I frutti di tali riflessioni teoriche si possono cogliere nelle tragedie Il Conte di Carmagnola, la cui stesura fu rallentata a causa dei già noti problemi di natura nervosa che affliggevano l’autore e dell’impegno riversato nelle Osservazioni sulla morale cattolica e nella Pentecoste. La seconda tragedia, l’Adelchi, invece, fu edita nel 1822, mentre cominciava a profilarsi, nella mente di Manzoni, la visione narrativa del romanzo. La crisi del 1817 e le Osservazioni sulla morale cattolica (1818-1819) Nella primavera del 1817 Manzoni era andato incontro a una breve crisi spirituale,, determinata da più fattori, in particolare dall’appoggio della Chiesa alla Restaurazione: il liberale Manzoni non concepiva il conflitto tra la religione cristiana, in cui fermamente credeva, e l’orientamento politico della Chiesa Cattolica che non condivideva. La delusione che ne derivò portò all’acuirsi della sua malattia nervosa e a un conseguente raffreddamento nella pratica religiosa, come si evince da una lettera di Tosi al Degola, in cui il padre spirituale dello scrittore comunicava il superamento della crisi (14 giugno 1817). Anche con il futuro vescovo di Pavia c’era stato un piccolo scontro, presto dimenticato, quando Manzoni gli aveva manifestato il desiderio di tornare per un periodo a Parigi, incontrando un’opposizione che gli parve esagerata. Il sacerdote ravvisava infatti nel trasferimento un pericolo per la fede del discepolo, desideroso, al contrario, di rivedere Fauriel, e speranzoso di trarre beneficio per i propri disturbi nervosi. Manzoni chiese ugualmente di poter partire, ma in maggio la polizia gli negò i passaporti. Accantonata provvisoriamente l’ipotesi parigina, Manzoni interruppe il Conte di Carmagnola ritirandosi in campagna, dove si immerse nella lettura di testi filosofici che saranno alla base delle Osservazioni sulla morale cattolica. Le postille manzoniane agli autori studiati sono utili per determinare quali libri affrontasse in quei mesi e per scoprire come lo scrittore li giudicasse. Le postille a Locke, a Condillac e a Destutt de Tracy provano la distanza di Manzoni dal loro pensiero, ma la sua attenzione, nel preparare le Osservazioni, andò soprattutto all’Histoire des Républiques Italiennes di Sismondi, il cui sedicesimo e ultimo volume uscì a Parigi nel 1818. L’opera, che era stata la fonte principale della tragedia, recava nell’ultimo tomo delle violente accuse contro il cattolicesimo, suscitando nel canonico Tosi una reazione indignata, chiedendo così a Manzoni di controbattere: quest’opera apologetica vide le stampe nel 1819, pubblicata col titolo Sulla Morale Cattolica, osservazioni di Alessandro Manzoni, Parte prima. Il secondo soggiorno parigino (1819-1820) Già dal 1817, Manzoni pensava di ritornare a Parigi, luogo felice della giovinezza ove sperava di poter guarire dalle crisi di nervi di cui soffriva sempre più in modo accentuato. I preparativi per la partenza, però, furono sempre rimandati a causa della difficoltà di ottenere i passaporti da parte delle autorità austriache. Solamente nel 1819 Manzoni li ottenne, e con l’intera famiglia partì per la Francia il 14 settembre. Nella capitale francese, Manzoni frequentò lo storico Augustin Thierry e il filosofo Victor Cousin. La conoscenza di Thierry ebbe un’influenza importante sulla concezione manzoniana della storia, e una certa rilevanza ebbe anche lo spiritualismo di Cousin. Benché le idee di quest’ultimo non fossero del tutto eterodosse in materia di religione, affermazioni quali «Sans Dieu, l’homme et la nature restent un mystère» (senza Dio, l’uomo e la natura restano un mistero), oppure «La loi suprème, c’est […] la sainteté, le dévouement, la charité, l’amour du prochain; c’est surtout l’amour de Dieu» («La legge suprema consiste […] soprattutto nella santità, nella devozione, nella carità, nell’amore per il prossimo; si manifesta soprattutto nell’amore di Dio»). Manzoni, però, non trovò giovamento dal soggiorno parigino: le crisi di nervi non erano infatti passate, e cominciava a provare nostalgia di casa. Pertanto, dopo appena un anno, il 25 luglio partì da Parigi con tutta la famiglia per rientrare a Milano l’8 agosto. Passata l’estate, Alessandro iniziò gli anni più frenetici del quindicennio creativo, in cui elaborò quei concetti religiosi/provvidenzialistici che troveranno il culmine nell’Adelchi e nel Cinque maggio, basi fondamentali per l’economia de I promessi sposi, insieme all’inizio della riflessione linguistica, strutturale e artistica del genere del romanzo stesso. Il biennio 1820-1822: le basi del romanzo A partire dal novembre del 1820, infatti, Manzoni cominciò a stendere la tragedia dell’Adelchi. Concluso un primo abbozzo entro la primavera del 1821, improvvisamente Manzoni se ne distolse per riprendere in mano la poesia civile con la stesura di Marzo 1821, celebrante la presunta invasione del Lombardo-Veneto da parte delle truppe sardo-piemontesi dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele I. L’opera lirica (stesa tra il 15 e il 17 marzo), rispetto alle odi di sette anni prima, rivela una maggior compattezza strutturale e sicurezza sia nel tono del linguaggio, sia nel trattare gli stati d’animo dei patrioti italiani. Scemata l’euforia generale dopo il fallimento dei moti del 1820-1821, Manzoni rimise mano all’Adelchi, cominciando a leggere, come per il Conte di Carmagnola, varie fonti storiche (rielaborate nel coevo saggio storico intitolato Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia) perché ci fosse un’aderenza tra il vero storico (cioè gli eventi storici realmente accaduti) e il vero poetico (cioè l’inventio narrativa dello scrittore), concezione della storia appresa alla scuola di Thierry e degli idéologues. L’anno 1821, però, fu pregno di eventi significativi per la storia italiana ed europea: oltre ai moti sopracitati, infatti, il 5 maggio moriva sull’Isola di Sant’Elena l’esiliato Napoleone Bonaparte, notizia che però giunse in Europa soltanto nel mese di luglio. Manzoni aveva letto della scomparsa dell’ex imperatore dei francesi, infatti, su di un articolo della Gazzetta di Milano del 17 luglio 1821, e ne rimase profondamente turbato: il nobile meneghino era affascinato dal titanismo, dal carisma e dal genio militare di Napoleone, e immediatamente si accinse a stendere un’ode che ne ripercorresse la vita. Fu così che, tra il 18 e il 20 luglio, Manzoni compose Il cinque maggio, in cui la grandezza di Napoleone non risiede nelle sue imprese terrene, quanto nell’aver compreso, attraverso le sofferenze dell’esilio, la vanità delle glorie passate e l’importanza assoluta della salvezza. Il parallelo con le vicende di Adelchi e di Ermengarda, dimostra l’intreccio elaborativo di questi mesi, e della formulazione di quella provvida sventura che sarà alla base del romanzo. Dal Fermo e Lucia a I promessi sposi (1822-1827) Manzoni iniziò a dedicarsi alla scrittura di un romanzo a partire dall’autunno del 1821, ma la stesura vera e propria del Fermo e Lucia era iniziata il 24 aprile 1821, dopo aver letto l’Ivanhoe tradotto in francese. Nella quiete della sua villa di Brusuglio, Manzoni iniziò a scrivere il suo romanzo dopo aver quindi iniziato la lettura dei romanzi europei, specialmente inglesi, in quanto la letteratura italiana si era concentrata su altre tipologie di generi prosaici. Oltre a Walter Scott Manzoni, seguendo la metodologia già adottata per le tragedie, cominciò un vero e proprio lavoro di documentazione storica, basato sulla lettura della Historia patria di Giuseppe Ripamonti e dell’Economia e statistica di Melchiorre Gioia. In base alle postille lasciate dal Manzoni, la prima minuta del Fermo e Lucia (titolo suggerito dall’amico Ermes Visconti, come testimoniato in una lettera del 3 aprile 1822), consisteva in un foglio protocollo diviso in due colonne: a sinistra Manzoni scriveva il testo, mentre sulla destra riportava le correzioni. La seconda fase di stesura del romanzo, dovuta all’ultimazione dell’Adelchi e alla stesura del Cinque maggio, terminò il 17 novembre 1823 e il manoscritto fu edito nel 1825. Il passaggio dal Fermo e Lucia, la cui struttura narrativa risultava poco armonica a causa della divisione in tomi e di ampie parti narrative dedicate a suor Gertrude, a I promessi sposi fu alquanto travagliato per la ridefinizione dell’architettura dell’opera. Oltre al problema espositivo, Manzoni si accorse del linguaggio artificioso e letterario da lui usato, elemento non rispondente alle esigenze realistiche cui tendeva la sua poesia. Scegliendo il toscano come lingua colloquiale per i suoi personaggi, pubblicò la cosiddetta ventisettana (nome dato alla prima edizione de I promessi sposi) ma, consapevole della necessità di ascoltare direttamente l’eloquio di quella regione, decise di partire per Firenze. Il viaggio in Toscana (1827) Il Gabinetto Vieusseux e le basi della Quarantana Nel 1827 Manzoni si trasferì a Firenze per dare vita alla stesura finale del romanzo a livello formale e stilistico, in modo da entrare in contatto e “vivere” la lingua fiorentina delle persone colte, che rappresentava per l’autore l’unica lingua dell’Italia unita. Il viaggio, iniziato il 15 luglio, vide l’intera famiglia Manzoni (i figli, l’anziana madre Giulia e la moglie Enrichetta) passare per Pavia (dove si fermarono per salutare il canonico Tosi, divenuto vescovo della città), Genova, Lucca, Pisa e infine, il 29 agosto, nella capitale del Granducato di Toscana. Il soggiorno, che durerà fino a ottobre, fu un trionfo per don Alessandro: i membri del Gabinetto Vieusseux (con in testa Niccolò Tommaseo, lo stesso Giovan Pietro Vieusseux, Giovanni Battista Niccolini e Gino Capponi) gli vennero incontro con tutti gli onori, e anche lo stesso Giacomo Leopardi, che non ammirava né condivideva l’ideologia e la poetica del Manzoni, lo salutò cordialmente. La fama de I promessi sposi superò presto i confini dei circoli letterari, giungendo presso la stessa corte granducale, ove Leopoldo II in persona ricevette il romanziere. Durante questi incontri (impegnativi per Manzoni, per via dei suoi problemi nervosi), don Alessandro approfondì la sua indagine linguistica, avvalendosi del contatto diretto sia con la nobiltà fiorentina, sia con il popolo, notando la somiglianza della terminologia utilizzata dalle due classi. Il frutto di tali osservazioni fu fondamentale per la scelta del fiorentino (in luogo del generico toscano) come lingua quotidiana per i personaggi del suo romanzo, scelta che portò, nel corso degli anni trenta, a rivedere i suoi promessi sposi, pubblicandoli definitivamente nel 1840 (da qui il nome di Quarantana) insieme alla Storia della colonna infame, un saggio che riprende e sviluppa il tema degli untori e della peste, che già tanta parte aveva avuto nel romanzo, del quale inizialmente costituiva un excursus storico. Gli anni del silenzio (1827-1873) I primi lutti familiari e il secondo matrimonio La quiete famigliare su cui Manzoni aveva instaurato il proprio regime di vita quotidiana, basato sull’affetto che Enrichetta, la madre e i figli nutrivano per lui, si frantumò a partire dagli anni trenta, allorché lo colpirono i primi lutti famigliari: il primo fu quello per l’adorata moglie Enrichetta, morta il 25 dicembre 1833 di tabe mesenterica, malattia contratta a seguito delle numerose gravidanze. Il dolore di Manzoni fu tale che, quando nel 1834 cercò di scrivere Il Natale del 1833, non riuscì a completare l’opera. Dopo Enrichetta, Manzoni vide morire l’adorata figlia primogenita Giulia, già moglie di Massimo d’Azeglio, il 20 settembre del 1834. Il 2 gennaio 1837, grazie agli uffici della madre e dell’amico Tommaso Grossi, sposò Teresa Borri, vedova del conte Decio Stampa e madre di Stefano, figura cui il Manzoni fu molto legato. La nuova moglie di Manzoni, al contrario di Enrichetta, era dotata di una forte personalità e di una buona cultura letteraria. A causa del suo carattere forte e protettivo nei confronti dell’adorato marito, Teresa entrò presto in conflitto sia con l’anziana suocera, sia con lo stesso Grossi, che dovette abbandonare il palazzo di via del Morone dove abitava da più di vent’anni. Gli anni successivi furono ancora costellati dalla morte di molti dei suoi cari: della figlia Cristina (27 maggio 1841), seguita due mesi dopo dalla madre Giulia Beccaria (7 luglio) e, infine, dell’amico Fauriel (1844). Il 1848 e l’esilio a Lesa: Antonio Rosmini e la critica al romanzo Milano, come le altre grandi città europee, non fu immune dalle rivolte che esplosero in tutta Europa: durante le famose cinque giornate di Milano i patrioti riuscirono a scacciare, seppur momentaneamente, gli austriaci del feldmaresciallo Radetzky dalla città. Tra questi uomini imbevuti dell’epos risorgimentale c’era anche il figlio ventiduenne del Manzoni, Filippo, che finì incarcerato all’inizio dei combattimenti. Se il figlio combatteva sulle barricate, il padre Alessandro pubblicò quelle odi politiche (Aprile 1814 e Marzo 1821) che, per timore della rappresaglia austriaca, non aveva mai edito. Al momento del rientro di Radetzky, Manzoni, timoroso di subire delle ripercussioni per il suo sostegno “morale” alla causa risorgimentale, si rifugiò a Lesa, dove la moglie Teresa aveva una villa. Il soggiorno di Lesa, che durerà fino al 1850, non fu un esilio infecondo: a Stresa, non molto lontano, viveva il grande filosofo e sacerdote Antonio Rosmini, conoscente del Manzoni già dal 1827. Il ritiro sul lago Maggiore servì allo scrittore per conoscere meglio l’animo e il pensiero del Rosmini, del quale apprezzò profondamente la personalità e la pietà (oltre alle discussioni religiose, linguistiche e politiche), come si può desumere dal folto carteggio epistolare fra i due uomini. Questi anni, dal punto di vista strettamente letterario, videro Manzoni rigettare quell’equilibrio tra vero storico e vero poetico impostato nel suo romanzo. Attratto in maniera crescente dagli studi linguistici, storici e filosofici, Manzoni sentì sempre più necessaria e urgente la ricerca della "verità oggettiva" condannando, nel saggio Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e di invenzione e nel dialogo Dell’Invenzione (pubblicati entrambi del 1850), la commistione tra inventio e historia. Gli anni del Risorgimento: lutti privati e simbolo della Patria Gli anni seguenti furono assai penosi: nel 1853 morì Tommaso Grossi, nel 1855 l’amico Rosmini e l’anno successivo la figlia Matilde, da tempo ammalata di tisi; nel 1858 lo zio Giulio Beccaria e nel 1861 la moglie Teresa, la cui salute era stata irrimediabilmente compromessa dopo una difficoltosa gravidanza anni addietro. Questa serie di lutti fu alternata dal conferimento di onorificenze da parte del neonato Regno d’Italia, e dalle visite di illustri ospiti. Il 29 febbraio 1860, ancor prima della proclamazione ufficiale del nuovo Stato unitario, fu nominato senatore del Regno di Sardegna per meriti verso la patria. Con questo incarico votò nel 1864 a favore dello spostamento della capitale da Torino a Firenze fintanto che Roma non fosse stata liberata. Dal punto di vista intellettuale, gli ultimi anni videro Manzoni, oltre che conversare col Rosmini, scrivere saggi storici (La Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione italiana del 1859: saggio comparativo) e linguistici intorno alla lingua italiana. Come presidente della commissione parlamentare sulla lingua, infatti, Manzoni scrisse, nel 1868, una breve relazione sulla lingua italiana (Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla) indirizzata al ministro Broglio, in cui si cerca di trovare una soluzione pratica alla diffusione del fiorentino in tutta Italia. Il 28 giugno 1872 fu nominato cittadino onorario di Roma. La morte e il funerale Manzoni, a parte i disturbi nervosi da cui era affetto e una malattia che lo colpì nel 1858, godette sempre di ottima salute. L’anno 1873 fu però l’ultimo della sua vita: il 6 gennaio cadde battendo la testa su uno scalino all’uscita dalla chiesa di San Fedele di Milano, procurandosi un trauma cranico. Manzoni si accorse, già dopo qualche giorno, che le sue facoltà intellettive cominciavano lentamente a scemare, fino a cadere in uno stato catatonico negli ultimi mesi di vita. Le sofferenze furono acuite dalla morte del figlio maggiore Pier Luigi, avvenuta il 28 aprile, e quasi un mese dopo, il 22 maggio alle ore sei e quindici del pomeriggio, spirò per una meningite contratta a seguito del trauma. Il corpo fu poi imbalsamato da sette medici incaricati del processo da parte del Comune di Milano tra il giorno 24 e il 27 maggio. Ai solenni funerali del Senatore, celebrati in Duomo il 29, parteciparono le massime autorità dello Stato, tra cui il futuro re Umberto I, il ministro degli esteri Emilio Visconti Venosta e le rappresentanze della Camera, del Senato, delle Province e delle Città del Regno . Felice Venosta ne narra i particolari descrivendo, non senza note di patetismo, lo stato d’animo in cui versava la città al momento della sua scomparsa: Dopo la morte Elogi e critiche L’attacco dei cattolici reazionari La scomparsa di Alessandro Manzoni non suscitò unanime cordoglio: il mondo cattolico più reazionario e clericale, per esempio, non ne compianse la morte. Anzi, i gesuiti de La Civiltà Cattolica la passarono sotto silenzio, per poi scagliarsi contro il Manzoni scrittore e cristiano nell’articolo del 26 giugno 1873, Alessandro Manzoni e Giuseppe Puccianti. Nel grave dissidio tra le due anime del cattolicesimo italiano dell’epoca, Manzoni veniva ritenuto, anche da altri sostenitori dell’ala reazionaria, il vessillo tramite cui i liberali poterono attuare la loro politica laicista e l’abbattimento del potere temporale dei papi. A tal proposito don Davide Albertario, uno dei più accesi critici della religiosità manzoniana e “paradigma” delle accuse mosse dagli zelanti al liberale Manzoni, non risparmiò dure critiche sull’ambiguità del comportamento di Alessandro: Benedetto Croce, nel 1941, riportò come ancora a distanza di anni dopo la morte di Manzoni i cattolici “intransigenti” facessero sentire la loro voce tramite quella di Giovanni Papini: Onoranze postume Nel 1874, nel primo anniversario della morte, Giuseppe Verdi diresse personalmente nella chiesa di San Marco di Milano la Messa di requiem, composta per onorarne la memoria. La mattina del 22 maggio 1883, a dieci anni esatti dalla morte, in presenza del duca di Genova e di una rappresentanza parlamentare, con una cerimonia pubblica la salma fu tolta dal Colombario e posta nel famedio del Cimitero Monumentale di Milano in una tomba di granito rosso con inciso solo il suo nome; nel pomeriggio fu inaugurato il monumento in piazza San Fedele, opera di Francesco Barzaghi. Il 29 dicembre 1923, in occasione del cinquantesimo anno dalla morte, il Regno d’Italia emise una serie commemorativa di sei francobolli ceduta in parte al comitato promotore della celebrazione. La critica letteraria su Manzoni Il mito manzoniano: tra luci e ombre Le prime biografie di Manzoni furono scritte da Cesare Cantù (1885), Stefano Stampa (edita anch’essa nel 1885, in risposta a delle inesattezze del Cantù), Cristoforo Fabris, Angelo De Gubernatis (1879), mentre una parte delle lettere di Manzoni fu pubblicata da Giovanni Sforza nel 1882. La figura enigmatica dello scrittore, costantemente afflitto da sintomi depressivi e relegato ad una vita appartata e isolata dagli eventi mondani, spinsero Paolo Bellezza a comporre il saggio Genio e follia in Alessandro Manzoni (1898), in cui si analizzano paure bizzarre dello scrittore, quali l’agorafobia, gli svenimenti continui e la paura delle pozzanghere. Manzoni non fu però solo oggetto di indagini psicoanalitiche, ma anche di vere e proprie critiche nel campo strettamente letterario: in primo luogo dagli Scapigliati, che videro in Manzoni l’espressione del perbenismo borghese da loro tanto detestato; da Giosuè Carducci, estimatore dell’Adelchi ma implacabile verso il romanzo; da Luigi Settembrini, autore del Dialogo tra Manzoni e Leopardi in cui l’anticlericale napoletano si burla della sua fede cattolica. Ammirazione incondizionata, invece, venne da Francesco De Sanctis, Giovanni Verga, Luigi Capuana e da Giovanni Pascoli, che gli dedicò il saggio critico Eco di una notte mitica (1896). Nel Novecento, a causa dei movimenti anticlassicisti delle avanguardie, dell’evoluzione della lingua e all’edulcoramento della figura del romanziere che veniva insegnata nelle scuole, Manzoni subì varie critiche da parte di letterati e intellettuali: tra questi, D’Annunzio, avverso alla teoria linguistica manzoniana, il “primo” Croce e il marxista Gramsci, che accusò Manzoni di paternalismo. La più importante apologia del Manzoni fu operata dal filosofo Giovanni Gentile, che nel 1923 lo definì, in una conferenza alla Scala, un «grande maestro nazionale» come già avevano fatto Mazzini e Gioberti, ravvisando in lui il promotore di quell’idealismo religioso, in cui Gentile si riconosceva, che costituiva ai suoi occhi le fondamenta del Risorgimento italiano. In difesa di Manzoni si schiererà anche Carlo Emilio Gadda, che al suo esordio pubblicò nel 1927 l’Apologia manzoniana, e nel 1960 attaccò il piano di Alberto Moravia di affossarne la proposta linguistica. Soltanto nel Secondo Novecento, grazie agli studi di Luigi Russo, Giovanni Getto, Lanfranco Caretti, Ezio Raimondi e Salvatore Silvano Nigro si è riusciti a “liberare” Manzoni dalla patina ideologica di cui era stato rivestito già all’indomani della sua morte, indagandone con occhio più libero di pregiudizi la poetica e, anche, la modernità dell’opera. Pensiero e poetica Tra illuminismo e romanticismo Gli esordi neoclassici e illuministi Dopo il periodo della prima giovinezza, caratterizzato da una formazione basata sullo studio dei grandi classici antichi e italiani, il giovane Alessandro entrò in contatto prima col giacobinismo italiano (Lomonaco e Cuoco) poi, dal 1805 in avanti, con il gruppo degli Idéologues francesi (Fauriel, Cabanis). Il risultato fu che il giovane Manzoni aderì fino agli ultimi anni del primo decennio dell’Ottocento a un illuminismo scettico nel campo della religione, in cui predominava il valore per la libertà propugnata dagli ideali rivoluzionari, filtrandoli con gli apporti paideutico-educativi propri della lezione di Giuseppe Parini, del nonno Cesare Beccaria e di Pietro Verri. Dopo la conversione: il Manzoni illuminista Neanche dopo la conversione al Cattolicesimo nel 1810 e il rifiuto dei versi dell’Urania (1809), Manzoni abbandonò totalmente l’apporto illuminista della ragione, della coscienza individuale, e i valori della sua prima educazione. Riconoscendo il ruolo civile del letterato (apporto proprio dell’illuminismo milanese e dell’Alfieri), Manzoni intervenne più volte, sia in privato che nel circolo dell’azione letteraria, nelle vicende della storia, come attestano le Odi civili del 1814 e del 1821. Comunque, il manifesto di questa vocazione “civile” è pienamente espresso a più riprese nella Lettera sul Romanticismo inviata al marchese Cesare d’Azeglio (1823), in cui Manzoni ribadisce il valore sociale che un’opera d’arte letteraria deve avere come principale finalità: L’affinità col romanticismo L’elemento romantico nella produzione poetica manzoniana emerge negli Inni Sacri, dove per la prima volta l’io del poeta si eclissa a favore di un’universalità corale che eleva il suo grido di speranza e la sua fiducia in Dio. La moltitudine degli uomini, il sentimento religioso e l’attenzione ai moti dell’anima nel cuore dei fedeli sono tutti elementi che avvicinano Manzoni al nascente movimento romantico, rendendo il giovane poeta meneghino e la cultura d’oltralpe legati da vincoli estetici e poetici affini. Oltre alla dimensione “ecclesiale” della religiosità manzoniana, non si può dimenticare, per quanto riguarda l’attenzione al popolo, l’apporto fondamentale della storiografia francese di Augustin Thierry e degli idéologues in generale, che propugnavano di incentrare la storia sugli umili, piccoli personaggi che non scemano nell’oblio del tempo perché non sono oggetto d’interesse da parte dei cronisti loro coevi e che subiscono violenza per le decisioni dei potenti. Il cattolicesimo manzoniano Il ruolo della Provvidenza e il giansenismo Persa, alla fine dei primi anni dell’Ottocento, la speranza di raggiungere la serenità per mezzo della ragione, la vita e la storia gli parvero romanticamente immerse in un vano, doloroso, inspiegabile disordine: bisognava trovare un fine salvifico che potesse aiutare l’uomo sia a costituire un codice etico da praticare nella vita terrena, sia a sopportare i mali del mondo in previsione della pace celeste. Il critico Alessandro Passerin d’Entrèves sottolinea l’importanza che ebbero Blaise Pascal e i grandi moralisti francesi del Seicento (Bossuet) nella formazione religiosa del Manzoni: da essi l’autore aveva attinto l’ambizione a conoscere l’animo umano e «la convinzione che il cristianesimo è l’unica spiegazione possibile della natura umana, che è stata la religione cristiana che ha rivelato l’uomo all’uomo», trovando nei loro insegnamenti quella fiducia nella religione come strumento di sopportazione dell’infelicità umana. La fiducia in Dio è il punto di distacco dal pessimismo propugnato da Giacomo Leopardi. Su un terreno così impregnato di pessimismo esistenziale, gioca un ruolo fondamentale la Provvidenza, cioè il modo misterioso con cui Dio agisce nella vita umana elargendo la Salvezza ai suoi figli. Appresa alla scuola del moralista seicentesco Bossuet, la Provvidenza giocherà un ruolo fondamentale non soltanto all’interno de I promessi sposi, ma anche delle altre opere “minori”: i vari personaggi manzoniani dovranno subire patimenti e ingiustizie all’interno del mondo, e soltanto l’agire della Provvidenza (chiamata, in questo contesto doloroso, anche con il nome di provvida sventura) permetterà loro di divenire vittime e di ottenere quella giustizia attesa vanamente sulla terra e che sarà invece elargita in Cielo. Questa visione così pessimista del mondo è dovuta, anche, alle venature profondamente gianseniste che i direttori spirituali di Manzoni, Degola prima e Tosi poi, gli hanno impartito nell’affrontare le vicende umane. In realtà, però, Manzoni rimase sempre, dal punto di vista dogmatico, un cattolico, mantenendo soltanto una severa morale di vita vicina agli ambienti giansenisti. Come sottolinea Giuseppe Langella, sulla questione fondamentale della Grazia «Manzoni si attiene senza riserve all’insegnamento ufficiale della Chiesa, confida nell’esortazione apostolica del vangelo secondo Matteo: “petite, et dabitur vobis”… Nessuna discriminazione, dunque, nell’offerta misericordiosa della grazia. Manzoni è perentorio: l’aiuto divino non è negato a nessuno che lo chieda…». Manzoni drammaturgo e romanziere Tra morale e realismo Il palcoscenico, secondo Manzoni, non deve veicolare passioni e forti emozioni, nell’esasperazione dell’io del protagonista, ma indurre lo spettatore a meditare sulle scene cui assiste: all’«identificazione emozionale» di Racine e del teatro francese bisogna sostituire la «commozione meditata», per dirla con Gino Tellini. La vicenda e la rappresentazione devono trasmettere un messaggio cristiano, senza per questo presentare una realtà idilliaca: al contrario, Manzoni va in cerca di personaggi, che, come Francesco Bussone (il conte di Carmagnola), si oppongano al male che domina la società umana, anche a prezzo della loro vita. L’importante è che il drammaturgo cerchi la verità e si mantenga fedele alla realtà storica (il vero storico), lasciando al poeta il compito di indagare ciò che il cuore umano del protagonista può aver provato in un determinato contingente. Si profila, pertanto, quella forte vena realistica che dominerà anche l’economia del romanzo, dal Fermo e Lucia fino alla Quarantana de I promessi sposi, dove il realismo emerge proprio dall’ultimo capitolo: non c’è un lieto fine, ma una ripresa della vita quotidiana spezzata però dalle disavventure dei protagonisti. L’allontanamento da Lecco di Renzo e Lucia e la ripresa delle attività giornaliere sono il frutto della scelta, da parte dell’autore, di far continuare, nelle situazioni della vita quotidiana, le vite dei due protagonisti all’interno della quotidianità storica. La Questione della lingua in Manzoni Manzoni, sulla spinta del romanticismo e della sua necessità di instaurare un dialogo con un vasto pubblico eterogeneo, si prefisse lo scopo di trovare una lingua in cui ci fosse un lessico pregno di termini legati all’uso quotidiano e agli ambiti specifici del sapere, e priva di una grande disparità tra la lingua parlata e quella scritta. Questo percorso, iniziato già all’indomani della pubblicazione del Fermo e Lucia, vide Manzoni passare, tra il 1822 e il 1827, dal “compromesso” della buona lingua letteraria all’avvicinamento col toscano, e si concluse dopo anni di studi linguistici (facilitati anche dalla presenza della governante fiorentina Emilia Luti) nel 1840 con la revisione linguistica de I promessi sposi sul modello del fiorentino colto, che presentava ancor più del toscano questa dimensione unitaria tra la dimensione orale e quella letteraria. Infatti, tra l’edizione del 1827 e quella del 1840 vengono eliminati tutti quei lemmi toscani municipali e distanti dall’uso del fiorentino corrente. Tale scelta linguistica, benché approvata dal ministro Emilio Broglio nella relazione del 1868, non fu accettata da tutti i contemporanei del Manzoni: Carlo Tenca, in un articolo datato 11 gennaio 1851 della rivista «Crepuscolo», si oppose alla soluzione manzoniana. L’uomo Manzoni Una vita a prima vista tranquilla Come conseguenza del suo stile di vita estremamente riservato, non è facile inquadrare Manzoni come uomo. Egli visse perlopiù appartato dalla vita pubblica, mantenendosi estraneo dai principali eventi mondani della città (se si eccettua la frequentazione del salotto intellettuale tenuto da Clara Maffei) e distante dall’impegno politico attivo dei grandi moti nazionalistici che stavano sconquassando l’Italia nel pieno del fervore risorgimentale, mantenendo però una posizione culturalmente e moralmente favorevole alla causa dell’Unità (si vedano l’Adelchi e Marzo 1821), che lo spingerà ad accettare la nomina a senatore a vita durante la vecchiaia. La ragione di questo atteggiamento, oltre che al carattere del Manzoni, è forse da ricercare nei suoi continui disturbi nevrotici (che curava con lunghissime passeggiate e uno stile di vita estremamente regolare) come agorafobia, attacchi di panico, ipocondria, svenimenti, fobie varie (timore della folla, dei tuoni e delle pozzanghere). Amante del quieto vivere, condusse apparentemente una vita silenziosa tra Brusuglio (ove lo scrittore si dilettava di botanica e giardinaggio, intessendo con Fauriel un ricco epistolario al riguardo) e via del Morone, dedito ai suoi studi, alla cura della famiglia (anche se, per i complessi di cui era afflitto, era sempre oggetto di cure da parte dei suoi cari) e alla coltivazione delle amicizie più strette. Nella conversazione usava l’italiano con i visitatori provenienti da altre regioni italiane, ma soprattutto adoperava il dialetto milanese nella vita quotidiana. Inetto nell’amministrazione dei suoi beni, dimostrava al contrario una grande attenzione nei confronti del mondo che lo circondava, non mancando di giudicare, placidamente e con ironia, gli eventi politici e sociali di cui veniva a conoscenza, o di adottare autoironia verso i suoi mali. Le persone a lui più vicine ne sottolineavano la cortesia, la memoria vivacissima, l’ingegno e una capacità discorsiva elegante, benché minato dalla balbuzie di cui lo scrittore era afflitto. La descrizione fisica Il figliastro Stefano Stampa, infine, offre un ritratto fisiognomico assai dettagliato del patrigno, delineandone anche i movimenti e quel sorriso indice del suo carattere ironico: Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Alessandro_Manzoni

Elio Pagliarani

Elio Pagliarani (Viserba, 25 maggio 1927 – Roma, 8 marzo 2012) è stato un poeta e critico teatrale italiano. Ha lavorato nel mondo editoriale ed è stato critico teatrale del quotidiano Paese sera dal 1968 al 1987. È stato tra i principali esponenti della neoavanguardia (comparendo tra l’altro nell’antologia I novissimi del 1961), uno dei protagonisti del Gruppo '63, all’interno della quale ha occupato tuttavia una posizione autonoma e personale. La sua poesia, non priva di toni populistici e crepuscolari, nasce dalla cronaca e dalla vita quotidiana; prosa, inserzioni dialettali, collage di vario tenore sono gli ingredienti del suo stile. Ha anche pubblicato testi teatrali. Pagliarani è stato uno scrittore che ha saputo costantemente reinventarsi nel corso degli anni. Da un lato una fedeltà quasi fotografica al reale, e al mondo della piccola gente, dal sottoproletariato a impiegati come La ragazza Carla, la sua opera più significativa e riconosciuta; dall’altro l’uso di una serie di procedimenti tecnico-formali tipici delle avanguardie, una capacità inusuale di giocare con la lingua e i suoi ritmi. Biografia e opere Nasce il 25 maggio 1927 a Viserba, in Romagna, da Giovanni e da Pasquina Pompili. Il nome di famiglia ha sempre oscillato, anche negli atti anagrafici, tra Pagliarani e Paglierani. Viserba, oggi frazione di Rimini, allora un borgo di piccola industria (sede di una corderia ove si lavorava soprattutto il lino) e turismo (l’attività balneare aveva appena preso le mosse) attirava una popolazione di estrazione contadina, per lo più originaria della non distante Santarcangelo. Il padre proveniva da una famiglia di allevatori di cavalli ed esercitava la professione di vetturale: imparentato alla lontana con quel Luigi Pagliarani investito e poi prosciolto (ma nel 2001 il “caso” è stato riaperto) dall’accusa di essere stato esecutore materiale, nel 1867, dell’assassinio di Ruggero Pascoli, padre di Giovanni e amministratore della tenuta dei Torlonia nella vicina San Mauro. Laureatosi in Scienze politiche a Padova, si trasferisce negli anni quaranta a Milano, dove lavora nella scuola e collabora a giornali e riviste. Negli anni sessanta il poeta si trasferisce a Roma, abitando, fra l’altro, dalla fine degli anni '60 al 1991, nello storico indirizzo di Via Margutta 51 A, interno 29, quello la cui terrazza, un tempo fiorita di gelsomini, rose e viole, troneggia sull’ampio giardino a ghiaietta dello stabile. Collaboratore attivo e presente sulla scena della nuova cultura, Pagliarani, collabora alle più importanti riviste del secondo Novecento, tra le quali Officina, Quindici, Il Verri, Nuovi argomenti, Il Menabò. Nel 1971 fonda la rivista Periodo Ipotetico diventandone il direttore; fa pure parte della redazione di Nuova Corrente. Negli anni Ottanta fonda e dirige con Alessandra Briganti la rivista di Letterature Ritmica. Negli anni cinquanta svolge la sua attività come redattore dell’Avanti e a partire dal 1968, diventa critico teatrale per Paese Sera. Oltre a far parte del Gruppo 63 e ad essere presente nell’antologia dei Novissimi, fu tra i fondatori della Cooperativa di scrittori. Risale al 1954 la sua prima raccolta di poesie, Cronache e altre poesie a cui seguiranno Inventario privato nel 1959 e, nello stesso anno, nel n.14 di Nuova Corrente “Progetti per la ragazza Carla”. Il poemetto sarà poi interamente pubblicato nel 1960 nel n.2 de Il Menabò e ripubblicato nel 1962, insieme alla precedente produzione con il titolo La ragazza Carla e altre poesie. Nel 1964 l’autore pubblica Lezione di fisica che nel 1968 farà parte di Lezioni di fisica e Fecaloro. La ballata di Rudi Inizia in questo periodo la stesura de La ballata di Rudi, il suo secondo romanzo in versi, di cui una parte verrà pubblicata nel 1977 con il titolo Rosso corpo lingua oro pope-papa scienza. Doppio trittico di Nandi mentre l’edizione definitiva e completa si avrà solamente nel 1995. La ballata di Rudi narra le vicende del protagonista eponimo e di una serie di personaggi di contorno, nell’arco di trent’anni. Rudi è un animatore / di balli sull’Adriatico che nel secondo dopoguerra si trasferisce a Milano. Qui prosegue l’attività di intrattenitore in un night club, incoraggiando la prostituzione delle ragazze che lavorano nel locale.La voce narrante del poemetto è a sua volta un protagonista (si tratterebbe, utilizzando un termine coniato da Gérard Genette per i testi narrativi, di un narratore intradiegetico). Nel corso della narrazione affiorano i suoi ricordi d’infanzia: In un’intervista, Pagliarani dichiarò che il personaggio di Rudi era ispirato a una figura da lui realmente conosciuta negli anni '40. Tra gli altri personaggi possiamo ricordare Armando, un tassista abusivo a cui sono dedicati i componimenti XI– XVII del poemetto. Un suo cliente abituale gli propone di collaborare a un contrabbando di denaro in Venezuela. Armando accetta sperando di poter comprare la licenza da tassista con il compenso promesso, ma viene bidonato dal faccendiere.La storia di Armando è narrata dal tassista stesso, e il narratore scompare in questo micro-racconto interno. In quasi tutti i componimenti ci sono però più voci che si alternano, in un flusso privo di segni di interpunzione, dove il passaggio dal monologo interiore a vivaci battibecchi con gli altri interlocutori è scandito tipograficamente (ma non sempre) dalla disposizione dei versi “a gradini”. Ai componimenti che raccontano le gesta di Rudi, Armando e altri personaggi sordidi, si alternano riflessioni di poetica (A spiaggia non ci sono colori) e memorie della vita dei braccianti del mare, in contrapposizione violenta con lo sfacelo morale dell’Italia degli anni Cinquanta. Dopo la morte di Rudi nei primi anni sessanta le cose non migliorano, come suggerisce la poesia Contatta Sagredo, dove personaggi ancora più amorali entrano in scena.Sagredo (alla pari di Rudi) è uno sfruttatore di prostitute, che si nasconde dietro un’immagine di raffinatezza e perbenismo. Il poemetto si chiude con un’epigrafe che è una proposta di resistenza e riapre uno spiraglio di ottimismo: La ballata di Rudi ha vinto il Premio Viareggio per la poesia nel 1995. Gli ultimi anni Tra l’ultima produzione si segnala La bella addormentata. Dal 1988 è stato direttore della videorivista internazionale di poesia VIDEOR. Nel 1998 riceve il Premio Speciale della Giuria del Campiello alla carriera letteraria.Muore a Roma l’8 marzo 2012, all’età di 84 anni. Nel 2015 nasce il Premio Nazionale Elio Pagliarani, dedicato alla poesia italiana contemporanea edita e inedita. Poetica La poesia di Pagliarani affronta temi realistici, come quello del lavoro, dell’economia e della vita delle classi subalterne, trasfigurando il testo poetico fino a trasformarlo in un racconto con andamento polifonico e “corale” che diventa, con il trascorrere del tempo, sempre più frammentario e discontinuo.Pagliarani ricerca la ritmicità poetica nel discorso quotidiano, anche se a un’attenta analisi metrica, molti componimenti sono riconducibili a misure tradizionali (come l’endecasillabo), che emergono a tratti, dissimulati nel verso lungo. Pagliarani sperimenta il verso lungo attraverso il verso “a scaletta” ripreso dalla poesia di Majakovskij rendendo così la poesia tipico mezzo di analisi del vissuto. Un’altra sua tecnica, ripresa dalla poesia di Ezra Pound, è quella dell’inserimento nel discorso poetico di frammenti di testi tecnici o cronachistici (come il manuale di dattilografia nella Ragazza Carla, o brani di articoli di giornale nella Ballata di Rudi). Opere Poesia * Cronache ed altre poesie, Schwarz, Milano, 1954 * Inventario privato, Veronelli, Milano, 1959 * La ragazza Carla in "menabò 2", 1960 * La ragazza Carla e altre poesie, Mondadori, Milano, 1964 * Lezione di fisica, Scheiwiller, Milano, 1964 * Lezione di fisica e Fecaloro, Feltrinelli, Milano, 1968 * Rosso Corpo Lingua oro pope-papa scienza– Doppio trittico di Nandi con un saggio di Gabriella Sica, Cooperativa Scrittori, Roma, 1977 * Poesie da recita (La ragazza Carla – Lezioni di fisica e Fecaloro – Dalla ballata di Rudi) a cura di Alessandra Briganti, Roma, 1985; brani tradotti in francese da J.-Ch. Vegliante (v. pure: Epigrammi) * Esercizi platonici, Palermo, Acquario, 1985 * Epigrammi ferraresi, introduzione di Romano Luperini, Manni Editori, Lecce, 1987 * La bella addormentata nel bosco, Corpo 10, Milano, 1988. * La ballata di Rudi, Marsilio, Milano, 1995. * Per il duemila immediato futuro, disegni a mano di Cosimo Budetta, Intervento di Francesca Bernardini Napoletano, Ogopogo, Agromonte, 1998. * Quattro epigrammi da Savonarola, disegni a mano di Cosimo Budetta, Nota introduttiva di Francesca Bernardini Napoletano, Ogopogo, Agromonte, 1998. * A Liarosa vent’anni dopo, acquerello di Eugenia Serafini, Osnago, edizioni Pulcinoelefante, 2001. * La Ragazza Carla A Girl named Carla, translated into English by Luca Paci with Huw Thomas, Troubador, Uk,2006 Antologie * I maestri del racconto italiano (in collaborazione con Walter Pedullà), Rizzoli, Milano, 1964 * Manuale della poesia sperimentale (in collaborazione con Guido Guglielmi), Mondadori, Milano, 1966 * Tutte le poesie (1946-2005), Garzanti, Milano, 2006 Teatro * Le sue ragioni (musica di Angelo Paccagnini), Milano, 1960 * Pelle d’asino (in collaborazione con Alfredo Giuliani), Scheiwiller, Milano, 1964 * Rosso Corpo Lingua (musica di Andrea Ciullo), Galleria Arti Visive di Sylvia Franchi, Roma, 1979 * A tratta si tirano da “La ballata di Rudi” (musica di Andrea Ciullo), Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 1983 * La bella addormentata nel bosco, Corpo 10, Milano, 1987 * La bestia di porpora o Poema di Alessandro ne L’Illuminista, rivista di cultura contemporanea diretta da Walter Pedullà,n.2-3, autunno inverno 2000, pp. 41–87 * IV Epigramma dagli “Eccetera di un contemporaneo” (musica di Andrea Ciullo), E-theatre, Roma, 2007 * Tutto il teatro, a cura di Gianluca Rizzo, Venezia, 2013 Saggistica * Il fiato dello spettatore, Marsilio, Padova, 1972; nuova edizione Il fiato dello spettatore e altri scritti sul teatro, a cura di Marianna Marrucci, L’orma editore, Roma, 2017, ISBN 978-88-997-9322-7 * Giovanni Pascoli, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1998 * Epigrammi. Da Savonarola, Martin Lutero..., Manni Editori, Lecce, 2001 Opere complessive * La ragazza Carla e nuove poesie, a cura di Alberto Asor Rosa, Mondadori, Milano, 1978 * Poesie da recita. La ragazza Carla, Lezione di fisica e Fecaloro, dalla Ballata di Rudi, a cura di Alessandra Briganti, Bulzoni, Roma, 1985 * Poesie d’amore e disamore, a cura di Plinio Perilli, Mancosu, Roma, 1994 (contiene le prime due raccolte) * La pietà oggettiva. (Poesie 1947-1997), a cura di Plinio Perilli, Fondazione Piazzolla, Roma, 1997 * Romanzi in versi (La ragazza Carla, La ballata di Rudi), Mondadori, Milano, 1997 * Tutte le poesie(1946-2005), a cura di Andrea Cortellessa, Garzanti, Milano, 2006 Bibliografia della critica * Franco Fortini, Pagliarani, 1959, in Id. Saggi italiani, Milano, 1987 * Giovanni Raboni, Tre libri di poesia, in “aut aut” 1963, ora in Id., La poesia che si fa, Milano, 2005 * Guido Guglielmi, Recupero della dimensione epica, in “Paragone”, XIV, 1963 * Enzo Siciliano, in Prima della poesia, Firenze, 1965 * Costanzo Di Girolamo, Elio Pagliarani, in “Belfagor”, XXIX, 1974 * Walter Pedullà, Elio Pagliarani, in AA.VV., Letteratura italiana. I contemporanei, vol. VI, Milano, 1974 * Walter Siti, Lezioni di fisica e Fecaloro, in Id., Il realismo dell’avanguardia, Torino, 1975 * Romano Luperini, Elio Pagliarani, in Il Novecento, Torino, 1981 * Gabriella Di Paola, La ragazza Carla:linguaggio e figure, con una premessa di Ignazio Baldelli, Roma, 1985 * Jean-Charles Vegliante, Pagliarani, la poesia “quando ristagna il ritmo...”, in “Les Langues Néo-Latines” 266, 1988 (p. 63-70) * G. Pianigiani, La Ballata di Rudi di Elio Pagliarani: romanzo-partitura e drammaturgia antilirica, in “Allegoria”, n. 23, a. VIII, 1996 * Fausto Curi, Pagliarani, in Id. La poesia italiana del Novecento, Bari Roma, 1999 * M. Marrucci, Effetti di romanzizzazione in Elio Pagliarani, in “Moderna”, n.2, a. II, 2000 * C. Eccher, Sulla Ballata di Rudi di Elio Pagliarani, in “Avanguardia”, n. 20, a. VII, 2002 Luigi Ballerini, Della violenta fiducia ovvero di Elio Pagliarani in prospettiva, in Elio Pagliarani, Atti della giornata di studi di Los Angeles del 7 ottobre 2003, “Carte italiane.A Journal of Italian Studies edited by the Graduate Students at UCLA”,1,2004, pp. 21–23 * Fausto Curi, Mescidazione e polifonia in Elio Pagliarani, in Id. Gli stati d’animo del corpo. Studi sulla letteratura dell’Ottocento e del Novecento, Pedragon, Bologna, 2005 * Enrico Testa, Elio Pagliarani, in Dopo la lirica, Torino, 2005 * Marco Ricciardi, La feci trasformate in oro dal poeta-alchimista, ne “L’Immaginazione”, N° 245, marzo 2009 Luigi Weber, “Pensare che s’appassisca il mare”: economia del paesaggio ne La ballata di Rudi di Elio Pagliarani, in Atlante dei movimenti culturali in Emilia-Romagna dall’Ottocento al contemporaneo, a cura di P. Pieri e L. Weber, Bologna, CLUEB, 2010, vol. III, pp. 271–288 * Federico Fastelli, “Dall’avanguardia all’eresia”. L’opera poetica di Elio Pagliarani, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2011. Mario Buonofiglio, Il suono di sottofondo della città e i turbamenti ritmici della “Carla” del Pagliarani, in Il Segnale, anno XXXI, nr. 93, ottobre 2011; ora disponibile in AcademiaIl numero 20/21 (settembre/dicembre 2007) de L’Illuminista (direttore Walter Pedullà, edizioni Ponte Sisto, Roma) è interamente dedicato all’opera di Elio Pagliarani e contiene –oltre ad un’ampia selezione di saggi e interventi critici editi– i seguenti saggi inediti: * Luigi Ballerini, Documenti per una preistoria della “Ragazza Carla” * Grazia Menechella, Le domeniche di Carla * Tommaso Ottonieri, Il romanzo del Focus * Walter Pedullà, Le sentenze finali di Elio Pagliarani * Marco Ricciardi, Un cactus chiamato poesia nel deserto della Pedagogia urbana * Caterina Selvaggi, La resistenza delle/alle cose in “Fecaloro” * Carlo Serafini, La parola torna ai poeti... * Siriana Sgavicchia, Kipling, Brecht, Eliot, nella “Ballata di Rudi” Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Elio_Pagliarani

Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968) è stato un poeta e traduttore italiano, esponente di rilievo dell’ermetismo. Ha contribuito alla traduzione di vari componimenti dell’età classica, soprattutto liriche greche, ma anche di opere teatrali di Molière e William Shakespeare. È stato vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1959. Biografia I primi anni e gli studi Salvatore Quasimodo nacque il 20 agosto 1901 da Gaetano Quasimodo e Clotilde Ragusa a Modica, dove il padre era stato assegnato come capostazione. A 5 giorni dalla sua nascita, la madre Clotilde, insieme al piccolo Salvatore e il primogenito Vincenzo (1899), si trasferì dai nonni paterni, nella più sicura casa di Roccalumera, luogo d’origine della famiglia Quasimodo. Purtroppo, il padre Gaetano non poté abbandonare il luogo di lavoro per seguirla e, dopo circa due mesi dalla nascita di Salvatore, venne trasferito. Salvatore fu battezzato a Roccalumera, nella Chiesa della Madonna Bambina da Mons. Francesco Maria Di Francia, l’11 settembre 1901. A Roccalumera il poeta trascorrerà tutta la sua infanzia e giovinezza e ci farà ritorno da grande per trovare i genitori e la famiglia (Dopo il conferimento del Premio Nobel fece ritorno a Roccalumera per consegnare l’ambito premio al padre novantenne). Nel 1908 a Gela iniziò a frequentare le scuole elementari. Nel gennaio del 1909 il padre venne incaricato della riorganizzazione del traffico ferroviario nella stazione di Messina colpita da un disastroso terremoto e successivo maremoto il 28 dicembre 1908. In quel periodo vissero in un carro merci parcheggiato su un binario morto della stazione. Quegli anni resteranno impressi nella memoria del poeta, che li evocherà nella poesia Al Padre, inserita nella raccolta La terra impareggiabile, scritta in occasione dei 90 anni del padre e dei 50 anni dal disastroso terremoto di Messina: Nel 1916 si iscrisse all’Istituto Tecnico Matematico-Fisico di Palermo per poi trasferirsi a Messina nel 1917 e continuare gli studi presso l’Istituto “A. M. Jaci”, dove conseguì il diploma nel 1919. Durante la permanenza in questa città conobbe il giurista Salvatore Pugliatti e il futuro sindaco di Firenze Giorgio La Pira, con i quali strinse un’amicizia destinata a durare negli anni. Insieme ad essi fondò nel 1917 il «Nuovo Giornale Letterario», mensile sul quale pubblicò le sue prime poesie. La tabaccheria di uno zio di La Pira, unico rivenditore della rivista, divenne luogo di ritrovo per giovani letterati. Nel 1919 si trasferì a Roma dove pensava di terminare gli studi di ingegneria ma, subentrate precarie condizioni economiche, dovette abbandonarli per impiegarsi in più umili attività: disegnatore tecnico presso un’impresa edile, e in seguito impiegato presso un grande magazzino. Nel frattempo collaborò ad alcuni periodici e iniziò lo studio del greco e del latino con la guida di monsignor Mariano Rampolla del Tindaro, pronipote omonimo del più famoso cardinale Rampolla del Tindaro, Segretario di Stato di Papa Leone XIII. Le precarie condizioni economiche di questo periodo romano terminarono nel 1926, quando venne assunto dal Ministero dei lavori pubblici e assegnato come geometra al Genio Civile di Reggio Calabria. Qui strinse amicizia con i fratelli Enzo Misefari e Bruno Misefari, entrambi esponenti (il primo comunista, il secondo anarchico) del movimento antifascista di Reggio Calabria. Nello stesso anno sposò Bice Donetti, una donna di otto anni più grande, con la quale aveva precedentemente convissuto e a cui dedicherà una poesia dopo la sua morte, avvenuta nel 1946: Nel 1948, due anni dopo la morte della prima moglie, si risposerà con la ballerina Maria Cumani, da cui avrà il figlio Alessandro Quasimodo. Nel periodo di Reggio Calabria nacque la nota lirica Vento a Tindari, dedicata alla storica località presso Patti: Il padre andò in pensione nel 1927 e dopo una breve permanenza a Firenze si ritirò definitivamente nella sua casa di Roccalumera, dove visse con due sorelle che non si erano sposate. Molti anni dopo il poeta emigrato si raffigurerà con questi versi: Nel 1939 divenne il titolare del settimanale Omnibus. Periodo dell’ermetismo (1930– 1942) Risolti i problemi economici poté dedicarsi più assiduamente all’opera letteraria. Fu invitato a Firenze dallo scrittore Elio Vittorini, che nel 1927 aveva sposato la sorella Rosa, che lo introdusse nei locali ambienti letterari permettendogli di conoscere Eugenio Montale, Arturo Loria, Gianna Manzini e Alessandro Bonsanti. Il Bonsanti che in quel tempo dirigeva la rivista Solaria pubblicò nel 1930 tre poesie (Albero, Prima volta, Angeli). Maturò e affinò così il gusto per lo stile ermetico, cominciando a dare consistenza alla sua prima raccolta Acque e terre, che lo stesso anno pubblicò per le edizioni Solaria.Nel 1931 venne trasferito presso il Genio Civile di Imperia e in seguito presso quello di Genova. In questa città conobbe Camillo Sbarbaro e le personalità di spicco che gravitavano intorno alla rivista Circoli, con la quale il poeta iniziò una proficua collaborazione pubblicando, nel 1932, per le edizioni della stessa, la sua seconda raccolta Oboe sommerso nella quale sono raccolte tutte le poesie scritte tra il 1931 e il 1932 e dove comincia a delinearsi con maggior chiarezza la sua adesione all’ermetismo. Dal marzo 1933 alla fine del 1934 lavorò come funzionario all’Ufficio del Genio Civile di Cagliari. Ottenuto il trasferimento a Milano, venne però destinato da un capo-ufficio alla sede di Sondrio. Nel 1938 lasciò il Genio Civile per dedicarsi alla letteratura, iniziò a lavorare per Cesare Zavattini in un’impresa di editoria e soprattutto si dedicò alla collaborazione con Letteratura, una rivista vicina all’ermetismo. Nel 1938 pubblicò a Milano una raccolta antologica intitolata Poesie, e nel 1939 iniziò la traduzione dei lirici greci. Nel 1941 venne nominato professore di Letteratura italiana presso il Conservatorio di musica “Giuseppe Verdi” di Milano, incarico che mantenne fino alla fine del 1968. Seconda guerra mondiale Nel 1942 entrerà nella collana Lo specchio della Arnoldo Mondadori Editore l’opera Ed è subito sera, che inglobava anche le Nuove poesie scritte tra il 1936 e il 1942. Rapporti con il fascismo Nel 1940, a guerra iniziata e a Patto d’Acciaio consolidato, collaborò con la rivista Primato. Lettere e arti d’Italia dove il ministro Giuseppe Bottai raccolse intellettuali di varia estrazione e orientamento, anche lontani dal regime. Gli sarà rimproverato, in anni recenti, di aver sostenuto l’uso del voi con un intervento su un numero monografico del 1939 della rivista Antieuropa, e di aver inoltrato supplica a Mussolini che gli venisse assegnato un contributo per potere proseguire l’attività di scrittore. Pur professando chiare idee antifasciste, non partecipò attivamente alla Resistenza; in quegli anni si diede alla traduzione del Vangelo secondo Giovanni, di alcuni Canti di Catullo e di episodi dell’Odissea che verranno pubblicati solamente dopo la Liberazione. Periodo della poesia impegnata (1945– 1966) Nel 1945 si iscrisse al PCI e l’anno seguente pubblicò la nuova raccolta dal titolo Con il piede straniero sopra il cuore—ristampata nel 1947 con il nuovo titolo Giorno dopo giorno, testimonianza dell’impegno morale e sociale dell’autore che continuerà, in modo sempre più profondo, nelle successive raccolte, composte fra il 1949 e il 1958, come La vita non è sogno, Il falso e il vero verde e La terra impareggiabile, che si pongono, con il loro tono epico, come esempio di limpida poesia civile. Durante questi anni il poeta continuò a dedicarsi con passione all’opera di traduttore sia di autori classici che moderni, e svolse una continua attività giornalistica per periodici e quotidiani, dando il suo contributo soprattutto con articoli di critica teatrale. Nel 1950 il poeta ottenne il Premio San Babila, nel 1953 condivise il Premio Etna-Taormina con il poeta gallese Dylan Thomas, nel 1958 il premio Viareggio e nel 1959 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura «per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi» che gli fece raggiungere una definitiva fama. Ad esso seguirono le lauree honoris causa dalla Università di Messina nel 1960 e da quella di Oxford nel 1967. Il poeta trascorse gli ultimi anni di vita compiendo numerosi viaggi in Europa e in America per tenere conferenze e letture pubbliche delle sue liriche che nel frattempo erano state tradotte in diverse lingue. Nel 1965 cura la pubblicazione di Calignarmata, opera di poesia dell’autore Luigi Berti, uscita un anno dopo la morte di quest’ultimo (1964). Del 1966 è la pubblicazione di Dare e avere, sua ultima opera.Il 14 giugno del 1968, mentre il poeta si trovava ad Amalfi, dove doveva presiedere un premio di poesia, venne colpito da un ictus (aveva avuto già un infarto mentre visitava l’Unione Sovietica), che lo condusse alla morte poche ore dopo: il cuore del poeta, infatti. smise di battere sull’auto che lo stava trasportando all’ospedale di Napoli. Il suo corpo fu trasportato a Milano e tumulato nel Famedio del Cimitero Monumentale, luogo che già ospitava le spoglie di Alessandro Manzoni. Quasimodo fu membro della Massoneria. Il poeta e lo scrittore La prima raccolta di Quasimodo, Acque e terre (1930), è incentrata sul tema della sua terra natale, la Sicilia, che l’autore lasciò già nel 1919: l’isola diviene l’emblema di una felicità perduta cui si contrappone l’asprezza della condizione presente, dell’esilio in cui il poeta è costretto a vivere (così in una delle liriche più celebri del libro, Vento a Tindari). Dalla rievocazione del tempo passato emerge spesso un’angoscia esistenziale che, nella forzata lontananza, si fa sentire in tutta la sua pena. Questa condizione di dolore insopprimibile assume particolare rilievo quando il ricordo è legato ad una figura femminile, come nella poesia Antico inverno, oppure a ritmi e motivi più antichi, di origine anche popolare. Se in questa prima raccolta Quasimodo appare legato a modelli abbastanza riconoscibili (soprattutto D’Annunzio, del quale viene ripresa la tendenza all’identificazione con la natura), in Oboe sommerso (1932) ed Erato e Apollion (1936) il poeta raggiunge la piena e personale maturità espressiva. La ricerca della pace interiore è affidata ad un rapporto col divino che è, e resterà successivamente, tormentato, mentre la Sicilia si configura come terra del mito, terra depositaria della cultura greca: non a caso Quasimodo pubblicherà, nel 1940, una notissima traduzione dei Lirici greci. In particolare, nel libro del 1936 vengono celebrati Apollo– il dio del sole ma anche il dio cui sono legate le Muse, e quindi la stessa creazione poetica che è resa dolorosa dalla distanza fisica dell’isola– ed Ulisse, l’esule per eccellenza. È in queste raccolte che si può cogliere appieno la suggestione dell’ermetismo, di un linguaggio che ricorre spesso all’analogia e tende ad abolire i nessi logici tra le parole: importante è in questo senso l’uso frequente dell’articolo indeterminativo e degli spazi bianchi, che, all’interno della lirica, sembrano rimandare continuamente a una serie di significati nascosti che non possono trovare una piena espressione. Nelle Nuove poesie (pubblicate insieme alle raccolte precedenti nel volume Ed è subito sera del 1942 e scritte a partire dal 1936), il ritmo diventa più disteso grazie anche all’uso più frequente dell’endecasillabo o di altri versi lunghi (anche doppi): il ricordo della Sicilia è ancora vivissimo ma si avverte nel poeta un’inquietudine nuova, la voglia di uscire dalla sua solitudine e confrontarsi con i luoghi e le persone della sua vita attuale. In alcune liriche compare infatti il paesaggio lombardo, esemplificato dalla «dolce collina d’Ardenno» che porta all’orecchio del poeta «un fremere di passi umani» (La dolce collina). Questa volontà di dialogo si fa evidente nelle raccolte successive, segnate da un forte impegno civile e politico sollecitato dalla tragedia della guerra; la poesia rarefatta degli anni giovanili lascia il posto ad un linguaggio più comprensibile, dai ritmi più ampi e distesi. Così avviene in Giorno dopo giorno (1947) dove le vicende belliche costituiscono il tema dominante. La voce del poeta, annichilita di fronte alla barbarie («anche le nostre cetre erano appese», afferma in Alle fronde dei salici), non può che contemplare la miseria della città bombardata, o soffermarsi sul dolore dei soldati impegnati al fronte, mentre affiorano alla memoria delicate figure femminili, simboli di un’armonia ormai perduta (S’ode ancora il mare). L’unica speranza di riscatto è allora costituita dalla pietà umana (Forse il cuore). In La vita non è sogno (1949) il Sud è cantato come luogo di ingiustizia e di sofferenza, dove il sangue continua a macchiare le strade (Lamento per il Sud); il rapporto con Dio si configura come un dialogo serrato sul tema del dolore e della solitudine umana. Il poeta sente l’esigenza di confrontarsi con i propri affetti, con la madre che ha lasciato quand’era ancora un ragazzo (e che continua a vivere la sua vita semplice e ignara dell’angoscia del figlio ormai adulto), o col ricordo della prima moglie Bice Donetti. Nella raccolta Il falso e vero verde (1956) dove lo stesso titolo è indicativo di un’estrema incertezza esistenziale, un’intera sezione è dedicata alla Sicilia, ma nel volume trova posto anche una sofferta meditazione sui campi di concentramento che esprime «un no alla morte, morta ad Auschwitz» (Auschwitz). La terra impareggiabile (1958) mostra un linguaggio più vicino alla cronaca, legato alla rappresentazione della Milano simbolo di quella «civiltà dell’atomo» che porta ad una condizione di devastante solitudine e conferma nel poeta la voglia di dialogare con gli altri uomini, fratelli di dolore. L’isola natìa è luogo mitizzato, «terra impareggiabile» appunto, ma è anche memoria di eventi tragici come il terremoto di Messina del 1908 (Al padre). L’ultima raccolta di Quasimodo, Dare e avere, risale al 1966 e costituisce una sorta di bilancio della propria esperienza poetica e umana: accanto ad impressioni di viaggio e riflessioni esistenziali molti testi affrontano, in modo più o meno esplicito, il tema della morte, con accenti di notevole intensità lirica. Opere Raccolte di poesie * Acque e terre, Firenze, sulla rivista Solaria, 1930. * Oboe sommerso, Genova, sulla rivista Circoli, 1932. * Odore di eucalyptus ed altri versi, Firenze, Antico Fattore, 1933. * Erato e Apòllìon, Milano, Scheiwiller, 1936. * Nuove Poesie, Milano, Primi Piani, 1938. * Ed è subito sera, 1947. * La vita non è sogno, Milano, A. Mondadori, 1949. * Il falso e vero verde (1949-1955), Milano, Schwarz, 1956. * La terra impareggiabile, Milano, A. Mondadori, 1958. * Dare e avere. 1959-1965, Milano, A. Mondadori, 1966. Traduzioni * Lirici greci, Milano, Edizioni di Corrente, 1940; maggio 1944, Mondadori. * Virgilio, Il Fiore delle Georgiche, Milano, Edizioni della Conchiglia, 1942.– Milano, Gentile, 1944; Milano, Mondadori, 1957. * Catulli Veronensis, Carmina, Milano, Edizioni di Uomo, 1945.– Milano, Mondadori, 1955. * Omero, Dall’Odissea, Milano, Rosa e Ballo, 1945. * Sofocle, Edipo re, Milano, Bompiani, 1946. * Il Vangelo secondo Giovanni, Milano, Gentile, 1946. * John Ruskin, La Bibbia di Amiens, Milano, Bompiani, 1946. * William Shakespeare, Romeo e Giulietta, Milano, Mondadori, 1948. * Eschilo, Le Coefore, Milano, Bompiani, 1949. * William Shakespeare, Riccardo III, Milano, Edizioni del Piccolo Teatro, 1950.– Milano, Mondadori, 1952. * Pablo Neruda, Poesie, Torino, Einaudi, 1952. * William Shakespeare, Macbeth, Torino, Einaudi, 1952. * Sofocle, Elettra, Milano, Mondadori, 1954. * William Shakespeare, La Tempesta, Torino, Einaudi, 1956. * Molière, Il Tartufo, Milano, Bompiani, 1958. * Fiore dell’Antologia Palatina, Parma, Guanda, 1958. * Edward Estlin Cummings, Poesie scelte, Milano, Scheiwiller, 1958. * Ovidio, Dalle Metamorfosi, Milano, Scheiwiller, 1959. * William Shakespeare, Otello, Collana Lo Specchio, Milano, Mondadori, 1959. * Euripide, Ecuba, Urbino, Armando Argalìa Editore, 1962. * Conrad Aiken, Mutevoli pensieri, Milano, Scheiwiller, 1963. * Euripide, Eracle, Urbino, Armando Argalìa Editore, 1964. * William Shakespeare, Antonio e Cleopatra, Milano, Mondadori, 1966. * Tudor Arghezi, Poesie, Milano, Mondadori, 1966. * Yves Lecomte, Il gioco degli astragali, Edizioni Moneta, 1968. Curatele * Lirici minori del XIII e XIV secolo, a cura di S. Quasimodo e Luciano Anceschi, Milano, Edizioni della Conchiglia, 1941. * Lirica d’amore italiana, dalle origini ai nostri giorni, 1957. * Poesia italiana del dopoguerra, 1958. Altri scritti * Petrarca e il sentimento della solitudine, Milano, Garotto, 1945. * Scritti sul teatro, 1961. * L’amore di Galatea libretto per musica, 1964 * Il poeta e il politico e altri saggi, Milano, Schwarz, 1967. * Leonida di Taranto, Milano, Guido Le Noci ed., 1968; Manduria, Lacaita, 1969. * Lettere d’amore di Quasimodo, post., 1969 * Poesie e discorsi sulla poesia, post., 1971. * Marzabotto parla. Con scritti di Salvatore Quasimodo, Giuseppe Dozza, post., 1976 * A colpo omicida e altri scritti, post., 1977. Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Quasimodo

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo e giornalista italiano, considerato tra i maggiori artisti e intellettuali del XX secolo. Culturalmente versatile, si distinse in numerosi campi, lasciando contributi anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista, non solo in lingua italiana, ma anche friulana. Attento osservatore dei cambiamenti della società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli anni settanta nonché figura a tratti controversa, suscitò spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della nascente società dei consumi, come anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti. Il suo rapporto con la propria omosessualità fu al centro del suo personaggio pubblico. Biografia L’infanzia e la giovinezza Pier Paolo Pasolini, primogenito dell’ufficiale di fanteria bolognese Carlo Alberto Pasolini e della maestra casarsese Susanna Colussi, nacque nella zona universitaria di Bologna il 5 marzo 1922 in una foresteria militare, in via Borgonuovo 4, dove ora c’è una targa in marmo che lo ricorda. A causa dei frequenti trasferimenti del padre, la famiglia, che da Bologna si era già trasferita a Parma, nel 1923 si trasferì a Conegliano, e nel 1925 a Belluno, dove nacque il fratello Guido Alberto. A Belluno viene mandato all’asilo dalle suore, ma dopo pochi giorni si rifiuta di andarci e la famiglia acconsente. Nel 1927 i Pasolini furono nuovamente a Conegliano, dove Pier Paolo prima di compiere i sei anni fu iscritto alla prima elementare. L’anno successivo traslocarono a Casarsa della Delizia, in Friuli, ospiti della casa materna, poiché il padre era agli arresti per alcuni debiti. La madre, per far fronte alle difficoltà economiche, riprese l’insegnamento. Terminato il periodo di detenzione del padre, ripresero i trasferimenti a un ritmo quasi annuale. Fondamentali rimasero i soggiorni estivi a Casarsa. Nel 1929 i Pasolini si spostarono nella vicina Sacile, sempre in ragione del mestiere del capofamiglia, e in quell’anno Pier Paolo aggiunse alla sua passione per il disegno quella della scrittura, cimentandosi in versi ispirati ai semplici aspetti della natura che osservava a Casarsa. Dopo un breve soggiorno a Idria nella Venezia Giulia (oggi in territorio sloveno), la famiglia ritornò a Sacile, dove Pier Paolo affrontò l’esame di ammissione al ginnasio. Venne bocciato in italiano, per poi superare la prova a ottobre. A Conegliano cominciò a frequentare la prima classe, ma a metà dell’anno scolastico 1932-1933 il padre fu trasferito a Cremona, dove la famiglia rimase fino al 1935 e Pier Paolo frequentò il Liceo Ginnasio Daniele Manin. Fu questo un triennio di intense fascinazioni e di un precoce ingresso nell’adolescenza, come testimonia il vibrante tratto autobiografico Operetta marina, scritto alcuni anni più tardi e pubblicato postumo assieme a Romàns. Successivamente il padre ebbe un nuovo trasferimento a Scandiano, con gli inevitabili problemi di adattamento per il tredicenne causati anche dal cambiamento di ginnasio a Reggio Emilia, che raggiungeva in treno.In Pier Paolo crebbe la passione per la poesia e la letteratura, mentre lo abbandonava il fervore religioso del periodo dell’infanzia. Completato il ginnasio a Reggio Emilia, frequentò il Liceo Galvani di Bologna, dove incontrò il primo vero amico della giovinezza, il reggiano Luciano Serra. A Bologna, dove avrebbe trascorso sette anni, Pier Paolo coltivò nuove passioni, come quella del calcio, e alimentò la sua passione per la lettura comprando numerosi volumetti presso le bancarelle di libri usati sotto il portico della Libreria Nanni, circa di fronte a Piazza Maggiore. Le letture spaziavano da Dostoevskij, Tolstoj e Shakespeare ai poeti romantici del periodo di Manzoni.Al Liceo Galvani di Bologna fece conoscenza con altri amici, tra i quali Ermes Parini, Franco Farolfi, Elio Melli, e con loro costituì un gruppo di discussione letteraria. Intanto la sua carriera scolastica proseguiva con eccellenti risultati e nel 1939 venne promosso alla terza liceo con una media tanto alta da indurlo a saltare un anno per presentarsi alla maturità in autunno. Si iscrisse così, a soli diciassette anni, alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, e scoprì nuove passioni culturali, come la filologia romanza e soprattutto l’estetica delle arti figurative insegnata al tempo dall’affermato critico d’arte Roberto Longhi. Frequentava intanto il Cineclub di Bologna dove si appassionò al ciclo dei film di René Clair; si dedicò allo sport e fu promosso capitano di calcio della Facoltà di Lettere; faceva gite in bicicletta con gli amici e frequentava i campeggi estivi che organizzava l’Università di Bologna. Con gli amici – l’immagine da offrire ai quali era sempre quella del “noi siamo virili e guerrieri”, perché non percepissero nulla dei suoi travagli interiori – si incontrava, oltre che nelle aule dell’Università, anche nei luoghi istituiti dal Regime fascista per la gioventù, come il GUF, i campeggi della “Milizia”, le competizioni dei Littoriali della cultura. Procedevano in questo periodo le letture delle Occasioni di Montale, di Ungaretti e delle traduzioni dei lirici greci di Quasimodo, mentre fuori dall’ambito poetico leggeva soprattutto Freud e ogni cosa che fosse disponibile in traduzione italiana. Nel 1941 la famiglia Pasolini trascorse come ogni anno le vacanze estive a Casarsa, e Pier Paolo scrisse poesie che allegava alle lettere per gli amici bolognesi tra i quali, oltre l’amico Serra, erano inclusi Roberto Roversi e il cosentino Francesco Leonetti, verso i quali sentiva un forte sodalizio: Il padre era stato richiamato in servizio ed era partito per l’Africa Orientale, dove verrà fatto prigioniero dagli Inglesi. I quattro giovani pensarono di fondare una rivista dal titolo Eredi alla quale Pasolini volle conferire un programma sovraindividuale: La rivista non vedrà la luce a causa delle restrizioni ministeriali sull’uso della carta, ma quell’estate del 1941 rimarrà per i quattro amici indimenticabile. Cominciarono intanto ad apparire nelle poesie di Pasolini alcuni frammenti di dialogo in friulano anche se le poesie inviate agli amici continuavano a essere composte da versi improntati alla letteratura in lingua italiana. Le prime esperienze letterarie Di ritorno da Casarsa all’inizio dell’autunno scoprì di aver nel cuore la lingua friulana e tra gli ultimi mesi del 1941 e i primi del 1942 scrisse i versi che, raccolti in un libretto intitolato Poesie a Casarsa, verranno pubblicati il 14 luglio 1942, a spese dell’autore, e saranno subito notati da Gianfranco Contini (che gli dedicherà una recensione positiva), da Alfonso Gatto e dal critico Antonio Russi. Nel luglio 1942 passò tre settimane in un campo di addestramento per allievi ufficiali presso Porretta Terme.A Bologna intanto riprese la fervida vita culturale, che si svolse all’interno dell’università, e, anche perché incoraggiato dal giudizio positivo che Francesco Arcangeli aveva dato ai suoi quadri, chiese di svolgere una tesi di laurea sulla pittura italiana contemporanea con Roberto Longhi, docente di Storia dell’arte. Di questa tesi, il cui manoscritto andrà perduto durante i giorni dell’otto settembre del 1943, Pasolini abbozzerà solamente i primi capitoli per poi rinunciarvi e passare a una tesi più motivata sulla poesia di Pascoli. Scelto come relatore il suo professore di letteratura italiana Carlo Calcaterra, Pasolini lavorò al progetto dell’Antologia della poesia pascoliana (introduzione e commenti) tra il 1944 e il 1945, mettendo a punto, dopo un’ampia introduzione in cui sono esposte e discusse le premesse teoriche della tesi, una personale selezione di testi provenienti dalle differenti raccolte del Pascoli, analizzati e commentati con sensibilità peculiare. Il 26 novembre 1945, Pasolini si laureò in Lettere con 110/110 e lode presso l’Università degli Studi di Bologna, discutendo una tesi su Giovanni Pascoli ma solo nel 1993 l’Antologia vide la luce per la casa editrice Einaudi. La GIL di Bologna aveva intanto in programma di pubblicare una rivista, Il Setaccio, con qualche fronda culturale. Pasolini aderì insieme e ne diventò viceredattore, ma presto entrò in contrasto con il direttore responsabile, Giovanni Falzone, che era molto ligio alla retorica del regime. La rivista cesserà le pubblicazioni dopo soli sei numeri ma rappresenterà per Pasolini un’esperienza importante, grazie alla quale comprenderà la natura regressiva e provinciale del fascismo e maturerà un atteggiamento culturale antifascista anche grazie all’incontro con Giovanna Bemporad a cui propose di tradurre per la rivista dove lei si firmava Giovanna Bembo per sfuggire alle leggi razziali.Nell’autunno del 1942 partecipò a un viaggio nella Germania nazista, organizzato come incontro della gioventù universitaria dei paesi fascisti, che gli rivelò aspetti della cultura europea sconosciuti al provincialismo italiano. Al ritorno dal viaggio pubblicò, sulla rivista del GUF, l’articolo Cultura italiana e cultura europea a Weimar (gennaio 1943), che anticipava già quello che sarà il Pasolini “corsaro”, e sul “Setaccio” tracciò le linee di un programma culturale i cui principi erano quelli dello sforzo di autocoscienza, del travaglio interiore, individuale e collettivo, e della sofferta sensibilità critica, un percorso che lo poneva già al di fuori del fascismo. Il periodo della guerra Il 1942 si concluse con la decisione della famiglia di sfollare in Friuli, a Casarsa, ritenuto un luogo più tranquillo e sicuro per attendere la fine della guerra. Nel 1943 a Casarsa il giovane Pier Paolo fu colto da quei turbamenti erotici che in passato aveva cercato di allontanare: Continuava intanto a tenersi in contatto epistolare con gli amici, ai quali questa volta non volle nascondere nulla, raccontando quanto gli stava capitando: Alla vigilia dell’Armistizio, Pasolini fu chiamato alle armi. Costretto ad arruolarsi a Pisa il primo settembre 1943, una settimana dopo, l’8 settembre, disobbedì all’ordine di consegnare le armi ai tedeschi e riuscì a fuggire dalla deportazione travestito da contadino e a rifugiarsi a Casarsa. Lì c’erano alcuni giovani appassionati di poesia (Cesare Bortotto, Riccardo Castellani, Ovidio Colussi, Federico De Rocco e il cugino Domenico Naldini) con i quali fondò l’Academiuta di lenga furlana che si proponeva di rivendicare l’uso letterario del friulano casarsese contro l’egemonia di quello udinese. Il nuovo gruppo si propose di pubblicare una rivista che fosse in grado di rivolgersi al pubblico del paese e nello stesso tempo promuovere la sua poetica. Il primo numero della rivista uscì nel maggio del 1944 con il titolo "Stroligùt di cà da l’aga" ("Lunario [pubblicato] di qua dall’acqua [il Tagliamento]"). Nel frattempo la tranquillità di Casarsa era compromessa dai bombardamenti e dai rastrellamenti di fascisti per l’arruolamento forzato nel nuovo esercito della Repubblica di Salò e cominciavano a formarsi i primi gruppi partigiani. Pier Paolo cercò di astrarsi il più possibile dedicandosi agli studi e alla poesia, e intanto tenne lezioni private per quegli studenti che a causa dei bombardamenti non potevano raggiungere le scuole di Pordenone o il ginnasio di Udine.Nell’ottobre del 1944 Pier Paolo e la madre – il fratello Guido si era intanto unito alle formazioni partigiane della Carnia – si trasferirono a Versuta, che sembrava essere un luogo più tranquillo e lontano dagli obiettivi militari. Nel villaggio mancava la scuola e i ragazzi dovevano percorrere più di tre chilometri per raggiungere la loro sede scolastica a Casarsa che era stata bombardata. Susanna e Pier Paolo decisero così di aprire una scuola gratuita nella loro casa. Pier Paolo visse il suo primo amore in quei momenti per un allievo tra i più grandi («In quelle membra splendevano un’ingenuità, una grazia… o l’ombra di una razza scomparsa che durante l’adolescenza riaffiora») e, al contempo, si innamorò di lui una giovane violinista slovena, Pina Kalc (Josipina Kalc), che aveva raggiunto con la sua famiglia il rifugio di Pasolini. La vicenda del ragazzo e l’amore di Pina per lui si intrecciarono complicando dolorosamente quei lunghi mesi che mancavano alla fine della guerra.Il 7 febbraio del 1945, Guido, il fratello diciannovenne di Pier Paolo fu ucciso, insieme ad altri 16 partigiani della Brigata Osoppo, a Porzus, in Friuli, da una milizia di partigiani comunisti in quello che fu ricordato come l’Eccidio di Porzûs. Questa notizia fu data a Pasolini il 2 maggio 1945 dal suo amico partigiano Cesare Bortotto gettando Pier Paolo e la madre in un terribile strazio. Proseguirono comunque le lezioni nella piccola scuola di Versuta, dove Pier Paolo era considerato un vero maestro. Il 18 febbraio dello stesso anno venne fondata l’"Academiuta di lenga furlana" che raccoglieva un piccolo gruppo di neòteroi e che, sulle basi delle esperienze precedenti di Pier Paolo, fondò i principi del felibrismo regionale: In agosto fu pubblicato il primo numero de Il Stroligut, con una numerazione nuova per distinguersi dal precedente Stroligut di cà da l’aga e, nello stesso periodo, cominciò la serie dei “diarii” in versi italiani pubblicati nel 1946 in un primo volumetto a spese dell’autore sulle “Edizioni dell’Academiuta”, e sulla rivista fiorentina Il Mondo, pubblicò due poesie tratte dalla raccolta e scelte dallo stesso Montale. Nello stesso anno aderì a Patrie tal Friul (l’associazione per l’autonomia del Friuli creata da Tiziano Tessitori, con sede a Udine) e dopo il ritorno del padre nell’autunno del 1945, prigioniero degli inglesi in Africa poi rimpatriato, in anticipo per il lutto ricevuto, dal Kenya. Il dopoguerra in Friuli e il primo processo Nel 1946 Pasolini lavorò a un romanzo autobiografico rimasto incompiuto intitolato dapprima Quaderni rossi perché scritti a mano su cinque quaderni scolastici dalla copertina rossa, poi Pagine involontarie e infine “Il romanzo di Narciso”. In queste pagine l’autore descrive per la prima volta le sue esperienze omosessuali. Scrive di queste pagine Nico Naldini: "Prima di allora Pier Paolo non aveva mai descritto, se non per simboli ed ellissi, il suo eros e il suo dolore. Lo ha fatto con una sincerità che direi “musicale” dove anche l’ombra di una falsità avrebbe stonato." Isolato a Versuta (la casa di Casarsa era stata danneggiata dai bombardamenti) Pasolini cercò di ristabilire i rapporti con il mondo letterario e scrisse a Gianfranco Contini per presentargli il progetto di trasformare lo Stroligùt da semplice foglio a rivista. In seguito alla visita fatta da Silvana Mauri, sorella di un suo amico e innamorata di Pasolini, a Versuta, si recò in agosto a Macugnaga dove risiedeva la famiglia Mauri, e approfittando dell’occasione si recò a Domodossola per incontrare Contini. Usciva nel frattempo a Lugano il bando del premio “Libera Stampa” e Contini, che era membro della giuria, sollecitò il giovane amico a inviare il dattiloscritto che gli aveva mostrato, L’usignolo della Chiesa Cattolica, con la seconda parte de Il pianto della rosa. L’operetta riceverà solamente una segnalazione ma intanto Pasolini uscì dal suo isolamento e, grazie anche al clima più sereno del dopoguerra, ricominciò a frequentare la compagnia dei ragazzi più grandi di Versuta. Il 29 marzo 1947 vince a Venezia il premio Angelo (presieduto da Giuseppe Marchiori) per poesie in friulano e veneto. In ottobre Pasolini si recò a Roma dove fece la conoscenza di alcuni letterati che lo invitarono a collaborare alla “Fiera Letteraria”. Completò inoltre il dramma in italiano in tre atti intitolato Il Cappellano e pubblicò, nelle Edizioni dell’Academiuta, la raccolta poetica, sempre in italiano, I Pianti. Nel corso del 1947 si iscrisse al PCI di San Giovanni di Casarsa, di cui divenne segretario nel 1949. Il 26 gennaio del 1947 Pasolini scrisse sul quotidiano "Libertà" di Udine: «Noi, da parte nostra, siamo convinti che solo il comunismo attualmente sia in grado di fornire una nuova cultura “vera”, (...) una cultura che sia moralità, interpretazione intera dell’esistenza». Dopo la guerra Pasolini, che era stato a lungo indeciso sul campo in cui scendere, osservò le nuove esigenze di giustizia che erano nate nel rapporto tra il padrone e le varie categorie di diseredati e non ebbe dubbi sulla parte da cui voleva schierarsi. Cercò così di consolidare una prima infarinatura dottrinaria con la lettura di Karl Marx e soprattutto con i primi libri di Antonio Gramsci. Scriverà all’amica poetessa Giovanna Bemporad: Ed è pensando all’altro che nacque la decisione importante di aderire al comunismo. Progettò intanto di allargare la collaborazione della rivista dell’Academiuta alle altre letterature neolatine e fu messo in contatto, da Contini, con il poeta catalano in esilio Carles Cardó. Sempre a Contini inviò la raccolta completa delle sue poesie in friulano che per ora si intitolava Cjants di un muàrt, titolo che verrà cambiato in seguito in La meglio gioventù. Non riuscì però a ottenere l’aiuto di nessun editore per pubblicare i versi. Alla fine dell’anno ottenne l’incarico, per due anni 1947-1948 e 1948-1949, di insegnare materie letterarie alla prima media della scuola di Valvasone, che raggiungeva ogni mattina in bicicletta. Continuò con grande convinzione la sua adesione al PCI e in gennaio partecipò alla manifestazione, che si tenne nel centro di San Vito, il 7 gennaio 1948, organizzata dalla Camera del lavoro per ottenere l’applicazione del Lodo De Gasperi e fu in questa occasione che, osservando le varie fasi degli scontri con la polizia e parlando con i giovani contadini, si delineò il progetto di scrivere un romanzo su quel mondo in fermento, pubblicato solo nel 1962 con il titolo Il sogno di una cosa. Il primo titolo del romanzo è La meglio gioventù. Sempre impegnato nel PCI partecipò nel febbraio del 1949 al primo congresso della Federazione comunista di Pordenone e in maggio si recò a Parigi per il Congresso mondiale della pace. Il 29 agosto del 1949 alla sagra di Santa Sabina a Ramuscello Pasolini pagò tre minori per dei rapporti di masturbazione. La voce arrivò ai carabinieri della Stazione di Cordovado, competente per il territorio. La famiglia di Pasolini intervenne e l’avvocato Bruno Brusin convinse le famiglie dei ragazzi a non sporgere denuncia, offrendo 100 000 lire a testa alle famiglie per il danno subito. L’indagine proseguì, con l’imputazione di atti osceni in luogo pubblico e di corruzione di minore (uno dei ragazzi era sotto i sedici anni). Il 28 dicembre venne stralciata l’accusa di corruzione di minori per mancanza di denuncia e il dibattimento si concentrò sul fatto che gli eventi non si svolsero in un luogo pubblico ma in un campo nascosto da siepe e da un boschetto d’acacie. La sentenza arrivò nel gennaio del 1950: Pier Paolo Pasolini, e i due ragazzi sopra i sedici anni vennero giudicati colpevoli di atti osceni in luogo pubblico e condannati a tre mesi di reclusione ciascuno e al pagamento delle spese processuali; la pena venne interamente condonata per effetto dell’indulto.. mentre i dirigenti del PCI di Udine, il 26 ottobre, decisero di espellerlo dal partito «per indegnità morale e politica». Fu anche sospeso dall’insegnamento, come previsto in simili casi. A questo punto aveva ormai maturato la consapevolezza di essere una sorta di “poeta maledetto". Gli anni cinquanta a Roma Pasolini nel gennaio del 1950 si rifugiò con la sola madre, che dovette prendere servizio come cameriera, a Roma. I primi tempi a Roma furono difficili, a piazza Costaguti dove viveva in una stanza in affitto, per il giovane che sentiva il dovere di trovare un lavoro. Grazie all’intervento del poeta dialettale abruzzese Vittorio Clemente, Pasolini ottenne un lavoro come insegnante in una scuola privata a Ciampino. Sempre per cercare di sbarcare il lunario, si iscrisse al sindacato comparse di Cinecittà, e si offrì come correttore di bozze presso un giornale; riuscì a pubblicare qualche articolo su alcuni quotidiani cattolici e continuò a scrivere i romanzi che aveva cominciato in Friuli: Atti impuri, Amado mio, La meglio gioventù. Comincia a scrivere Ragazzi di vita e alcune pagine romane, come Squarci di notti romane, Gas e Giubileo, che saranno in seguito riprese in Alì dagli occhi azzurri. Dopo l’amicizia con Sandro Penna, che diventò l’amico inseparabile delle passeggiate notturne sul lungotevere, conobbe nel '51 un giovane imbianchino, Sergio Citti, che lo aiuterà ad apprendere il gergo e il dialetto romanesco costituendo, come scriverà lo stesso Pasolini, il suo “dizionario vivente”. Compose in questo periodo le poesie che verranno raccolte in Roma 1950 – Diario pubblicate nel 1960 da Scheiwiller e finalmente riuscì a ottenere un posto di insegnante presso una scuola media di Ciampino, dove insegnò dal 1951 al 1953, cosa che gli permise di far smettere la madre di lavorare e di affittare una casa in via Tagliere – nella borgata Rebibbia – dove li raggiunse il padre. Durante l’estate pubblicò sulla rivista Paragone il racconto Il Ferrobedò, che diventerà in seguito un capitolo di Ragazzi di vita, scrisse il poemetto L’Appennino che farà da apertura a Le ceneri di Gramsci e altri racconti romani. Partecipò al premio di poesia dialettale Cattolica (nella giuria anche Eduardo De Filippo) vincendo il secondo premio (50.000 lire) con Il testamento di Coran (ora compreso ne La meglio Gioventù). Riuscirà a vincere un premio anche i due anni successivi, (premio Sette Stelle di Sinalunga e Le Quattro arti di Napoli).In questo periodo strinse amicizia con Giorgio Caproni, Carlo Emilio Gadda e Attilio Bertolucci grazie al quale firmerà il primo contratto editoriale per una Antologia della poesia dialettale del Novecento che uscirà nel dicembre del '52 con una recensione di Eugenio Montale. Nel 1953 prese a lavorare a un’antologia della poesia popolare, per la collana dell’editore Guanda diretta dall’amico Bertolucci, che uscirà con il titolo Canzoniere italiano nel 1955 e nel frattempo pubblicò il primo volumetto di versi friulani Tal còur di un frut. Nell’ottobre dello stesso anno uscì su “Paragone” un’altra anticipazione del futuro Ragazzi di vita e Bertolucci lo presentò a Livio Garzanti perché si impegnasse a pubblicare il romanzo. Nel 1954, in situazione di ristrettezze economiche, riesce a far pubblicare La meglio gioventù, presso l’editore Sansoni, una raccolta di poesie in friulano con una dedica a Gianfranco Contini, con cui Pasolini vinse il Premio Giosuè Carducci ex aequo con Paolo Volponi, premio storico, ancora oggi vigente, della città di Pietrasanta.Come scrive in una lettera indirizzata a Vittorio Sereni, datata 7 agosto 1954, Pasolini si trova ad accettare il Premio soprattutto "per l’urgente, odioso bisogno delle 150mila". Risale al marzo del 1954 il suo primo lavoro cinematografico che consisteva nella collaborazione con l’amico Giorgio Bassani alla sceneggiatura del film di Mario Soldati La donna del fiume. Il lavoro con il cinema gli permette di lasciare l’insegnamento e trasferirsi nell’aprile del 1954 in un appartamento in via Fonteiana. Intanto Vittorio Sereni gli propone di pubblicare una raccolta di poesie nella collana per La Meridiana che curava insieme a Sergio Solmi che uscirà nel gennaio del 1954 con il titolo Il canto popolare e che confluirà in seguito nell’opera “Le ceneri di Gramsci”. Il romanzo Ragazzi di vita Tra il 1955 e il 1960 Pasolini, iniziando con il successo di Ragazzi di vita, assunse un ruolo centrale nel panorama della cultura italiana. Il 13 aprile del 1955 Pasolini spedì all’editore Garzanti il dattiloscritto completo di Ragazzi di vita che viene dato alle bozze. Il romanzo uscirà quello stesso anno ma il tema scabroso che trattava, quello della prostituzione omosessuale maschile, causa all’autore accuse di oscenità. Nonostante l’intervento feroce della critica (tra questi Emilio Cecchi, Asor Rosa e Carlo Salinari) e l’esclusione dal premio Strega e dal premio Viareggio, il libro ottenne un grande successo da parte del pubblico, venne festeggiato a Parma da una giuria presieduta da Giuseppe De Robertis e vinse il “Premio letterario Mario Colombi Guidotti”. Nel frattempo la magistratura di Milano aveva accolto la segnalazione della presidenza del consiglio dei ministri, rappresentata da Antonio Segni, di “carattere pornografico” del libro.Il vecchio amico cosentino Francesco Leonetti gli aveva scritto dicendo che era giunto il momento di fare una nuova rivista, annunciando in questo modo quella che diventerà Officina (maggio 1955-giugno 1959), rivista che ritrova i suoi precedenti nella rivista giovanile Eredi. Il progetto della rivista, lanciato appunto da Leonetti e da Roberto Roversi (con il coinvolgimento dell’amico bolognese Gianni Scalia), procedette in quello stesso anno con numerosi incontri per la stesura del programma al quale Pasolini aderì attivamente.Sempre nel 1955 uscì l’antologia della poesia popolare, Canzoniere italiano con una dedica al fratello Guido e in luglio Pasolini si recherà a Ortisei con Giorgio Bassani per lavorare alla sceneggiatura del film di Luis Trenker Il prigioniero della montagna. Questo è il periodo in cui cinema e letteratura cominciano a procedere su due binari paralleli come scrive Pasolini stesso a Contini: Continuava nel frattempo la polemica della critica marxista a Ragazzi di vita e Pasolini pubblicò sul numero di aprile della nuova rivista Officina un articolo contro Carlo Salinari e Antonello Trombadori che scrivevano sul Contemporaneo. A luglio si tenne a Milano il processo contro Ragazzi di vita che terminerà con una sentenza di assoluzione con “formula piena”, grazie anche alle testimonianze di Pietro Bianchi e Carlo Bo, che aveva dichiarato il libro essere ricco di valori religiosi "perché spinge alla pietà verso i poveri e i diseredati" e non contenente oscenità perché "i dialoghi sono dialoghi di ragazzi e l’autore ha sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà", e di Giuseppe Ungaretti, che inviò una lettera firmata ai magistrati che si occupavano del caso Ragazzi di vita dicendo loro che si trattava di un abbaglio clamoroso perché il romanzo di Pasolini era semplicemente la cosa più bella che si poteva leggere in quegli anni. Pasolini si dichiarava razionalmente ateo e anticlericale ma «...io so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo: io con i miei avi ho costruito le chiese romaniche, e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse sono nel mio patrimonio, nel contenuto e nello stile.». Cineasta e letterato Nel mese di agosto scrisse la sceneggiatura per il film di Mauro Bolognini, Marisa la civetta, e contemporaneamente collaborò con Fellini alle Notti di Cabiria. Alternando il suo impegno di cineasta con quella di letterato, scrisse, in questo periodo, articoli di critica sul settimanale “Il Punto” (la prima recensione sarà per “La Bufera” di Montale) e assistette i nuovi giovani scrittori di “Officina”, come Arbasino, Sanguineti e Alfredo Giuliani, che emergeranno in seguito nel Gruppo '63. Fece nuove amicizie tra le quali si annovera quella con Laura Betti, Adriana Asti, Enzo Siciliano, Ottiero Ottieri. Ispirato dalla crisi ideologica e politica in atto (il rapporto Kruscev al “XX Congresso” del Partito comunista sovietico aveva segnato il rovesciamento dell’epoca staliniana mettendo in evidenza il contrasto con quanto era successo in Polonia e in Ungheria), il 1956 sarà l’anno della stesura definitiva delle “Ceneri di Gramsci” e della prima bozza del romanzo Una vita violenta.Il dattiloscritto de Le ceneri di Gramsci, composto da undici poemetti scritti tra il 1951 e il 1956, venne spedito da Pasolini a Garzanti nell’agosto del 1957. L’opera, come già era successo per Ragazzi di vita, accese un contrastato dibattito critico ma ebbe un forte impatto sul pubblico che in quindici giorni esaurì la prima edizione. Al premio Viareggio, che si tenne nell’agosto di quell’anno, il libro venne premiato insieme al volume Poesie di Sandro Penna, e Quasi una vicenda, di Alberto Mondadori. Italo Calvino aveva già espresso, con dure parole, il suo giudizio nei confronti del disinteresse di alcuni critici marxisti sostenendo che per la prima volta “in un vasto componimento poetico viene espresso con una straordinaria riuscita nell’invenzione e nell’impiego dei mezzi formali, un conflitto di idee, una problematica culturale e morale di fronte a una concezione del mondo socialista”.Nel settembre 1958, in veste di inviato speciale, si recò a Mosca al Festival della gioventù mentre presso l’editore Longanesi uscirono i versi de L’usignolo della Chiesa cattolica. Lavorò anche alacremente a “Una vita violenta”, scrisse la sua prima autonoma sceneggiatura, “La notte brava”, e collaborò con Bolognini a “Giovani mariti”. Il 19 dicembre 1958 muore suo padre, Carlo Alberto: l’evento coincide con una crisi del rapporto di Pasolini con la comunità degli intellettuali, sancito dalla traumatica fine della rivista Officina e un conseguente impegno di Pasolini nel cinema con una riduzione della sua produzione letteraria. Il romanzo Una vita violenta Nel dicembre del 1958 terminò Una vita violenta che consegnerà all’editore Garzanti nel marzo del 1959 e, alla fine di un lungo lavoro di “autocensura” reso necessario soprattutto per un episodio considerato dall’editore pericoloso dal punto di vista politico, il libro uscirà a maggio dello stesso anno ma, come già successo per Ragazzi di vita, non otterrà né il premio Viareggio né quello Strega. Apprezzato e stimato comunque da un consistente gruppo di letterati otterrà il “premio Crotone” da una giuria composta da Ungaretti, Debenedetti, Moravia, Gadda e Bassani. Il lavoro di sceneggiatore gli permette di cambiare appartamento, nel giugno 1959, da via Fonteiana a via Giacinto Carini, dove abitava anche Bernardo Bertolucci.Durante l’estate Pasolini fece un viaggio giornalistico lungo le coste italiane come inviato del mensile Successo e scrisse tre puntate dal titolo La lunga strada di sabbia. Il sindaco democristiano di Cutro querelò Pasolini per diffamazione a mezzo stampa a causa della descrizione del suo paese nel servizio, cinque giorni dopo la consegna del Premio Crotone, città governata allora dal partito comunista, la querela venne archiviata. Tradusse l’Orestiade di Eschilo per la compagnia teatrale di Vittorio Gassman e riordinò i versi che compongono La religione del mio tempo. L’Azione cattolica nel frattempo aveva provveduto a sporgere denuncia "per oscenità" alla magistratura per “Una vita violenta”, denuncia che verrà però subito archiviata. Nell’anno 1960 Pasolini cominciò a collaborare a “Vie nuove”, a scrivere le bozze del libro di saggi Passione e ideologia, e raccolse i versi de La religione del mio tempo. Gli anni sessanta Nel 1960 uscirono due volumi di vecchi versi, Roma 1950 – Diario e Sonetto primaverile. Prima del Capodanno del 1961 partì per l’India con Alberto Moravia e Elsa Morante e il viaggio gli fornirà il materiale per scrivere una serie di articoli per Il Giorno che andranno a formare il volume L’odore dell’India. A maggio venne pubblicata la raccolta La religione del mio tempo molto apprezzata dall’amico Franco Fortini che gli scriverà: “Vorrei che fossi qui per abbracciarti”. Dal 4 giugno 1960 fino al 30 settembre 1965 tenne, su invito di Antonello Trombadori, una rubrica Dialogo con i lettori sul popolare settimanale comunista “Vie Nuove”.In quello stesso anno si dedicò al suo amore per il cinema scrivendo le sceneggiature de La giornata balorda di Bolognini, Il carro armato dell’8 settembre per Gianni Puccini, La lunga notte del '43 per Florestano Vancini tratto dal racconto di Bassani e Il bell’Antonio tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati. Si era intanto prospettato alla sua mente il progetto di scrivere un film in proprio con un soggetto dal titolo La commare secca, ma i fatti di luglio, con i drammatici giorni del governo Tambroni, gli faranno mettere da parte il progetto per scrivere il soggetto di Accattone. Pasolini provò a proporre il soggetto alla casa di produzione dell’amico Fellini, la Federiz. Fellini gli chiese di girare due intere scene di prova, ma il girato non piacque alla produzione che lo rifiutò. L’amico Bolognini gli trovò un produttore, Alfredo Bini (a cui si associò Cino del Duca), al quale Pier Paolo spiegò come voleva fosse girato il film: molti primi piani, prevalenza dei personaggi sul paesaggio e soprattutto grande semplicità. Protagonista sarà Franco Citti, il fratello di Sergio e aiuto regista Bernardo Bertolucci al suo primo film. le riprese del film 'Accattone furono ultimate nel luglio del 1961, il film non ottenne il visto della censura per la proiezione nelle sale italiane, ma verrà lo stesso presentato, il 31 agosto 1961 al Festival di Venezia, fuori concorso. Non particolarmente apprezzato dalla critica italiana, a Parigi, dove venne presto proiettato, ricevette invece il giudizio entusiastico di Marcel Carné e di André Chamson. Dopo la tempestosa accoglienza alla Mostra di Venezia Accattone divenne il primo film italiano a ottenere il divieto ai minori di anni 18. La prima del film a Roma, al cinema Barberini, il 23 novembre 1961, vide l’irruzione di un gruppo di neofascisti che interruppero la proiezione, aggredendo gli spettatori e vandalizzando la sala. Nell’autunno del 1961 si recò al Circeo nella villa di un’amica per scrivere insieme a Sergio Citti la sceneggiatura del film Mamma Roma la cui lavorazione verrà programmata per la primavera del 1962, annoverando fra gli interpreti Anna Magnani. Denunce e processi Nel corso della sua vita Pasolini ricevette 24 denunce e/o querele. Il 30 del giugno 1960 Pasolini venne convocato in commissariato per ricevere una denuncia della polizia per favoreggiamento personale perché aveva dato un passaggio a due ragazzi di Trastevere che erano stati coinvolti in una rissa. Ne risulterà innocente.Il 22 novembre 1961 la polizia perquisì, senza risultato, il suo appartamento in cerca di una pistola con cui Pasolini avrebbe rapinato, il 18 sera, un distributore di benzina di San Felice Circeo. Il 30 novembre Il Tempo uscì a tutta pagina con un articolo Denunciato per tentata rapina Pier Paolo Pasolini con una foto di scena che lo ritraeva con un mitra in mano. Il processo che ne seguì si svolse il 3 luglio a Latina e condannò Pasolini per minaccia con arma. Il romanzo Il sogno di una cosa Terminò nel frattempo il romanzo del periodo friulano, Il sogno di una cosa, che verrà pubblicato in maggio e tra aprile e giugno lavorò alle riprese di Mamma Roma che verrà presentato alla Mostra del cinema di Venezia il 31 agosto 1962 ottenendo un grande successo e una denuncia per oscenità poi archiviata. Alla prima di Mamma Roma, il 22 settembre 1962, al cinema Le quattro fontane di Roma, viene aggredito da un gruppo di neofascisti e interviene la polizia. Durante il settembre di quello stesso anno Pasolini partecipò a un convegno che si tenne alla Cittadella di Assisi ed ebbe occasione di leggere il Vangelo di San Matteo. Da questa lettura nacque l’idea di produrre un film. Nel frattempo partecipò, con il produttore Bini, al film a episodi Ro.Go.Pa.G. insieme a Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard e Ugo Gregoretti e in quell’occasione pensò di ricavare un mediometraggio, girato nell’autunno del 1962, su una ricostruzione cinematografica della Passione di Cristo scritta durante la lavorazione di Mamma Roma dal titolo La ricotta che uscirà il primo marzo del 1963 accolto da un pubblico poco partecipe e che verrà sequestrato lo stesso giorno della sua uscita con l’accusa di “vilipendio alla religione di Stato”. Il processo, che verrà tenuto a Roma tra il 6 e il 7 marzo, condannò Pasolini a quattro mesi di reclusione per essere “colpevole del delitto ascrittogli” e il film venne sequestrato fino al dicembre dello stesso anno. Come scriverà Alberto Moravia su l’Espresso: Nel marzo del 1963 acquistò una casa in via Eufrate, all’EUR, dove si trasferì con la madre, in maggio. Quasi contemporaneamente a La Ricotta, Pasolini gira la prima parte del film, formato dal montaggio di pezzi di cinegiornali commentati da testi di Pasolini, La rabbia (1963), la seconda è per la regia di Giovannino Guareschi. Pasolini, visionato il film, ritirò la firma e cercò di impedirne la distribuzione ritenendosi vittima di una manovra del produttore Gastone Ferrante. il film, uscito in poche sale nell’aprile 1963, ebbe scarso successo e fu ritirato quasi subito.Continuò intanto a tenere i contatti con la Cittadella di Assisi e nel febbraio cominciò le ricerche filologiche e storiche per poter realizzare il progetto di girare un film che avesse come soggetto il Vangelo. Insieme al biblista Andrea Carraro e una troupe di tecnici compì viaggi in Israele e Giordania per trovare i luoghi e le persone adatte per la realizzazione del film. Il personaggio più difficile da trovare fu il Cristo che Pasolini volle dai lineamenti forti e decisi. Dopo averlo cercato nel poeta Evtusenko, trovò per caso, poco prima delle riprese, uno studente spagnolo, Enrique Irazoqui, dal volto fiero e distaccato simile ai Cristi dipinti dal Goya o da El Greco, e comprese di aver trovato la persona giusta.Contemporaneamente alla preparazione dei film, tra marzo e novembre 1963, Pasolini realizzò un film-inchiesta sulla sessualità degli italiani dal titolo Comizi d’amore. Cominciò a scrivere La Divina Mimesis tentativo incompiuto di rifacimento critico della Divina Commedia di Dante, il rifacimento in romanesco del Miles gloriosus di Plauto che intitolerà Il Vantone e su richiesta di Vittorini presentò alcune poesie sulla rivista Il Menabò e la Notizia su Amelia Rosselli. Nel maggio del 1964 pubblicò la quarta raccolta di versi italiani Poesia in forma di rosa e il 24 aprile cominciarono le riprese de Il Vangelo secondo Matteo che verranno concluse all’inizio dell’estate. L’opera è stata girata nei paesaggi rupestri di Matera e Massafra utilizzando moltissime comparse locali. Il film, presentato il 4 settembre 1964 a Venezia e poi diffuso in tutti i paesi europei, ottenne un grande successo di pubblico e partecipò alla prima edizione della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. In quella occasione Pasolini conobbe Roland Barthes. Nel mese di ottobre del 1965 cominciarono le riprese del nuovo film Uccellacci e uccellini che trattava il tema della crisi politica del PCI e del marxismo in chiave “ideocomica”. Tra gli attori compariranno Totò e il giovane Ninetto Davoli. Totò era stato scelto perché il film, che si svolgeva tra il reale e il surreale, aveva bisogno di un attore che fosse un po’ clown. I titoli di testa e di coda del film sono cantati da Domenico Modugno.Nel novembre del 1965 uscì anche la raccolta narrativa con il titolo suggerito da Sartre Alì dagli occhi azzurri che conteneva nella parte centrale le sceneggiature de La notte brava, Accattone, Mamma Roma, La ricotta, mentre la prima e l’ultima parte era costituita da racconti che risalivano agli anni cinquanta e dagli abbozzi dei romanzi Il Rio della grana e La Mortaccia. In quell’anno fu invitato da Alberto Moravia e Alberto Carocci, che era stato direttore di Solaria, a dirigere con loro la nuova serie della rivista Nuovi Argomenti e, alla fine dell’anno, dopo aver progettato l’uscita di un nuovo film con Totò e la regia di un’opera lirica alla Piccola Scala, partirà per un viaggio in Nordafrica. Già sofferente di ulcera, nel marzo del 1966, Pasolini, venne colpito da una forte emorragia che lo costrinse a letto per quasi un mese. Sarà l’occasione di rileggere con calma i Dialoghi di Platone che lo stimoleranno a scrivere un teatro simile alla prosa, nella convalescenza scriverà l’impianto delle sei tragedie che compongono la sua opera teatrale: Calderón, Pilade, Affabulazione, Porcile, Orgia e Bestia di Stile. Terminata la convalescenza lavorò a Bestemmia, un romanzo sotto forma di sceneggiatura in versi, e abbozzò Orgia e Bestia da stile e tra maggio e giugno lavorò ad alcuni drammi che voleva rappresentare all’estero. Per l’estate del 1966 si comprò una Maserati 3500 GT di seconda mano, con cui trascorse le vacanze estive in Carnia con la madre Susanna.Intanto, al Festival di Cannes che si tenne il 3 maggio, il film Uccellacci e uccellini ebbe grande successo e l’intervento positivo di Roberto Rossellini durante la conferenza stampa suscitò grande interesse. Tra la primavera e l’estate del 1966 scrisse la bozza dei film Teorema e l’Edipo re oltre a elaborare altri drammi: Pilade, Porcile e Calderón. Nell’ottobre del 1966 si recò a New York per la presentazione di Uccellacci uccellini a un festival cinematografico. Conobbe in quell’occasione Allen Ginsberg. All’inizio di ottobre si recò in Marocco per studiare l’ambientazione dell’Edipo re e a novembre girò un episodio del film Le streghe, dal titolo La Terra vista dalla Luna con Silvana Mangano, Totò e Ninetto Davoli. Di ritorno da un secondo viaggio in Marocco realizzò, in una sola settimana, le riprese dell’episodio Che cosa sono le nuvole? del film Capriccio all’italiana, ancora con Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Domenico Modugno. In aprile ebbero inizio le riprese dell’Edipo re nei deserti rossi del Marocco del sud che continueranno, per alcune scene, nella pianura di Lodi e per il finale nella città di Bologna. Il film, che verrà presentato alla Mostra di Venezia nel settembre 1967, non ebbe successo in Italia, mentre ottenne il favore del pubblico e della critica in Francia e in Giappone. Nello stesso anno scrisse saggi di teoria e tecnica cinematografica che verranno raccolti nel 1972 in Empirismo eretico. Il 26 ottobre dello stesso anno intervistò nella sua casa veneziana il poeta Ezra Pound, allora di 83 anni, per conto della Rai. I due discussero della Neoavanguardia italiana e dell’arte, quindi Pasolini lesse alcuni versi dalla traduzione italiana dei Canti pisani. Il Sessantotto Nel marzo del 1968 venne dato alle stampe il romanzo Teorema che sarà trasformato successivamente nel soggetto di un film, girato nella primavera dello stesso anno, che verrà presentato alla Mostra di Venezia il 4 settembre, alla critica, e che vincerà il secondo premio della carriera di Pasolini, il “Premio OCIC” (Office Catholique International du Cinèma, organizzazione cattolica che si occupa di cinema). Gli autori, tra cui Pasolini, Francesco Maselli e Cesare Zavattini, contestarono la Mostra del Cinema evidenziando come fosse una rassegna di produttori e non di autori e occuparono la Sala Volpi, solo l’intervento della polizia, il 26 agosto, permise la ripresa del festival. Jean Renoir, che assistette alla prima, dirà a un giornalista: A chaque image, à chaque plan, on sent le trouble d’un artiste (In ogni immagine, in ogni scena si sente il turbamento di un artista). Il 13 settembre la Procura di Roma ordinò il sequestro del film per oscenità. In seguito ai celebri scontri di Valle Giulia, scoppiati tra i reparti della polizia che avevano occupato preventivamente la facoltà romana di Architettura e giovani studenti, Pasolini scrisse la poesia Il P.C.I. ai giovani!! che, destinata alla rivista Nuovi Argomenti uscì senza preavviso su L’espresso scatenando una forte polemica. Nella poesia Pasolini si rivolge ai giovani dicendo che la loro è una falsa rivoluzione e che essi sono solamente dei borghesi conformisti, strumenti nelle mani della nuova borghesia. Autore di canzoni A partire dagli anni sessanta Pier Paolo Pasolini fu anche autore di canzoni, cercando un collegamento tra la poesia e la canzone d’autore. Le prime canzoni furono scritte su musiche di Piero Umiliani, Franco Nebbia e Piero Piccioni, e vennero incise da Laura Betti nel 1961, si tratta di Macrì Teresa detta Pazzia, Il valzer della toppa, Cocco di mamma e Cristo al Mandrione. Il valzer della toppa venne in seguito reincisa da Gabriella Ferri, che la inserì nel 1973 nel suo album Sempre, mentre Cristo al Mandrione fu reinterpretata da Grazia De Marchi e, nel 1997, dalla Ferri nel suo album Ritorno al futuro. Nel 1963 collaborò con Sergio Endrigo, per cui preparò un testo utilizzando alcuni versi tratti dalla raccolta La meglio gioventù; la canzone che nasce è Il soldato di Napoleone, contenuta nel primo 33 giri del cantautore istriano. Nel 1967 collaborò con Domenico Modugno, scrivendo il testo di Che cosa sono le nuvole: La canzone è poi stata reinterpretata nel 1996 da gianCarlo Onorato nell’album Il Velluto Interiore, nel 1997 dagli Avion Travel nell’album Vivo di canzoni, nel 2006 da Stefano Bollani nell’album I visionari e nel 2007 da Paolo Benvegnù. Modugno aveva già lavorato con Pasolini l’anno precedente, cantando i titoli di testa e coda del film Uccellacci e uccellini, che il regista aveva scritto in forma letteraria su musica di Ennio Morricone. Nel 1968 collaborò con il gruppo di rock psichedelico Chetro & Co., per cui scrisse il testo della canzone Danze della sera (suite in modo psichedelico), adattandolo da una sua poesia intitolata Notturno. Fine anni sessanta, tra teatro e cinema Nell’estate 1968 Pasolini girò La sequenza del fiore di carta con Ninetto Davoli tratto dalla parabola evangelica del fico infruttuoso che uscirà nel 1969, come terzo episodio del film “Amore e rabbia”. Pubblicò intanto su Nuovi Argomenti un saggio dal titolo Manifesto per un nuovo teatro in cui dichiarava il suo completo rifiuto del teatro italiano. Il 27 novembre 1968 rappresentò, al Deposito del Teatro Stabile di Torino, Orgia che venne accolta malamente dal pubblico e dai critici e, nel novembre del 1968, ebbero inizio le riprese di Porcile. Porcile ha come sfondo, per il suo episodio “metastorico”, l’Etna ed era stato pensato da Pasolini già nel 1965 quando aveva visto il film di Buñuel, Intolleranza: Simon del deserto. In seguito, per girare l’episodio moderno, la troupe si sposterà per le riprese a Villa Pisani a Stra. Dopo Porcile, che l’autore ritenne "il più riuscito dei miei film, almeno esteriormente", realizzò Medea e chiamò per interpretarlo Maria Callas. Le riprese del film vennero girate in Cappadocia, a Grado, a Pisa. La Callas e Pasolini strinsero un fortissimo legame di amicizia. Durante la lavorazione del film compì un viaggio in Uganda, Tanzania e Tanganica per cercare i luoghi dell’ambientazione del film che pensava di girare subito dopo Porcile: Appunti per un’Orestiade africana. Gli anni settanta In questi anni l’opera di Pasolini si allontanò ulteriormente dalle forme della cultura tradizionale per aumentare le occasioni di espressione su vari giornali e riviste. Nell’autunno del 1970, acquistò la Torre di Chia, nei pressi di Soriano nel Cimino, dove fece costruire un appartamento-rifugio per due. Il sito era stato scoperto da Pasolini nella primavera del 1964, dopo aver visionato molti luoghi, per ricostruire la scena del Battesimo di Gesù nel fiume Giordano nel film Il Vangelo secondo Matteo. Scrisse una recensione molto critica su Nuovi Argomenti a “Satura” di Montale, che gli rispose in versi nella Lettera a Malvolio e in aprile uscì la sua ultima raccolta di poesie Trasumanar e organizzar accolta da lettori e critici distratti. All’inizio del 1971 realizzò un documentario, dal titolo 12 dicembre, con la collaborazione di alcuni militanti di “Lotta Continua” sul tema della strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano e a marzo presta il suo nome come direttore responsabile dello stesso quotidiano. Ad aprile venne denunciato per “istigazione a delinquere e apologia del reato” per un supplemento sulle forze armate di Lotta Continua, Proletari in divisa. La Trilogia della vita Durante l’estate del 1970 scrisse la sceneggiatura di dieci novelle tratte, tra quelle tragico-comiche, dal Decameron che ambienterà nel mondo napoletano. Il Decameron voleva essere il primo del trittico che Pasolini “dedicava alla vita”. Seguiranno infatti I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte, i veri successi di pubblico di Pasolini. Nel settembre dello stesso anno cominciò a girare a Casertavecchia le prime riprese per proseguire, con Ser Ciappelletto, a Napoli e a Bressanone. Si accinse poi a scrivere la sceneggiatura dei Racconti di Canterbury tratti da Chaucer e il 28 giugno al Festival di Berlino, “Il Decameron” ottenne l’Orso d’Argento e più di 30 denunce in tutta italia. Nove settimane, dal settembre al novembre 1971, furono impegnate per le riprese nel Regno Unito di “Canterbury”. Nel 1972 cominciò durante l’estate, senza attendere che il film uscisse nelle sale, a lavorare alla terza parte della trilogia tratta dalle novelle delle Mille e una notte e fece diversi sopralluoghi in Egitto, in Giordania, in Guinea, in India e in Ghana.I Racconti di Canterbury vinse l’Orso d’oro al festival di Berlino, ma venne stroncato dalla critica internazionale e ripetutamente sequestrato in Italia. Nel 1973 cominciarono nel frattempo le riprese del Fiore delle mille e una notte a Isfahan, in Iran. Il lavoro procedette con precisione e velocità tanto che l’autore riuscì a girare nel frattempo un documentario, Le mura di Sana’a, che voleva essere un appello all’Unesco perché salvaguardasse l’antica città yemenita.Il fiore delle Mille e una notte uscì nelle sale all’inizio del 1974, vincendo il Grand Prix Spécial du Jury, al Festival di Cannes, e ottenne un gran successo, anche se il giudizio della critica non soddisfece l’autore. Le sceneggiature della Trilogia della vita vennero pubblicate nel 1975 con alcune pagine di introduzione titolate Abiura dalla Trilogia della vita dove prese le distanze dalle sue opere precedenti Il romanzo Petrolio e gli scritti tra il 1972 e il 1975 Nel 1972, accolto da indifferenza da parte della critica, pubblicò la raccolta di saggi Empirismo eretico e continuò a lavorare, rifugiandosi nella torre Chia, al romanzo Petrolio, pubblicato postumo nel 1992, del quale, in tre anni, aveva compilato più di 500 pagine dattiloscritte e che pensò dovesse impegnarlo: “forse per il resto della mia vita”. Nel 1973 interruppe i rapporti con l’editore Garzanti e accettò le offerte di Giulio Einaudi. Nel settembre dello stesso anno uscirono due testi per il teatro, Orgia e Affabulazione.Alla fine del 1973 lo scrittore aveva già in mente il progetto, di cui rimangono solo qualche decina di pagine, per un nuovo film dal titolo provvisorio Porno-Teo-Kolossal al quale avrebbe dovuto partecipare tra i protagonisti Eduardo De Filippo. Il progetto venne rinviato. Durante l’estate del 1974 scrisse una lunga appendice al dramma in versi Bestia da stile. Nel maggio 1975 vide le stampe La nuova gioventù, che era una riproduzione dell’opera La meglio gioventù, e durante l’estate Pasolini lavorò al montaggio di Salò, che fu presentato, dopo la sua morte, il 22 novembre del 1975 al festival di Parigi. A ottobre consegnò a Einaudi La Divina Mimesis. Si recò quindi a Stoccolma per un incontro all’Istituto italiano di cultura e al ritorno si fermò a Parigi per rivedere l’edizione francese di Salò: il 31 ottobre ritornò a Roma.Pasolini scrisse quindi quello che diverrà il suo ultimo documento pubblico. Si tratta del testo dell’intervento che avrebbe dovuto tenere in quei giorni al 15º Congresso del Partito Radicale: Gli Scritti corsari A novembre del 1972 cominciò a collaborare con il settimanale Tempo occupandosi di recensioni letterarie che usciranno nel volume postumo, Descrizioni di descrizioni. All’inizio del 1973 passò al Corriere della Sera, allora diretto da Piero Ottone e da Gaspare Barbiellini Amidei, e il 7 gennaio uscì il primo articolo, Contro i capelli lunghi, che avviò un’ininterrotta serie di interventi riguardo l’ambito politico, il costume, il comportamento pubblico e privato: questi articoli saranno raccolti nel volume Scritti corsari. In seguito al referendum sul divorzio, pubblicò il 10 giugno 1974, sul Corriere, l’articolo Gli italiani non sono più quelli che scatenò dure polemiche con Maurizio Ferrara e Italo Calvino.Pasolini dedicò all’operato politico dei Radicali una certa attenzione. Pur mantenendo inalterata la sua posizione contraria non tanto alla legalizzazione dell’aborto in sé, quanto al conformismo che, riguardo a questa tematica, si traduceva in quello che lui definisce “fanatico abortismo”, anche se "in una situazione pratica avrebbe scelto il male minore cioè l’aborto". Divorzio e aborto erano invece propugnati con forza proprio dal PR, tra il 1974 e il 1975 scrisse alcuni pezzi, sul Corriere della Sera e su altri quotidiani, dedicati alle battaglie radicali e agli scioperi della fame di Marco Pannella, tra cui il famoso articolo Il fascismo degli antifascisti (uscito sul Corriere del 16 luglio 1974). Il 14 novembre del 1974, pubblicò sul Corriere della Sera l’articolo Cos’è questo golpe? Io so, in cui accusava la Democrazia Cristiana e gli altri partiti suoi alleati nel governo di essere i veri mandanti delle stragi, a partire da piazza Fontana.Il 19 gennaio del 1975 uscì sul Corriere della Sera il suo articolo “Sono contro l’aborto”, che suscitò altre polemiche. Scrisse alcuni articoli sul settimanale Il Mondo che andranno a far parte del volume postumo Lettere luterane, tra cui l’ultimo suo scritto pubblicato in vita, il 30 ottobre 1975. Nel mese di maggio uscì il volume Scritti corsari che raccoglieva tutti gli articoli scritti per i quotidiani Corriere della Sera, Tempo illustrato, Il Mondo, Nuova generazione e Paese Sera, tra il 1973 e il 1975, e che comprendeva una sezione di documenti allegati, redatti da vari autori e alcuni scritti di critica che erano apparsi sul settimanale Tempo dal 10 giugno al 22 ottobre 1974. In una lettera del 3 ottobre 1975 indirizzata a Gianni Scalia, Pasolini comprendeva l’urgenza di mettere in termini di economia politica quello che Pasolini scriveva sul Corriere e chiedeva al suo amico di aiutarlo in questa fatica. Questo progetto era rimasto naturalmente solo sulla carta. Il film Salò o le 120 giornate di Sodoma Interessato al progetto del film tratto da Sade si mise a studiare intensamente il kantiano “male radicale” che riduce l’umanità nella schiavitù del consumismo e che corrompe, manipolandole, le anime insieme ai corpi (precedentemente definiti “una terra ancora non colonizzata dal potere”). Ai primi di febbraio del 1975 terminò la sceneggiatura del film che non sarà mai realizzato, Il padre selvaggio e a metà dello stesso mese cominciarono nel mantovano le riprese di Salò o le centoventi giornate di Sodoma, ultimo film scritto e diretto da Pasolini, che verrà presentato al pubblico quando l’autore sarà già morto da tre settimane. Il 12 settembre 2015, in occasione del 72º festival di Venezia, il film verrà premiato nella categoria classici come miglior film restaurato. La morte Nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975 Pasolini fu ucciso in maniera brutale: percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma. Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna alle 6 e 30 circa; sarà l’amico Ninetto Davoli a riconoscerlo. Dell’omicidio fu incolpato Pino Pelosi di Guidonia, di diciassette anni, già noto alla polizia come ladro di auto e “ragazzo di vita”, fermato la notte stessa alla guida dell’auto del Pasolini. Pelosi affermò di essere stato avvicinato da Pasolini nelle vicinanze della Stazione Termini, presso il Bar Gambrinus di Piazza dei Cinquecento, e da questi invitato sulla sua vettura (un’Alfa Romeo 2000 GT Veloce) dietro la promessa di un compenso in denaro. Dopo una cena offerta dallo scrittore, nella trattoria Biondo Tevere nei pressi della Basilica di San Paolo, i due si diressero alla periferia di Ostia. La tragedia, secondo la sentenza, scaturì a seguito di una lite per pretese sessuali di Pasolini alle quali Pelosi era riluttante, degenerata in un alterco fuori dalla vettura. Il giovane venne minacciato con un bastone del quale poi si impadronì per percuotere Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo, gravemente ferito ma ancora vivo. Quindi Pelosi salì a bordo dell’auto dello scrittore e travolse più volte con le ruote il corpo, sfondandogli la cassa toracica e provocandone la morte. Gli abiti di Pelosi non mostrarono tracce di sangue. Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti e il 4 dicembre del 1976 con la sentenza della Corte d’Appello, pur confermando la condanna dell’unico imputato, riformava parzialmente la sentenza di primo grado escludendo ogni riferimento al concorso di altre persone nell’omicidio. Controversie e altre ipotesi Due settimane dopo il delitto apparve un’inchiesta su L’Europeo con un articolo di Oriana Fallaci, che ipotizzava una premeditazione e il concorso di almeno altre due persone. Un giornalista di quel giornale ebbe alcuni colloqui con un ragazzo che, tra molte esitazioni e alcuni momenti di isteria, avrebbe dichiarato di aver fatto parte del gruppo che aveva massacrato il poeta; il giovane tuttavia, dopo un’iniziale collaborazione avrebbe rifiutato di proseguire oltre o fornire altre informazioni, dileguandosi dopo aver lasciato intendere di rischiare la vita confessando la propria partecipazione e concludendo che non sarebbe stata intenzione del gruppo uccidere il poeta, ma che si sarebbe trattato di una rapina degenerata, concludendo je volevamo solà er portafoglio ("volevamo rubargli il portafoglio). Diversi abitanti delle numerose abitazioni abusive esistenti in via dell’Idroscalo confidarono in seguito alla stampa di aver sentito urla concitate e rumori– indizio della presenza di ben più di due persone sul posto– e invocazioni disperate di aiuto da parte del Pasolini la notte del delitto, ma senza che alcuno fosse intervenuto in suo soccorso. Sembra che la zona non fosse ignota al Pasolini, che già varie volte vi si era recato con altri partner e addirittura, stando a quanto la Fallaci affermò, avrebbe talvolta affittato per qualche ora una delle abitazioni del posto per trascorrervi momenti di intimità. Nella sua biografia su Pasolini Enzo Siciliano sostiene che il racconto dell’imputato presentava delle falle perché il bastone di legno– in realtà, una tavoletta di legno utilizzata precariamente per indicare il numero civico e l’abitazione di una delle baracche– a lui sembrava marcita per l’umidità e troppo deteriorata per costituire l’arma contundente che aveva causato le gravissime ferite riscontrate sul cadavere del poeta e rimarcando l’impossibilità, per un giovane minuto come il Pelosi, di sopraffare un uomo agile e forte come Pasolini senza presentare né tracce della presunta lotta, né macchie di sangue sulla sua persona o sugli indumenti. Il film Pasolini, un delitto italiano, di Marco Tullio Giordana, uscito nel ventennale del delitto, è sceneggiato come un’inchiesta e arriva alla conclusione che Pelosi non fosse solo. Lo stesso Giordana però ha precisato, in un’intervista al Corriere della Sera, che non intendeva sostenere a tutti i costi la matrice politica nel delitto. Ha dichiarato inoltre di non escludere altre possibilità, per esempio quella di un incontro omosessuale di gruppo degenerato in violenza.Pelosi, dopo aver mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza per trent’anni, fino al maggio 2005, a sorpresa, nel corso di un’intervista televisiva, ha affermato di non essere l’esecutore materiale del delitto di Pier Paolo Pasolini, e ha dichiarato che l’omicidio era stato commesso da altre tre persone, giunte su un’autovettura targata Catania, che a suo dire parlavano con accento “calabrese o siciliano” e, durante il massacro, avrebbero ripetutamente inveito contro il poeta gridandogli " jarrusu (termine gergale siciliano, utilizzato in senso dispregiativo nei confronti degli omosessuali). E infatti, era giunta a suo tempo alle autorità una lettera anonima in cui si affermava che, la sera della morte di Pasolini, la sua auto era stata seguita da una Fiat 1300 targata Catania di cui erano indicate le prime quattro cifre, ma nessuno si preoccupò mai di effettuare una verifica presso il Pubblico Registro Automobilistico (PRA). Pelosi ha poi fatto i nomi dei suoi presunti complici solo in un’intervista del 12 settembre 2008 pubblicata sul saggio d’inchiesta di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza “Profondo Nero” (Chiarelettere 2009). Ha aggiunto inoltre di aver celato questa rivelazione per timore di mettere a rischio l’incolumità della propria famiglia ma di sentirsi adesso libero di parlare, dopo la morte dei genitori. A trent’anni dalla morte, assieme alla ritrattazione di Pelosi, è emersa la testimonianza di Sergio Citti, amico e collega di Pasolini, su una sparizione di copie dell’ultimo film Salò e su un eventuale incontro con dei malavitosi per trattare la restituzione. Sergio Citti morì per cause naturali alcune settimane dopo. Un’ipotesi molto più inquietante lo collega invece alla “lotta di potere” che prendeva forma in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si interessò al ruolo svolto da Cefis nella storia e nella politica italiana: facendone uno dei due personaggi “chiave”, assieme a Mattei, di Petrolio, il romanzo-inchiesta (uscito postumo nel 1992) al quale stava lavorando poco prima della morte. Pasolini ipotizzò, basandosi su varie fonti, che Cefis alias Troya (l’alias romanzesco di Petrolio) avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. Secondo autori recenti fu proprio per questa indagine che Pasolini fu ucciso.Altri collegano la morte di Pasolini alle sue accuse a importanti politici di governo di collusione con le stragi della strategia della tensione. Walter Veltroni il 22 marzo 2010 ha scritto al Ministro della Giustizia Angelino Alfano una lettera aperta, pubblicata sul Corriere della sera, chiedendogli la riapertura del caso sottolineando che Pasolini è morto negli anni settanta, “anni cui si facevano stragi e si ordivano trame”. Nel 2010, l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno ricordato che i proprietari della trattoria Biondo Tevere, di cui Pasolini era cliente abituale, furono sentiti pochissime ore dopo l’identificazione del corpo ed entrambi descrissero il giovane con cui Pasolini s’era presentato la sera del delitto come alto almeno 1,70 e forse di più, con capelli lunghi e biondi, pettinati all’indietro, ovvero completamente diverso da Pelosi, che era poco più di 1.60 m., tarchiato e con folti capelli neri e ricci, secondo la moda dell’epoca. Hanno anche raccolto la dichiarazione di un nuovo testimone, cosa che ha aperto ulteriori indagini che però sono state definitivamente archiviate all’inizio del 2015. Le nuove indagini non hanno portato infatti a nulla di nuovo rispetto alla sentenza, se non ad alcune tracce di Dna sui vestiti dello scrittore. Tracce però di impossibile attribuzione e impossibili da collocare temporalmente, se durante il delitto o nei giorni precedenti. Sostenitori della sentenza Molti intellettuali sostengono la verità giudiziaria, o comunque non credono a complotti. Si tratta di scrittori e amici di Pasolini che ritengono inattendibile, per molti motivi, la ritrattazione di Pelosi a distanza di trent’anni. In linea generale, sono gli stessi che rifiutano la lettura politica militante delle opere di Pasolini e l’immagine edulcorata del personaggio che porta a farne “un santo e un martire”. Essi privilegiano, invece, una chiave interpretativa dell’uomo e dell’opera legata alla sua particolare omosessualità, vissuta senza fermarsi di fronte a pratiche estreme e violente, anche con i minori.Sono le basi da cui partono Edoardo Sanguineti (che definisce il suo comportamento “suicidio per delega"), Franco Fortini e il curatore dell’opera omnia Walter Siti per sostenere che in generale la sua scrittura presenta un forte contenuto autobiografico e che in particolare alcune opere sono una sorta di autobiografia originata da una tendenza sadomasochista votata all’autodistruzione.Sono le stesse basi che utilizzano Nico Naldini, cugino di primo grado di Pasolini, anch’egli omosessuale, poeta e scrittore, nonché suo collaboratore in tutti i film, e Marco Belpoliti per dire che con le teorie del complotto si manifesta la resistenza della sinistra e di alcuni amici ad accettare la particolare omosessualità dello scrittore riducendola a una sorta di vizietto, una pratica privata di cui non si deve parlare, mentre costituisce la sostanza su cui egli ha fondato la propria opera e la propria critica della società. Naldini, che definisce le teorie del complotto “bufale che si inseguono e che si divorano l’un l’altra”, e "delirio che continua da molti anni e non è ancora del tutto passato", nel suo libro “Breve vita di Pasolini”, scrive che l’attrazione per quel tipo di ragazzi gli faceva perdere il senso del pericolo. Un senso che avrebbe invece dovuto tenere ben presente, vista anche la sua costituzione fisica minuta (era alto 1,69 m e pesava 59 kg.) che lo portava a essere facile oggetto di lesioni, anche da parte di ragazzi. Per diversi motivi, tra cui il fatto che lo scrittore, da tempo, aveva adottato il sadomasochismo, anche con rituali feticistici (le corde per farsi legare e così immobilizzato in una sorta di scena sacrificale farsi percuotere fino allo svenimento), Naldini ritiene che abbiano ragione coloro che dicono che, suo cugino, in fondo, sia in parte autore del suo stesso destino. La sua morte è spiegata dal fatto che viveva una vita violenta: per questo egli pensa che sia allo stesso tempo tragico e ridicolo volerlo trasformare in una specie di santo laico. Anche per il critico Giancarlo Vigorelli, scopritore di Pier Paolo Pasolini sin da quand’era un poeta adolescente, si tratta di omicidio omosessuale. Egli considerava Pasolini un uomo pieno di contraddizioni non tanto perché cercasse il sesso occasionale, ma per la violenza, “per il modo bestiale in cui si consumava durante nottate di violenza che non comprendevo. Fino alle sette di sera era una persona, dopo era tutt’altra… a me gelava il sangue quando lo vedevo il giorno dopo le sue avventure notturne pieno di graffi e lividi”.Ferdinando Camon, la cui prefazione dei primi libri è stata scritta da Pasolini, afferma che lo scrittore è morto come ha rischiato tante volte di morire. Egli sostiene che le teorie del complotto rispondono al desiderio di alcuni amici di Pasolini di mondarlo dalla morte per omosessualità, vissuta anche comprando minorenni, per consegnarlo alla storia come morto per antifascismo. L’amico pittore Giuseppe Zigaina rievoca le circostanze della scomparsa di Pasolini in un suo saggio. Dal confronto con la simbologia presente in gran parte delle sue opere egli sostiene che Pasolini ha «progettato per quindici anni la sua morte». Sulle stesse posizioni, contro le teorie del complotto, si trovano anche Guido Santato, studioso di Pasolini, e l’italianista Bruno Pischedda il quale aggiunge che queste teorie sono anche un tentativo di preservarne la statura di vate, un modo per custodire un’immagine mitica, consacrata, ponendola fuori e al di sopra di qualsiasi giudizio. Anche se la tendenza a credere nelle teorie del complotto, secondo Pierluigi Battista, prescinde dalla storia personale dello scrittore, e deriva dal fatto che "i gialli sono sempre più avvincenti della piattezza delle trame realistiche".Un altro cronista che non ha mai creduto alla tesi del complotto neofascista è Massimo Fini: nel 2015, in occasione dei quarant’anni dell’omicidio, ricordò che quella teoria fu innescata da Oriana Fallaci (sua collega all’Europeo) dopo aver sfogliato alcune riviste dal parrucchiere e aver raccolto dei boatos in quel senso, e che successivamente fu ripresa dai grossi intellettuali (tra cui Umberto Eco e Alberto Moravia), poiché negli anni settanta «attribuire ogni nefandezza ai fascisti era uno sport nazionale, tanto più facile perché [...] i fascisti erano scomparsi, e tutti, dal sociologo paraculo del Corriere della Sera, al Corriere stesso, ai democristiani, a chi scriveva manuali di cucina, ma, beninteso, sempre in “ottica rivoluzionaria”, all’ultima cocotte erano diventati di sinistra» e poiché non volevano accettare che Pasolini fosse morto «cercando di infilare un bastone nel culo al diciassettenne Pino la rana». Fini aggiunse che Pasolini era solito recarsi in zone periferiche e malfamate, come il quartiere Pigneto, per incontrare i «ragazzi di vita» e comportarsi in maniera sadica con loro dal momento che quella era la sua zona d’ombra, e all’idroscalo Lido di Roma incontrò un ragazzo che si ribellò a una certa richiesta. A prescindere dai fatti e dalle responsabilità che hanno condotto alla sua morte, la fine di Pasolini sembra essere emblematica, al punto che la sua morte è stata paragonata a quella di Caravaggio: Archivi personali Presso la Cineteca di Bologna si trova l’archivio del Centro Studi Pier Paolo Pasolini donato nel 2004 da Laura Betti. Il Gabinetto Vieusseux di Firenze ha un suo consistente fondo comprendente circa 39 anni di epistolario, manoscritti e dattiloscritti delle sue opere, foto personali e foto di scena, rassegna stampa sulle sue attività, opuscoli, locandine ecc. Una raccolta di manoscritti del periodo friulano, tra cui Quaderni rossi (1946-1947) e i Manifesti politici (1949) e una fitta corrispondenza epistolare con gli amici e i parenti sono depositati al Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia Opere * Per l’importanza della sua poesia il critico statunitense Harold Bloom ha inserito Pasolini tra gli scrittori che compongono il Canone Occidentale. Poesia * Poesie a Casarsa, Libreria Antiquaria Mario Landi, Bologna, 1942. * Poesie, Stamperia Primon, San Vito al Tagliamento, 1945. * Diarii, Pubblicazioni dell’Academiuta, Casarsa, 1945; ristampa anastatica 1979, con premessa di Nico Naldini. * I pianti, Pubblicazioni dell’Academiuta, Casarsa, 1946. * Dov’è la mia patria, con 13 disegni di G. Zigaina, Edizioni dell’Academiuta, Casarsa, 1949. * Tal còur di un frut, Edizioni di Lingua Friulana, Tricesimo, 1953; nuova edizione a cura di Luigi Ciceri, Forum Julii, Udine, 1974. * Dal diario (1945-47), Sciascia, Caltanissetta, 1954; nuova edizione, 1979, con introduzione di L. Sciascia, illustrazioni di Giuseppe Mazzullo. * La meglio gioventù, Biblioteca di Paragone, Sansoni, Firenze, 1954. * Il canto popolare, Edizioni della Meridiana, Milano, 1954. * Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano, 1957; nuova edizione Einaudi, Torino, 1981, con un saggio critico di Walter Siti). * L’usignolo della Chiesa Cattolica, Longanesi, Milano, 1958; nuova edizione, Einaudi, Torino, 1976. * Roma 1950. Diario, All’insegna del pesce d’oro (Scheiwiller), Milano, 1960. * Sonetto primaverile (1953), Scheiwiller, Milano, 1960. * La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961; nuova edizione Einaudi, Torino, 1982. * Poesia in forma di rosa (1961-1964), Garzanti, Milano, 1964. * Poesie dimenticate, a cura di Luigi Ciceri, Società filologica Friulana, Udine, 1965. * Poesie [riunisce una scelta d’autore di 24 poesie da Le ceneri di Gramsci, La religione del mio tempo e Poesia in forma di rosa]; Garzanti, Milano, 1970. * Trasumanar e organizzar, Garzanti, Milano, 1971. * La nuova gioventù. Poesie friulane 1941-1974, Einaudi, Torino, 1975; Collana Gli struzzi n.243, Einaudi, 1981; Collezione di poesia, Einaudi, 2002. * Le poesie [riunisce Le ceneri di Gramsci, La religione del mio tempo, Poesia in forma di rosa, Trasumanar e organizzar e alcune inedite], Garzanti, Milano, 1975. * Poesie e pagine ritrovate, a cura di Andrea Zanzotto e Nico Naldini, con disegni di Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Zigaina, Lato Side 25, Roma, 1980. Bestemmia. Tutte le poesie, 2 voll., a cura di Graziella Chiarcossi e Walter Siti, prefazione di Giovanni Giudici, Garzanti, Milano, 1993, ISBN 978-88-116-3584-0; nuova edizione nella Collana Gli elefanti Poesia, 4 voll., Garzanti, 1995-1996. Poesie scelte, a cura di Nico Naldini e Francesco Zambon, con un’introduzione di F. Zambon, Collana Poeti del nostro tempo, TEA, Milano 1997; Collana Poeti della Fenice, Guanda, Parma, 2015, ISBN 978-88-235-1253-5; Collana Tascabili poesia, Guanda, 2017, ISBN 978-88-235-1747-9. * Tutte le poesie, 2 voll. in cofanetto, a cura e con uno scritto di Walter Siti, saggio introduttivo di Fernando Bandini, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 2003. Traduzioni poetiche Dal latino Dall’Eneide, in Umberto Todini, Virgilio e Plauto, Pasolini e Zanzotto. Inediti e manoscritti d’autore tra antico e moderno, in Lezioni su Pasolini, a cura di Tullio De Mauro e Francesco Ferri, Sestante, Ascoli Piceno 1997, p. 56. Dal francese * Roger Allard, Storia di Yvonne, in Poesia straniera del Novecento, a cura di A. Bertolucci, Garzanti, Milano 1958, pp. 82–87. * Jean Pellerin, La romanza del ritorno, in Poesia straniera del Novecento, a cura di A. Bertolucci, Garzanti, Milano 1958, pp. 88–93. * André Frénaud, Esortazione ai poveri, in «L’Europa letteraria», dicembre 1960. In friulano * Niccolò Tommaseo, A la so Pissula Patria, «Il Stroligut», n. 1, avost 1945, p. 19. * Giuseppe Ungaretti, Luna, «Il Stroligut», n. 2, avril 1946, p. 19. Dal greco al friulano * Tre frammenti di Saffo, in Massimo Fusillo, La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema, La Nuova Italia, Firenze 1996, pp. 243–244. Narrativa * Ragazzi di vita, Garzanti, Milano 1955 (nuova ed.: Einaudi, Torino 1979, con un’appendice contenente Il metodo di lavoro e I parlanti). * Una vita violenta, Garzanti, Milano 1959 (nuova edizione: Einaudi, Torino 1979). * Donne di Roma. Sette storie di P.P.Pasolini, Introduzione di Alberto Moravia, 104 fotografie di Sam Waagenaar, Collana Specchio del mondo n.8, Milano, Il Saggiatore, 1960. * L’odore dell’India, Longanesi, Milano 1962; Nuova ed., Guanda, Parma 1990, con un’intervista di Renzo Paris ad Alberto Moravia. * Il sogno di una cosa, Garzanti, Milano 1962. * Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano 1965. * Teorema, Garzanti, Milano 1968. * La Divina Mimesis, Einaudi, Torino 1975; Nuova ed. con una nota introduttiva di Walter Siti, Einaudi, 1993. * Amado mio preceduto da Atti impuri, con uno scritto di A. Bertolucci, edizione a cura di Concetta D’Angeli, Garzanti, Milano 1982. * Petrolio, a cura di Maria Careri e Graziella Chiarcossi, con una nota filologica di Aurelio Roncaglia, Einaudi, Torino 1992; a cura di Silvia De Laude, Collana Oscar, Mondadori, Milano, 2005. * Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma 1993 [oltre a racconti, contiene saggi di argomento friulano] * Romàns, seguito da Un articolo per il «Progresso» e Operetta marina, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma 1994. * Storie della città di Dio. Racconti e cronache romane (1950-1966), a cura di Walter Siti, Einaudi, Torino 1995. * Romanzi e racconti, 2 voll., a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con due saggi di W. Siti, Mondadori, Milano 1998. Sceneggiature e testi per il cinema * La notte brava, in Filmcritica, novembre-dicembre 1959. * Accattone, prefazione di Carlo Levi, FM, Roma 1961; poi in Accattone, Mamma Roma, Ostia, introduzione di Ugo Casiraghi, Garzanti, Milano 1993, pp. 23–236. * Mamma Roma, Rizzoli, Milano 1962; poi in Accattone, Mamma Roma, Ostia, cit., pp. 239–401. * Il Vangelo secondo Matteo, a cura di Giacomo Gambetti, Garzanti, Milano 1964; poi in Il Vangelo, Edipo, Medea, introduzione di Morando Morandini, Garzanti, Milano 1991, pp. 7–300. * La commare secca, in «Filmcritica», ottobre 1965. * Uccellacci e uccellini, Garzanti, Milano 1966. * Edipo re, Garzanti, Milano 1967, poi in Il Vangelo, Edipo, Medea, cit., pp. 313–454. * Che cosa sono le nuvole?, in Cinema e Film, 1969. * Porcile (soggetto del primo episodio, titolo originario Orgia), in «ABC», 10 gennaio 1969. * Appunti per un poema sul Terzo Mondo (soggetto), in Pier Paolo Pasolini. Corpi e luoghi, a cura di Michele Mancini e Giuseppe Perrella, Theorema, Roma 1981, pp. 35–44. * Ostia, un film di Sergio Citti, sceneggiatura di S. Citti e Pier Paolo Pasolini, Garzanti, Milano 1970; poi in Accattone, Mamma Roma, Ostia, cit., pp. 405–566. * Medea, Garzanti, Milano 1970; poi in Il Vangelo, Edipo, Medea, cit., pp. 475–605. * Storie scellerate, un film di Sergio Citti, soggetto e sceneggiatura di S. Citti e Pier Paolo Pasolini 1973. * Il padre selvaggio (racconto-sceneggiatura scritto nel 1963 per un film mai realizzato), Collana Nuovi Coralli n.114, Einaudi, Torino, I ed. 1975. Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury, il Fiore delle Mille e una notte), a cura di Giorgio Gattei, Cappelli, Bologna 1975; nuove edizioni Oscar Mondadori, Milano 1987, e Garzanti, Milano 1995, con introduzione di Gianni Canova. * San Paolo, Collana Supercoralli. Nuova serie, Einaudi, Torino, 1977, ISBN 978-88-060-9878-0; Prefazione di Enzo Bianchi, Collana Elefanti bestseller, Garzanti, Milano, 2017, ISBN 978-88-116-7277-7. * Appunti per un’Orestiade africana, a cura di Antonio Costa, Quaderni del Centro Culturale di Copparo, Copparo (Ferrara) 1983. * Ignoti alla città (commento), in Pier Paolo Pasolini, Il cinema in forma di poesia, a cura di Luciano De Giusti, Cinemazero, Pordenone 1979, pp. 117–18. * La canta delle marane (commento), ibid., pp. 119–20. * Comizi d’amore (scaletta preparatoria), ibid., pp. 123–27. * Storia indiana (soggetto), ibid., pp. 134–35. * Le mura di Sana’a (commento), in «Epoca», 27 marzo 1988. * Porno-Teo-Kolossal, in «Cinecritica», aprile-giugno 1989. * Sant’Infame, ivi. * La Terra vista dalla Luna, sceneggiatura a fumetti, presentazione di Serafino Murri, in «MicroMega», ottobre-novembre 1995. La Nebbiosa, in «Filmcritica», 459/460, novembre-dicembre 1995; edizione integrale secondo le sequenza della prima stesura, a cura di Graziella Chiarcossi, prefazione di Alberto Piccinini, nota al testo di Maria D’Agostini, Biblioteca delle Silerchie, Il Saggiatore, Milano, 2013. * Per il cinema, 2 voll. in cofanetto, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, con due scritti di B. Bertolucci e Mario Martone, saggio introduttivo di Vincenzo Cerami, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 2001. Teatro * Italie Magique, in Potentissima signora, canzoni e dialoghi scritti per Laura Betti, Longanesi, Milano 1965, pp. 187–203. * Pilade, in «Nuovi Argomenti», luglio-dicembre 1967. * Affabulazione, in «Nuovi Argomenti», luglio-settembre 1969. * Calderón, Garzanti, Milano 1973. * I Turcs tal Friùl (I Turchi in Friuli), a cura di Luigi Ciceri, Forum Julii, Udine 1976 (nuova edizione a cura di Andreina Nicoloso Ciceri, Società filologica friulana, Udine 1995). * Affabulazione-Pilade, presentazione di Attilio Bertolucci, Garzanti, Milano 1977. * Porcile, Orgia, Bestia da stile, con una nota di Aurelio Roncaglia, Garzanti, Milano 1979. * Teatro (Calderón, Affabulazione, Pilade, Porcile, Orgia, Bestia da stile), prefazione di Guido Davico Bonino, Garzanti, Milano 1988. * Affabulazione, con una nota di Guido Davico Bonino, Einaudi, Torino 1992. * La sua gloria (dramma in 3 atti e 4 quadri, 1938), in «Rendiconti», 40, marzo 1996, pp. 43–70. * Teatro, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con due interviste a L. Ronconi e S. Nordey, Mondadori, Milano 2001. * Bestia da stile, a cura di Pasquale Voza, Editrice Palomar, Bari 2005. Traduzioni teatrali Eschilo, Orestiade, a cura dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico per le rappresentazioni classiche nel teatro greco di Siracusa, Urbino 1960; poi Quaderni del Teatro popolare italiano n.2, Einaudi, Torino 1960; con una Lettera del traduttore, Collana Scrittori tradotti da scrittori, Einaudi, 1985. * Plauto, Il vantone, Garzanti, Milano 1963; Prefazione di Umberto Todini, Garzanti, 1994. Saggi * “Paolo Weiss” testo di Pasolini, con 34 tavole del pittore, Edizioni della Piccola Galleria Roma 1946 * Passione e ideologia (1948-1958), Garzanti, Milano 1960 (nuove edizioni Einaudi, Torino 1985, con un saggio introduttivo di C. Segre, e Garzanti, Milano 1994, con prefazione di A. Asor Rosa). * “I parlanti” (1948) estratto da “Botteghe Oscure”, Roma 1951, ripubblicato in appendice all’edizione Einaudi di “Ragazzi di vita”, 1979 * “Donne di Roma” con introduzione di Alberto Moravia, Milano, Il Saggiatore, 1960 * Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972. * Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975 (nuova edizione 1990, con prefazione di A. Berardinelli). * Volgar’eloquio, a cura di Antonio Piromalli e Domenico Scafoglio, Athena, Napoli, 1976 * Lettere luterane, Einaudi, Torino, 1976; con un’introduzione di Alfonso Berardinelli, 2003. Descrizioni di descrizioni, a cura di Graziella Chiarcossi, Collana Gli struzzi n.194, Einaudi, Torino, I ed. 1979; prefazione di Giampaolo Dossena, Garzanti, Milano, 1996; introduzione di Paolo Mauri, Collana Saggi, Garzanti, 2006. [raccoglie le recensioni letterarie apparse sul settimanale «Tempo» tra il 26 novembre 1972 e il 24 gennaio 1975] * Il Portico della Morte, a cura di Cesare Segre, «Associazione Fondo Pier Paolo Pasolini», Garzanti Milano 1988. * Antologia della lirica pascoliana. Introduzione e commenti, a cura di Marco Antonio Bazzocchi, saggio introduttivo di M. A. Bazzocchi ed Ezio Raimondi, Einaudi, Torino 1993. * I film degli altri, a cura di Tullio Kezich, Guanda, Parma 1996. * Poesia dialettale del Novecento, a cura di Mario dell’Arco e Pier Paolo Pasolini, introduzione di Pasolini, Guanda, Parma 1952 (nuova edizione Einaudi, Torino 1995, con prefazione di Giovanni Tesio). * Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare, a cura di Pier Paolo Pasolini, Guanda, Parma 1955 (nuova edizione Garzanti, Milano 1972 e 1992). Pier Paolo Pasolini e il setaccio 1942-1943, a cura di Mario Ricci, Cappelli, Bologna 1977, con scritti di Roberto Roversi e Gianni Scalia (contiene i seguenti saggi pasoliniani: «Umori» di Bartolini; Cultura italiana e cultura europea a Weimar; I giovani, l’attesa; Noterelle per una polemica; Mostre e città; Per una morale pura in Ungaretti; Ragionamento sul dolore civile; Fuoco lento.Collezioni letterarie; Filologia e morale; Personalità di Gentilini; «Dino» e «Biografia ad Ebe»; Ultimo discorso sugli intellettuali; Commento a un’antologia di «lirici nuovi»; Giustificazione per De Angelis; Commento allo scritto del Bresson; Una mostra a Udine). * Tutti gli articoli di Pasolini per «Il Setaccio» sono leggibili sul sito della Biblioteca comunale dell’Archiginasio * Nota sull’odierna poesia, «Gioventù italiana del Littorio. Bollettino del Comando federale di Bologna», aprile 1942, p. 6. Stroligut di cà da l’aga (1944)– Il Stroligut (1945-1946)– Quaderno romanzo (1947), riproduzione anastatica delle riviste dell’Academiuta friulana, a cura del Circolo filologico linguistico padovano, Padova, 1983 (contiene i seguenti saggi pasoliniani: Dialet, lenga e stil; Academiuta di Lenga Furlana; Alcune regole empiriche d’ortografia; Volontà poetica ed evoluzione della lingua). * Saggi sulla letteratura e sull’arte, 2 voll., in cofanetto, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con un saggio di Cesare Segre, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 1999. * Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con un saggio di Piergiorgio Bellocchio, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano 1999. * I giovani e l’attesa. Tre scritti giovanili (1942-43), Ogni uomo è tutti gli uomini, 2015, ISBN 978-88-96691-93-9. * Il mio cinema, Collana Il cinema ritrovato, Cineteca di Bologna, 2015, ISBN 978-88-99196-13-4. Dialoghi con i lettori Le belle bandiere. Dialoghi 1960-65, a cura di Gian Carlo Ferretti, Collana I David n.19, Roma, Editori Riuniti, 1977. [contiene una scelta dei dialoghi apparsi sul settimanale «Vie Nuove» tra il 4 giugno e il 30 settembre 1965] Il caos, a cura di Gian Carlo Ferretti, Collana I David, Roma, Editori Riuniti, dicembre 1979. [contiene una scelta dei dialoghi apparsi sul settimanale «Tempo», dal 6 agosto 1968 al 24 gennaio 1970]; Collana Saggi, Garzanti, Milano, 2015, ISBN 978-88-11-68501-2; Prefazione di Roberto Saviano, collana Gli elefanti. Saggi, Garzanti, 2017, ISBN 978-65-11-67298-1. * I dialoghi, a cura di Giovanni Falaschi, prefazione di Gian Carlo Ferretti, Collana I Grandi, Roma, Editori Riuniti, 1992, ISBN 978-88-359-3638-1. [comprende tutti i dialoghi apparsi su «Vie Nuove» e su «Tempo»] Epistolari * Lettere agli amici (1941-1945), Collana Biblioteca della Fenice n.3, Parma, Guanda, 1976. * Lettere 1940-1954, Con una cronologia della vita e delle opere, a cura di Nico Naldini, Collana Biblioteca dell’Orsa n.2, Torino, Einaudi, 1986, ISBN 978-88-06-59331-5. * Lettere 1955-1975, a cura di Nico Naldini, Collana Biblioteca dell’Orsa, Torino, Einaudi, 1988, ISBN 978-88-06-59953-9. * Vita attraverso le lettere, A cura di Nico Naldini, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, 1994, ISBN 978-88-06-13580-5. Interviste Il sogno del centauro, A cura di Jean Duflot. Prefazione di Gian Carlo Ferretti, Collana Universale scienze sociali, Roma, Editori Riuniti, 1983. (lunga intervista concessa in due tempi– 1969 e 1975– apparsa dapprima in francese– nel 1970 e nel 1981– col titolo Les dernières paroles d’un impie); Collana I libelli, Editori Riuniti, II ed. 1993, ISBN 978-88-35-83789-0. * Pasolini su Pasolini. Conversazioni con Jon Halliday, traduzione di C. Salmaggi, Collana Biblioteca della Fenice, Parma, Guanda, 1992, ISBN 978-88-7746-622-8. * Interviste corsare sulla politica e sulla vita 1955-1975, A cura di Michele Gulinucci, Roma, Liberal Atlantide editoriale, 1995. * Furio Colombo e Gian Carlo Ferretti (a cura di), L’ultima intervista di Pasolini, Collezione Le Coccinelle, Avagliano Editore, 2005, ISBN 978-88-8309-186-5. * Povera Italia. Interviste e interventi, 1949-1975, A cura di Angela Molteni, Kaos Edizioni, 2013, ISBN 978-88-7953-253-2. * Polemica Politica Potere, conversazioni con Gideon Bachmann, A cura di Riccardo Costantini, Collana Reverse, Milano, Chiarelettere, 2015, ISBN 978-88-6190-789-8. Programmi radiofonici * Paesaggi e scrittori: il Friuli, a cura di Pier Paolo Pasolini, sabato 17 agosto 1956, RAI programma nazionale. Filmografia * Accattone (1961) * Mamma Roma (1962) * La ricotta, episodio di Ro.Go.Pa.G. (1963) * La rabbia (1963) co-regia con Giovannino Guareschi * Comizi d’amore (1964) * Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo (1964) * Il Vangelo secondo Matteo (1964) * Uccellacci e uccellini (1966) * La Terra vista dalla Luna, episodio di Le streghe (1967) * Edipo re (1967) * Che cosa sono le nuvole?, episodio di Capriccio all’italiana (1968) * Appunti per un film sull’India (1968) * Teorema (1968) * La sequenza del fiore di carta, episodio di Amore e rabbia (1969) * Porcile (1969) * Medea (1969) * Appunti per un’Orestiade africana (1970) * Il Decameron (1971) * Le mura di Sana’a (1971) * I racconti di Canterbury (1972) * Il fiore delle Mille e una notte (1974) * Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) Discografia Album * 1995: Meditazione Orale (BMG Ricordi, 74321-27043-2) * 1997: Pasolini / Kresnik / Schwertsik– Gastmahl Der Liebe (Volksbühne Recordings) * 2005: Pasolini Rilegge Pasolini (Archinto) * 2006: Pier Paolo Pasolini, Giovanna Marini– Le Ceneri di Gramsci (Block Nota, I Dischi Di Angelica, CD BN 608) Singoli * 1962 Poesia In Forma Di Rosa (7") (RCA Italiana, 17 CL-12) Canzoni scritte da Pier Paolo Pasolini Premi e riconoscimenti cinematografici * Festival di Cannes 1958 al miglior soggetto originale per Giovani mariti di Mauro Bolognini * Nastro d’Argento 1960 al miglior soggetto originale per La notte brava di Mauro Bolognini * Primo premio per la regia al Festival Internazionale del cinema di Karlovy Vary 1962 per Accattone * Mostra internazionale di Venezia– 1964: Leone d’argento– Gran premio della giuria e premio O.C.I.C. (Office Chatolique International du Cinéma) per Il vangelo secondo Matteo * Nastro d’Argento al miglior regista 1965 per Il vangelo secondo Matteo * Nastro d’Argento 1967 al miglior soggetto originale per Uccellacci e uccellini * Mostra internazionale di Venezia– 1968 premio O.C.I.C. (Office Chatolique International du Cinéma) per Teorema * Premio “Amelia” 1969 per la cinematografia * Kinema Junpo Awards 1970: Miglior film straniero per Edipo re * Festival internazionale del cinema di Berlino: Orso d’argento 1971 per Il Decameron * Festival internazionale del cinema di Berlino: Orso d’oro 1972 per I racconti di Canterbury * Festival di Cannes 1974: Grand Prix Speciale della Giuria per Il fiore delle Mille e una notte * Festival di Venezia 2015: Miglior film restaurato per Salò o le 120 giornate di Sodoma Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Paolo_Pasolini

Andrea Zanzotto

Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921 – Conegliano, 18 ottobre 2011) è stato un poeta italiano tra i più significativi della seconda metà del Novecento. Biografia Andrea Zanzotto nacque nel 1921 a Pieve di Soligo da Giovanni e Carmela Bernardi. Durante i primi due anni di vita, visse in un vicolo vicino a via Sartori, ma due anni dopo, nel 1922, la famiglia si trasferì nella contrada di Cal Santa, dove il padre, che lavorava come miniatore, decoratore e ritrattista, aveva acquistato casa: saranno questi i luoghi più volte descritti dal poeta e la casa, come egli stesso scrive nell’Autoritratto del 1977, sarà, fin dall’inizio, il centro del suo mondo. La formazione scolastica Nel 1923 nacquero le due sorelle gemelle Angela e Marina e, nel 1924, Zanzotto iniziò a frequentare la scuola materna, gestita da suore che seguivano il metodo Montessori. Nel 1925 nacque la sorella Maria. Nel frattempo il padre, che aveva espresso apertamente le lodi di Giacomo Matteotti, venne accusato di antifascismo e, con l’andare del tempo, la sua opposizione al regime gli rese difficile ogni tipo di lavoro, tanto da decidere nel 1925 di rifugiarsi a Parigi e poi a Annœullin, nei pressi di Lilla, dove lavorò presso degli amici. Ritornò poi per un breve periodo in patria, ma nel 1926 fu costretto a ritornare in Francia, a Royan, dove rimase fino al dicembre dello stesso anno. La scuola elementare Quando nel 1927 iniziò la scuola elementare, grazie alla maestra Marcellina Dalto, Zanzotto aveva già imparato a scrivere: fu così inserito nella seconda classe. Come racconta il poeta stesso nel suo Autoritratto, egli già sentiva il piacere della musicalità delle parole: “provavo qualcosa di infinitamente dolce ascoltando cantilene, filastrocche, strofette (anche quelle del ”Corriere dei Piccoli") non in quanto cantate, ma in quanto pronunciate o anche semplicemente dette, in relazione a un’armonia legata proprio al funzionamento stesso del linguaggio, al suo canto interno".Nel 1928 il padre ottenne un impiego come insegnante presso una scuola in Cadore e decise di trasferirsi con la famiglia a Santo Stefano, dove Zanzotto avrebbe terminato la seconda classe. Alla fine dell’estate però Giovanni, resosi conto della sofferenza che il distacco dalla madre causava alla moglie, decise di far rientrare la famiglia a Pieve. Nel 1929 morì una delle sue sorelle, Marina, evento che rimase impresso, insieme ad altri episodi dolorosi, nella sua giovane mente. In quello stesso anno, infatti, il padre Giovanni si mise in luce con una chiara e decisa propaganda per il “No” al plebiscito fascista: fu così costretto a prolungare il suo esilio, riuscendo comunque a lavorare alla decorazione della chiesa di Costalissoio. Zanzotto, che frequentava ormai la terza elementare, lo raggiunse durante il periodo delle vacanze estive, pur soffrendo per la nostalgia di casa. Nel 1930 nacque un altro fratello, Ettore. Intanto, la fuga di un cassiere con i fondi della società che garantiva il sostegno familiare a Giovanni, obbligò lo stesso, insieme ad altri garanti (si trattava di un’associazione tra mutilati di guerra che aveva preso la forma di una cooperativa di lavoro), a contrarre debiti imponendo all’intera famiglia notevoli ristrettezze economiche. In questo periodo Zanzotto si affezionò ancor più alla nonna paterna e alla zia Maria, la quale, come scriverà in “Uno sguardo dalla periferia”, gli faceva ascoltare “frammenti di latino maccheronico” e lo coinvolse nell’attività del teatrino delle suore, presso cui lei aveva funzione di drammaturgo, capocomico, regista e attrice. A scuola si dimostrava un alunno vivace e non sempre disciplinato, ricevendo spesso i rimproveri del padre. Un punto debole in cui il giovinetto risultava piuttosto impacciato era il disegno, arte perfezionata invece magistralmente dal padre, il quale insisté allora perché prendesse lezioni di musica, arte molto amata dagli abitanti di Pieve per la fama del famoso soprano conterraneo Toti Dal Monte, che verrà ricordato da Zanzotto all’inizio della sua opera Idioma. La scuola media Terminata la scuola elementare nel 1931 come allievo esterno al Collegio Balbi-Valier, dopo l’esame pubblico a Vittorio Veneto, Zanzotto iniziò la scuola media, maturando intanto la decisione di studiare per l’istituto magistrale, spinto soprattutto dalle precarie condizioni economiche familiari. Il padre Giovanni lavorava nel frattempo a Santo Stefano, ma nel 1932 fu costretto, causa la riduzione degli stipendi, a ritornare ad Annœullin dove rimase fino al novembre. Rientrò a Pieve nel 1933 e, anche se per lui rimase il divieto di insegnare, riuscì a dare un aiuto alla famiglia grazie ad un incarico presso la scuola media del collegio Balbi-Valier e a vari lavori occasionali. Rendendosi inoltre conto della sua grande responsabilità nei confronti della famiglia, evitò ogni scontro diretto con gli avversari politici. L’istituto magistrale Per Zanzotto intanto, con il passaggio all’istituto magistrale che frequentò a Treviso facendo il pendolare, iniziarono anche i primi forti interessi letterari che cercherà di nutrire al momento consultando l’enciclopedia di Giacomo Prampolini, la Storia Universale della Letteratura, che riportava esempi di poesia di autori di tutto il mondo. Risale al 1936 il suo primo amore e l’ispirazione dei primi versi che, con la complicità della nonna e delle zie, riuscì a pubblicare su un’antologia per la quale aveva versato un piccolo contributo. I versi non avevano ancora uno stile personale e risentivano dell’influenza pascoliana dato che un nipote di Giovanni Pascoli che lavorava nella banca locale, conoscendo la sua passione per la poesia, gli aveva regalato alcuni volumi del poeta in edizione originale. Il passaggio al liceo classico Nel 1937 morì di tifo la sorella Angela: al dolore per il grave lutto, che lo turbò profondamente, si aggiunse la fatica della pendolarità con Treviso, oltre alla stanchezza accumulata con l’intensificarsi dello studio, poiché, volendo rendere più brevi i tempi del diploma, si era presentato all’esame nell’ottobre precedente, portando tutte le materie del penultimo anno, riuscendo a superarlo con successo; aveva inoltre iniziato lo studio del greco, al fine di superare l’esame di ammissione al liceo classico. Si ripresentarono così con maggior forza episodi allergici e asmatici già apparsi in precedenza, che egli visse, insieme agli altri motivi di malessere, con un sentimento di esclusione e precarietà: "[...] credo che abbia male influito sulla mia infanzia e sulla mia adolescenza l’infiltrarsi progressivo in me di un’idea certo aberrante: quella dell’impossibilità di partecipare attivamente al gioco della vita in quanto io ne sarei stato presto escluso. Io soffrivo di varie forme di allergia e a quei tempi la diagnosi poteva essere abbastanza confusa, dubbia. L’asma, la pollinosi che mi tormentavano fin da piccolo erano talvolta interpretate come fatti che potevano aggravarsi, in teoria, anche a breve scadenza". Conseguito il diploma magistrale, il direttore del collegio Balbi-Valler gli affidò alcuni scolari per ripetizioni, mentre ottenne dal parroco, monsignor Martin, duemila lire come “debito d’onore” per continuare gli studi.Zanzotto intanto superava l’esame di ammissione conseguendo la maturità classica come privatista al liceo ginnasio statale Antonio Canova di Treviso. L’Università Nel 1938 si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Padova, dove ebbe come insegnanti, tra gli altri, Diego Valeri e il latinista Concetto Marchesi. Sotto la spinta di Valeri, approfondì la lettura di Baudelaire e scoprì Rimbaud, mentre, grazie a Luigi Stefanini, lesse per la prima volta Hölderlin, nella traduzione di Vincenzo Errante. Iniziò intanto ad apprendere la lingua tedesca giungendo così a leggere in lingua originale i grandi poeti della letteratura tedesca: Hölderlin, Goethe e Heine. Nel 1940 ottenne la sua prima supplenza a Valdobbiadene. Scoprì intanto che, all’interno del regime e soprattutto nelle associazioni giovanili, vi erano molti iscritti che agivano nella pratica in modo autonomo o in contrasto con esso, come venne a sapere dal suo amico e maestro Ettore Luccini, organizzatore culturale e docente al liceo classico, nonché legato all’ambiente padovano della rivista anticonformista Il Bò, alla quale Zanzotto collaborò; negli stessi anni intervenne anche sul foglio universitario trevigiano Signum (a cui collaboravano anche Luzi, Strehler e Mario Tobino) che mantiene solo di facciata l’adesione al regime. Lo scoppio della seconda guerra mondiale fu accolto nel paese con grande costernazione, la crisi economica si fece maggiormente sentire e la sua famiglia fu costretta a vendere metà della casa di Cal Santa. Nel 1941 la supplenza a Valdobbiadene non gli fu rinnovata, ma riuscì ad ottenerne una a Treviso presso una scuola media come laureando. Presso il GUF di Treviso, all’interno del quale erano presenti personaggi che praticavano l’antifascismo, Zanzotto tenne, nel 1942, una “presentazione” di Montale dove interpretò il pessimismo dell’autore in chiave politica ed etica con la lettura degli Ossi di seppia. Il 30 ottobre 1942, con una tesi dal titolo “L’arte di Grazia Deledda”, Zanzotto si laureò in letteratura italiana presso l’Università di Padova, avendo come relatore il professor Natale Busetto. Un’edizione anastatica della sua tesi è stata edita dalla Padova University Press. Il periodo bellico Chiamato alla visita militare, venne dichiarato rivedibile per insufficienza toracica e per la forte asma allergica, rimanendo così esonerato alla chiamata alle armi della classe 1921 protagonista delle tragica campagna in Russia e in Grecia. Rifiutò in seguito di rispondere al reclutamento di volontari organizzati dal Fascio. Pubblicò nel nº 10 di Signum una prosa intitolata Adagio e risalgono a quell’anno i primi abbozzi di narrazione tra la prosa e il lirismo che formano il nucleo più antico del volume Sull’Altopiano, pubblicato nel 1964. Si profilava intanto la possibilità di pubblicare, nella collana di poesia che affiancava la rivista fiorentina Rivoluzione, inaugurata da Mario Tobino con Veleno e amore, una breve raccolta di scritti dell’autore ma, a causa degli eventi bellici, il periodico fu costretto a chiudere. La chiamata alle armi Intanto ai primi di febbraio del 1943 Zanzotto ricevette la chiamata alle armi con la leva del '22 e fu inviato ad Ascoli Piceno per frequentare il corso AUC. Tra i libri che portò con sé ci sono i versi di Vittorio Sereni: "quando ancora non lo conoscevo e restavo quasi a bocca aperta, stordito dai rispecchiamenti, dalle fioriture, dal candore, dai misteri della sua Frontiera (e pensavo: ma allora lui ha già detto tutto, di me, di noi, proprio di questi giorni e attimi...) mentre la leggevo portandola con me in treno sotto le armi" (Per Vittorio Sereni 1991). Zanzotto non rimase molto tempo ad Ascoli perché, con l’avanzare della stagione, si era manifestata in tutta la sua virulenza l’allergia che lo costrinse all’Ospedale Militare di Chieti dove gli fu riscontrata una forte compromissione bronchiale con ectasia. Sospeso dall’addestramento come allievo ufficiale, venne inviato al deposito del 49º Fanteria di Ascoli e, non avendo terminato il periodo del CAR, in attesa di nuova visita, assegnato ai servizi non armati. Il periodo di Ascoli Il periodo trascorso ad Ascoli fu caratterizzato dall’inasprimento della malattia, parzialmente risolte solo dopo il '52 alla comparsa dei primi antistaminici, e a una forte depressione caratterizzata da una grave insonnia. Assolto intanto dall’incarico di piantone e affidatogli quello di scritturale, riuscì a trovare un po’ di tempo, soprattutto quando ritornava dalle scarse licenze che lo aiutavano a rinnovare il legame con la sua terra, per dedicarsi alla scrittura di poesie, alcune delle quali faranno parte in seguito delle raccolte Dietro il paesaggio e Vocativo. L’8 settembre e il rientro a Pieve di Soligo L’8 settembre Zanzotto si trovava in libera uscita quando giunse, tra urla e grida, la notizia dell’armistizio. Dopo essere riuscito ad ottenere notizie dalla madre sulla famiglia, rientra alle Casermette, dove venivano addestrati gli allievi ufficiali, ma un battaglione di soldati tedeschi cerca di passare con l’intenzione di attraversare Ascoli. Gli italiani, radunate le forze, vogliono fare opposizione e anche Zanzotto marcia in una colonna di rinforzo che ha l’ordine di combattere. Compreso però che l’avanzare delle truppe tedesche non si può arrestare con le poche forze a disposizione, le retrovie ricevono l’invito a fuggire. Zanzotto, procuratosi un abito borghese, raggiunse San Benedetto del Tronto per tentare la via del ritorno a casa. Alla stazione di Ferrara, pur presidiata dalla Wehrmacht, riesce a salire su un treno che lo porta a Padova dove alcuni amici, presto rintracciati, lo informano dell’intenzione dei fascisti di organizzare un nuovo governo. Appurato che la corriera per Pieve di Soligo compie servizio regolare Zanzotto si reca al suo paese, ma nello stesso giorno vengono affissi ai muri i Befehle con l’ordine per tutti i soldati dell’esercito italiano di trovarsi radunati entro quarantotto ore. In seguito a febbrile colloquio notturno viene presa la decisione di non presentarsi e così, dopo aver fatto rifornimenti di viveri e vestiario, in attesa di una normalizzazione, viene presa la decisione di rifugiarsi sulle colline. Quando i controlli sembrano essersi allentati, Zanzotto ritorna a Soligo e cerca di aiutare finanziariamente la famiglia dando lezioni private nel collegio Balbi-Valier che continua a distinguersi come centro dell’antifascismo locale. L’attività nella Resistenza Nell’inverno del '43– '44 presero forma le prime brigate della Resistenza e Zanzotto iniziò ad aderire ad esse partecipando così alla Resistenza veneta nelle Brigate Giustizia e Libertà occupandosi della stampa e della propaganda del movimento, avendo come punto di riferimento la figura di Antonio Adami, detto Toni, intellettuale antifascista e partigiano non violento ucciso il 26 marzo 1945 dai nazi-fascisti al quale il poeta dedicherà nel 1954 la poesia Martire, primavera. Intanto le speranze di una conclusione degli eventi bellici va allontanandosi e all’interno dell’organizzazione della resistenza la situazione diventa difficile per mancanza di concordia tra le varie associazioni. Viene così a formarsi nella zona una Brigata Mazzini che, pur essendo sotto il controllo del Partito Comunista, accoglie altre differenti forze antifasciste. Zanzotto, che come Adami mantiene la decisione di non far uso delle armi, vi aderisce e viene impiegato nella propaganda partecipando così alla realizzazione di manifesti e fogli informativi. In seguito allo sbarco degli alleati in Francia le organizzazioni partigiane della zona occuparono il Quartier di Piave, territorio strategicamente difficile per le molte vie di accesso e per la presenza del comando nemico di Belluno, formando una vera repubblica partigiana che, all’inasprirsi della pressione tedesca, dovrà prendere atto della sua debolezza. Il 10 agosto del '44 scoppia la prima rappresaglia e il paese è sottoposto a sparatorie e incendi. Molte furono le vittime, tra le quali Gino Dalla Bortola caro amico del poeta. Vennero catturati anche molti ostaggi tra i quali il fratello Ettore che, essendo solo quattordicenne, non sarà deportato a Belsen come gli altri del gruppo ma presto rilasciato. Zanzotto riesce a raggiungere la zona di Mariech e Salvedella dove era situato l’ufficio stampa per deciderne lo spostamento. Il 31 agosto inizia il grande rastrellamento e a portarne notizia sarà il comandante Nardo (Lino Masin) e Toni Adami. Più di duecento abitazioni di Pieve di Soligo, Soligo e Solighetto erano state date alle fiamme. Zanzotto, con i compagni, cercherà di discendere la montagna sapendo che tedeschi e fascisti stavano preparandosi a risalirla. Il giorno dopo Zanzotto riuscirà, con altri, a sfuggire dall’accerchiamento. Ci saranno giorni di violenza e verranno catturati altri partigiani poi deportati. Giunta intanto la notizia del massacro di Soligo Zanzotto si dà alla macchia fino a metà settembre quando finalmente riesce a mettersi in contatto con i familiari. Il paese era nel frattempo diventato una specie di campo di concentramento e con l’arrivo dell’inverno Zanzotto verrà reclutato a forza e mandato al lavoro coatto ma riuscirà, con un certificato medico attestante il peggioramento della malattia, ad essere esonerato dai lavori più pesanti, ma non dalla corvée. Alla fine dell’inverno, e siamo ormai nell’anno 1945, Zanzotto riprese l’attività partigiana e ritornò sulle colline a continuare il lavoro di propaganda. Tranne uno scritto in ricordo dell’amico Toni Adami che diffonde, in questo periodo egli scriverà solamente qualche pagina di diario e una lirica che sarà offerta più tardi per un memoriale della Brigata Piave, dedicata ai morti fucilati in paese. Dopo un mese di continui scontri gli alleati libereranno la zona ma nei giorni successivi il 30 aprile accaddero altri atti di violenza e di rappresaglia a Valdobbiadene e Oderzo. "Un cospicuo materiale documentario sulle vicende di questo periodo sarà raccolto in seguito da Lino Masin nel memoriale La lotta di liberazione nel Quartier del Piave e la Brigata Mazzini 1943-45 (Treviso 1989) al quale Zanzotto contribuirà con la nota Una attiva testimonianza". In questo periodo raccoglierà in un fascicolo le poesie scritte nel '41– '42 che verranno pubblicate nel 1970 con il titolo A che valse? e alcuni componimenti che faranno poi parte di Dietro il paesaggio. Ripresi intanto i contatti con gli amici di Padova ritornerà a frequentare i gruppi attivi legati a "Comunità" e al Partito Comunista. Invitato da Aldo Camerino Zanzotto parteciperà a Venezia ad una importante mostra di poesia recandosi poi, nei mesi successivi, numerose volte a Milano dove, nel giugno, accompagnato l’amico scultore Carlo Conte in casa di Alfonso Gatto incontrerà Vittorio Sereni da poco ritornato dall’Algeria. Nel 1946 il referendum per scegliere il nuovo governo mobiliterà l’intero paese e Zanzotto sosterrà il voto in favore della repubblica. L’emigrazione in Svizzera Intanto Zanzotto, in attesa del termine dell’anno scolastico 1945– 1946 dove aveva ottenuto una supplenza nel collegio del Balbi-Valier, decise di emigrare avendo saputo da amici di Treviso che in Svizzera era più facile trovare un lavoro. Nel mese di settembre ottenne un posto da insegnante presso un collegio di Villars-sur-Ollon, nel Canton Vaud. Costretto prima della fine dell’anno scolastico a rientrare in Italia per essere operato di appendicite, ritornerà in Svizzera dopo il mese di convalescenza ma deciderà di lasciare l’incarico al collegio per recarsi a Losanna dove si stabilirà. Per guadagnare farà il barista e il cameriere riuscendo così, grazie ai turni, ad avere mezza giornata libera che dedicherà a gite in Francia. A Losanna avrà occasione di frequentare i seguaci del medium svedese Swedenborg avendo così la possibilità di conoscere i libri introvabili di questo personaggio che influenzerà Balzac e i Surrealisti. Partecipa ad un premio bandito da Neri Pozza, che sarà vinto da Vittorio Gassman, con un frammento narrativo intitolato Luca e i numeri e inizierà a scrivere in francese il Cahier Vaudois che lascerà incompiuto e inedito. Il rientro in Italia Verso la fine del 1947, quando sembravano riaperte le prospettive d’insegnamento, Andrea farà ritorno in Italia. Partecipò in questo periodo al Premio Libera Stampa di Lugano dove venne segnalato dalla giuria e dove ebbe modo di conoscere molti letterati e critici tra i quali Carlo Bo e Luciano Anceschi e rivedrà Vittorio Sereni con il quale instaurerà un lungo rapporto di amicizia. Tra gli autori segnalati per il Premio Libera Stampa ci sarà anche Pier Paolo Pasolini e Maria Corti. Si recherà spesso a Milano dove alloggerà in un piccolo albergo vicino alla stazione e a poca distanza dalla casa di Sereni e conoscerà molti dei letterati noti in questo periodo come Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo. Continuerà inoltre a dedicarsi alla preparazione di diverse prove di concorso e allo studio per la laurea in filosofia ma, completati gli esami necessari, al momento della tesi incentrata su Kafka, si fermò a causa dell’insufficiente conoscenza del tedesco. Ottenne nel frattempo l’abilitazione in italiano, latino, greco, storia e geografia e nell’anno scolastico 1949-'50 ottenne l’insegnamento al Liceo Flaminio di Vittorio Veneto. I primi componimenti poetici, l’insegnamento e i primi scritti critici Nel 1950 concorse al Premio San Babila per la sezione inediti: la giuria era composta da Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Vittorio Sereni e gli venne attribuito il primo premio per un gruppo di poesie, composte tra il 1940 e il 1948, che sarà poi pubblicato nel 1951 con il titolo Dietro il paesaggio. Trascorso un periodo di crisi depressive si mise in contatto con Cesare Musatti che lo aiuterà, in parte, a fronteggiare e ad uscire dalla situazione di disagio psichico in cui si trovava. Si susseguiranno in questi anni i vari incarichi di insegnamento e a Motta di Livenza incontrerà Giuseppe Bevilacqua che gli farà scoprire la poesia tedesca contemporanea e le opere di Paul Celan. Con il nuovo anno scolastico Zanzotto lascerà la sede di Motta di Livenza per passare a Treviso e nuovamente al Liceo di Vittorio Veneto. Nel 1954, con un intervallo di soli tre anni da Dietro il paesaggio, usciranno nella collana Mondadori diretta da Sereni, Elegia e altri versi con la prefazione di Giuliano Gramigna. Nel frattempo affiancò all’attività di insegnante e poeta quella di critico letterario, collaborando dal 1953 al 1957 a La Fiera Letteraria, dal 1958 al 1965 a Comunità oltre che a Il Mondo e al Il Popolo di Milano. Nello stesso anno Zanzotto ottenne la cattedra nella scuola media di Conegliano come insegnante di ruolo e partecipò ad un incontro letterario a San Pellegrino dove venne presentato da Ungaretti. Il discorso pronunciato da quest’ultimo fu molto lusinghiero e comparirà su “L’Approdo”: «[...] Caro Zanzotto, eccoLa entrato in una storia illustre, e Le auguro, e ora verrà il più difficile, che in essa Ella riesca a portare a conclusione la Sua storia. Coraggio»A Padova conobbe il letterato feltrino Silvio Guarnieri con il quale strinse un forte legame d’amicizia che andò a consolidarsi nel corso del 1955. Dopo la sua morte avvenuta nel 1992, sono state rinvenute 101 lettere e cartoline di Zanzotto, oggi depositate presso il Fondo manoscritti di autori moderni e contemporanei dell’Università degli Studi di Pavia. In questo periodo si andò intanto delineando un nuovo libro di poesie che prenderà forma definitiva nel 1956 e verrà dato alla stampa presso Mondadori nel 1957 con il titolo di Vocativo. Le nuove amicizie e il matrimonio Il 1958 sarà segnato dal riapparire delle forme ansiose delle quali aveva sofferto in passato ma troverà un forte sostegno da un gruppo solidale di amici che si ritrovano a Treviso o nei paesi situati in collina; tra questi vi è spesso l’amico Giovanni Comisso, affiancato dal poeta Giocondo Pillonetto. Di questo periodo è la comparsa della figura di Nino (Angelo Mura), agricoltore e proprietario di terreni, nella cui abitazione si terranno convegni dedicati all’arte e alla cucina ai quali partecipano noti artisti e studiosi veneti. Sarà di questo anno la collaborazione con la rivista Comunità, che si protrarrà fino al 1965, e gli incontri frequenti con Marisa Michieli che sposerà nel luglio del 1959. Nello stesso anno vinse il Premio Cino Del Duca con alcuni racconti e iniziò la riflessione sulla sua poesia con la pubblicazione di Una poesia ostinata a sperare. Il 4 maggio del 1960 morì il padre di ictus e il 20 maggio nacque il suo primo figlio, che venne battezzato con il nome del nonno Giovanni. Collaborò in quell’anno alla rivista Il Caffè che riuniva i migliori nomi del panorama letterario del momento, come Calvino, Ceronetti, Manganelli e Volponi. La rivista ospitò in quell’anno un suo scritto, Michaux, il buon combattente, che trattava dell’effetto delle droghe, argomento che, anche se ancora lontano dalla cronaca quotidiana, si stava affacciando nel dibattito culturale. Nel 1961 nacque il secondo figlio, Fabio, e nello stesso anno Zanzotto rinunciò ad un trasferimento che aveva già ottenuto come professore presso l’Università di Padova. Accettò pertanto di organizzare a Col San Martino, una frazione di Farra di Soligo, la scuola media inferiore dove svolse per due anni mansioni di preside e di insegnante. Le distanze da I Novissimi Nel 1962 Mondadori pubblicò il suo volume di versi IX Egloghe e sulla rivista Comunità apparve un articolo nel quale il poeta prendeva decisamente le distanze dai motivi che inserivano la raccolta in un’antologia, con il titolo I Novissimi, delle poesie di Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani e Antonio Porta, sostenendo l’idea di una poesia intesa come esperienza “individuale”. L’articolo, tuttavia, non incrinò il suo rapporto con Luciano Anceschi, direttore della rivista Il Verri e principale promotore dell’antologia. La collaborazione alle riviste Dal 1963 la sua presenza di critico su riviste e quotidiani si intensificò: scrisse per Questo e altro, L’Approdo letterario, Paragone, Nuovi Argomenti, Il Giorno, l’Avanti!, il Corriere della Sera. Scrisse anche numerosi saggi critici, soprattutto su autori a lui contemporanei come (Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Vittorio Sereni). Ottenne in questo anno il trasferimento definitivo nella scuola media di Pieve di Soligo dove insegnerà fino al 1971. Altre esperienze Nel 1964 incontrò ad Asolo il filosofo tedesco Ernst Bloch e ne rimase conquistato: veniva intanto pubblicato il suo primo libro di prose creative, Sull’altopiano. La giuria presieduta da Diego Valeri e composta, tra gli altri, da Carlo Bo, Carlo Betocchi e Giacomo Debenedetti, gli assegnò in quello stesso anno il “Premio Teramo” per un racconto inedito. Sempre del '64 è l’esperienza teatrale Il povero soldato, tratta da un montaggio di brani presi dal Ruzante. Nel 1965 partecipò agli incontri italo-iugoslavi di Abbazia insieme a Bandini, Giudici, Segre Dobrica Ćosić che in quel momento era il rappresentante appartenente all’ala liberale del partito comunista al potere. Nel 1966 tradusse per Mondadori dal francese Età d’uomo. Notti senza notte e alcuni giorni senza giorno di Michel Leiris. Intanto, con la conferenza di Jacques Lacan all’Istituto di cultura di Milano in occasione dell’uscita degli Écrits, si inaugurava anche in Italia il fortunato periodo dello strutturalismo e Zanzotto partecipò all’evento insieme ai maggiori rappresentanti dell’arte e della cultura. In questo periodo iniziò a scrivere sull’Avanti! e partecipò a Milano alla presentazione del libro di Ottieri L’irrealtà quotidiana, che egli considerava una tra le più importanti opere del secondo Novecento. Risale al 1967 un suo viaggio a Praga dove partecipò con Sereni, Fortini e Giudici ad una cerimonia di presentazione di un’antologia della poesia italiana ricevendo, insieme agli altri poeti italiani, una calorosa accoglienza. È di questo periodo il suo avvicinamento alle posizioni politiche di Fortini e dei Quaderni Piacentini di Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi con la quale manterrà sempre rapporti di amicizia. I primi importanti volumi in versi "La Beltà" Nel 1968 uscì il volume in versi La Beltà (tuttora considerata la raccolta fondamentale della sua opera) presentato a Roma da Pier Paolo Pasolini e a Milano da Franco Fortini, mentre il 1º giugno uscì su Il Corriere della sera una recensione scritta da Eugenio Montale sulla poesia di Zanzotto che, avendo già potuto conoscere alcuni versi del nuovo poeta, aveva scritto: "Zanzotto non descrive, circoscrive, avvolge, prende, poi lascia. Non è proprio che cerchi se stesso e nemmeno che tenti di fuggire alla sua realtà; è piuttosto che la sua mobilità è insieme fisica e metafisica, e che l’inserimento del poeta nel mondo resta altamente problematico e non è nemmeno desiderato[...] È una poesia coltissima, la sua, un vero tuffo in quella pre-espressione che precede la parola articolata e che poi si accontenta di sinonimi in filastrocca, di parole che si raggruppano per sole affinità foniche, di balbettamenti, interiezioni e soprattutto iterazioni. È un poeta percussivo ma non rumoroso: il suo metronomo è forse il batticuore[...] Una poesia inventariale che suggestiona potentemente e agisce come una droga sull’intelletto giudicante del lettore. “Gli sguardi i fatti e senhal” Nel 1969 pubblicò Gli sguardi, i fatti e senhal, scritto subito dopo lo sbarco sulla luna effettuato dall’astronauta statunitense Neil Armstrong il 21 luglio, dimostrando ancora una volta quanto egli fosse attento al pulsargli della vita intorno, agli eventi e al loro concatenarsi. In questo anno gli viene assegnato in Mestre il prestigioso premio della “Tavola all’Amelia” di Dino Boscarato. Nel 1970 fu finalista al Premio Firenze con Ted Hughes e Paul Celan, tradusse il Nietzsche di Georges Bataille e pubblicò con l’editore Vanni Scheiwiller un volumetto di quattordici liriche come omaggio agli amici intitolato A che valse?(Versi 1938-1942), fuori commercio e a tiratura limitata. Si appassionò in questo periodo alla lettura di Le geste et la parole dell’etnologo e paleontologo francese André Leroi-Gourhan che gli diede modo di riflettere sul linguaggio e l’espressione umana. Nella primavera del 1973 intraprese, con Augusto Murer, un viaggio in Romania, dove alcune sue poesie erano già state tradotte, ma fu costretto a rientrare in patria per l’aggravarsi delle condizioni di salute della madre. Zanzotto rientrò da Bucarest, attraverso l’Ungheria e la Jugoslavia, in treno per timore dell’aereo, che non utilizzò mai come mezzo di trasporto. Pochi giorni dopo il suo rientro la madre morì, lasciandolo enormemente addolorato. Ripreso comunque il suo lavoro di scrittore tradusse La letteratura e il male di Georges Bataille per l’editore Rizzoli e, sempre nel 1973, pubblicò un nuovo volume di versi, intitolato Pasque. Esce nello stesso anno anche l’antologia Poesie (1938-1972) negli Oscar Mondadori, a cura di Stefano Agosti. Nel 1974 il n. 8-9 di Studi novecenteschi, dal titolo Dedicato a Zanzotto, raccoglieva gli interventi di numerosi poeti e studiosi sulla sua opera tra i quali Armando Balduino, Fernando Bandini, Amedeo Giacomini, Luigi Milone e Gino Tellini. Nel 1975 e nel 1976 il poeta partecipò ai corsi estivi dell’Università di Urbino tenendo numerose conferenze e brevi seminari sulla letteratura contemporanea. Strinse in questo periodo amicizia con il romanziere Wolfgang Hildesheimer, interprete durante i processi di Norimberga e intensificò la collaborazione con il Corriere della sera scrivendo recensioni su Leonardo Sinisgalli, Enrico Solmi, Ronald Laing, Alexandros Panagulis. Uscì in questo periodo un’antologia poetica in lingua inglese, “Selected Poetry of Andrea Zanzotto”, per le edizioni dell’Università di Princeton nel New Jersey alla quale si interessarono sia Cesare Segre che Sergio Perosa e venne pubblicata da Garzanti la traduzione di La ricerca dell’assoluto di Honoré de Balzac. Nel corso dell’anno iniziò la stesura dei sonetti che comporranno la sezione Ipersonetto di Il Galateo in Bosco. L’incontro con Fellini e il poemetto "Filò" Nell’estate del '76 il poeta, per la segnalazione di Nico Naldini, iniziò a collaborare al Casanova di Fellini, da lui incontrato per la prima volta nel 1970 alla presentazione del film I clowns. Nello stesso anno viene pubblicata l’opera Filò dalle edizioni Ruzzante di Venezia che comprende la lettera di Fellini, dove dichiara le sue aspettative, i versi per il film Casanova, quelli sul dialetto e una lunga nota, oltre a cinque disegni di Fellini e alla trascrizione in italiano delle parti in dialetto dello studioso veneziano Tiziano Rizzo. Venne pubblicata in questo periodo anche la traduzione dal francese di Studi di sociologia dell’arte di Pierre Francastel per la casa editrice Rizzoli che poco tempo prima lo aveva invitato a partecipare ad un comitato di lettura al quale parteciparono anche Claudio Magris, Carlo Bo, Giacinto Spagnoletti e Giorgio Caproni. Nel 1977 tradusse dal francese Il medico di campagna di Honoré de Balzac che venne pubblicato da Garzanti e nel medesimo anno vinse il Premio internazionale Etna-Taormina per la sua produzione letteraria. Il galateo in bosco e il Premio Viareggio Nel dicembre 1978, viene pubblicato nella collana Lo Specchio, di Mondadori Il Galateo in Bosco con prefazione di Gianfranco Contini. Nell’introduzione Contini lo definisce “pur difficile affabile poeta” un che scava con le mani le profondità sotterranee del suo bosco. Il Galateo in Bosco costituisce il primo volume di una trilogia che riceverà il Premio Viareggio nel 1979. Ancora per Fellini, “Fosfeni” e il Premio Librex Montale Nel 1980 scrisse alcuni dialoghi e stralci di sceneggiatura del film La città delle donne di Fellini, che incontrò più volte in Veneto con la moglie Giulietta Masina, che sarebbe divenuta la madrina del Premio Comisso di Treviso. Nello stesso anno, in marzo, il poeta partecipò, presso le scuole secondarie di Parma, ad alcune significative testimonianze alle quali contribuiscono anche Attilio Bertolucci, Vittorio Sereni, Giuseppe Conte e Maurizio Cucchi le cui testimonianze verranno pubblicate nel 1981 dalla casa editrice Pratica con il titolo Sulla poesia. Conversazioni nelle scuole. Venne intanto pubblicata presso una piccola casa editrice di Teramo la trascrizione di una storia popolare per bambini, “La storia dello zio Tonto”. Mostrando interesse per la poesia giapponese dello haiku provò dei tentativi di scrittura di questo genere. Nel 1982, il 9 marzo, gli verrà attribuita la laurea ad honorem dall’Università Ca’ Foscari di Venezia e continuerà la collaborazione per incisioni e cartelle insieme ad artisti di orientamenti diversi, come Armando Pizzinato, Guido Guidi, Antonio Zancanaro, Giuseppe Zigania, Augusto Murer e poi anche Emilio Vedova. Nel 1983 scrisse per il film di Fellini E la nave va i Cori che verranno pubblicati nello stesso anno da Longanesi insieme alla sceneggiatura e uscì Fosfeni, secondo libro della trilogia, con il quale ottenne il Premio Librex Montale. La depressione In questo periodo si acuì l’insonnia di cui soffriva da tempo, tanto da costringerlo a farsi ricoverare. Continuò a tenere un diario sul quale annotare gli avvenimenti in modo sistematico, quasi una terapia per la sua nevrosi. Nella primavera-estate 1984, i mesi più scuri della depressione, iniziò a scrivere in modo sistematico una serie di (pseudo) haiku in inglese, che sottotitolò For a season. Zanzotto nel corso del tempo tradusse poi egli stesso in italiano gli haiku originariamente scritti in inglese, in quel che alla fine divenne un esperimento di poesia bilingue. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna gli haiku in inglese e italiano sono stati pubblicati nel 2012 in Haiku for a season (The University of Chicago Press, a cura di Anna Secco e Patrick Barron), l’ultimo volume di versi licenziato dal poeta. Nella tarda primavera dell’84, segno di un miglioramento, compì un viaggio a Parigi per recarsi ad una serata in suo onore al Théâtre de Chaillot. “Idioma” e il Premio Feltrinelli Nel 1986 uscì, presso Mondadori, il terzo volume della trilogia intitolato Idioma e la casa editrice Arcane 17 di Nantes stampò la traduzione francese della trilogia “Le Galaté au Bois”. Il 1987 fu l’anno della completa riabilitazione fisica. Il n. 37-38 della rivista L’immaginazione fu dedicato al poeta con numerosi interventi di nomi famosi, tra i quali, Fortini, Prete, Rigoni Stern e in primavera uscì il primo numero della rivista Vocativo in gran parte dedicato a Zanzotto. Nello stesso anno ricevette il premio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei. La prima traduzione della sua opera Nell’estate del 1988 si recò a Berlino per un incontro internazionale di poesia e nel 1990 uscì, tradotta in lingua tedesca, una nuova selezione delle sue poesie con il titolo Lorna, Kleinod der Hügel (Lorna, gemma delle colline) e la raccolta Racconti e prose. I volumi contenenti gli interventi critici Nel 1991 uscì presso Mondadori il primo volume degli interventi critici del poeta usciti su riviste e giornali a partire dai primi anni cinquanta con il titolo di Fantasie e avvicinamento. Il 1992 fu l’anno dei congressi e delle celebrazioni con numerose richieste di intervento su giornali e riviste. Nel 1993 Zanzotto si recò a Münster, in Germania, per ricevere il premio per la poesia europea e nel 1994 uscì, sempre presso Mondadori, la seconda raccolta di scritti critici con il titolo Aure e disincanti nel Novecento. Apparve intanto nella sezione europea della collezione “opere rappresentative” dell’Unesco la traduzione in francese di un’antologia con la sua opera poetica, Du Paysage à l’Idiome, a cura di Philippe Di Meo e il poeta venne festeggiato al Beaubourg di Parigi. Sempre in questo periodo verrà composta da Mirco De Stefani un’opera musicale sul testo di Il Galateo in Bosco, incisa poi su compact disc, che si eseguirà a Treviso. Le altre due parti della trilogia, Fosfeni e Idioma, verranno interpretate, sempre in chiave musicale, nel 1995 la prima e nel 1997 la seconda che verrà eseguita a Venezia presso la Fondazione Cini. Le sue ultime opere: da Meteo a Conglomerati Nel 1995 l’Università di Trento gli attribuì la laurea honoris causa. Nel 1996, dieci anni dopo la pubblicazione di Idioma, venne pubblicato dalla casa editrice Donzelli Poesia un piccolo volume intitolato Meteo con venti disegni di Giosetta Fioroni e una Nota finale in cui il poeta scrive: Nel 1996 va via di testa per una minorenne presentatagli da un amico: per lei, che poco lo corrisponde preferendogli l’amico, compone versi inequivocabili e pudicamente inediti. Nel 2000 ricevette il Premio Bagutta per le Poesie e prose scelte e, il 6 ottobre, la laurea honoris causa in lettere dall’Università di Torino. Del 2001 è il libro composito intitolato Sovrimpressioni, che si concentra intorno al tema della distruzione del paesaggio. L’anno successivo ricevette il premio “Dino Campana”. Su proposta della Facoltà di Lettere e Filosofia, l’Università di Bologna gli concesse la laurea ad honorem l’8 marzo 2004.Scrisse anche alcune storie per bambini in lingua veneta, come La storia dello Zio Tonto, libera elaborazione dal folclore trevigiano e La storia del Barba Zhucon con immagini di Marco Nereo Rotelli che ha avuto la seconda ristampa nel gennaio del 2004. Il 3 aprile 2005 vide le stampe un nuovo libro dello scrittore dal titolo Colloqui con Nino nel quale Zanzotto, con l’aiuto della moglie Marisa, mise insieme un magnifico florilegio che vuol essere esplorazione antropologica, ricerca sentimentale e viaggio nel passato. Il 26 maggio 2008 riceve il premio “IIC Lifetime Achievement Award” «per una vita dedicata alla poesia».In questi anni – dopo avergli riservato numerose pagine saggistiche (tra cui un corposo studio di Al tràgol jért. L’erta strada da strascino apparso su «Il Belli» già nel 1992) e affettive come la postuma Outcasts (Prosa poetica su Cecchinel) – ha in più occasioni designato quale «erede» poetico suo e della grande tradizione del Novecento veneto Luciano Cecchinel, poeta ammirato anche da Cesare Segre come «grande artista, ma anche grande artefice». Nel 2008 Zanzotto è protagonista di un dialogo dal taglio intimista col coetaneo poeta e regista Nelo Risi, da cui è nato il film Possibili rapporti. Due poeti, due voci. Nel febbraio 2009 uscì In questo progresso scorsoio: una conversazione col giornalista coneglianese Marzio Breda, nella quale Zanzotto esprime l’angoscia delle riflessioni sul tempo presente e il suo lucido pensiero di ottantasettenne. Nello stesso anno, in occasione del suo ottantottesimo compleanno, il poeta pubblica Conglomerati, la nuova raccolta poetica di scritti composti tra il 2000 e il 2009, edita nella collana Lo Specchio della Mondadori; in questo libro Zanzotto si confronta ancora con una realtà in continuo mutamento culturale e antropologico, secondo la poetica dell’intervista con Breda. Per il suo novantesimo compleanno (con molti festeggiamenti, dalla Regione Veneto all’Università Cattolica di Milano) sono usciti molti libri, tra cui due con inediti: Ascoltando dal prato. Divagazioni e ricordi, a cura di Giovanna Ioli da Interlinea e il numero 46 della rivista “Autografo” dal titolo I novanta di Zanzotto. Studi, incontri, lettere, immagini. Il poeta muore la mattina del 18 ottobre 2011 presso l’ospedale di Conegliano a causa di complicazioni respiratorie, una settimana dopo aver compiuto 90 anni. Il funerale è stato celebrato il 21 ottobre al duomo di Pieve di Soligo da monsignor Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto; dopo la celebrazione gli hanno reso omaggio tre orazioni del giornalista Marzio Breda e dei critici Stefano Dal Bianco (con una laudatio funebre) e Stefano Agosti. Eventi dedicati ad Andrea Zanzotto La Regione del Veneto e CINIT– Cineforum Italiano presentano “Omaggio ad Andrea Zanzotto” un ciclo di appuntamenti curati da Neda Furlan e dedicati al grande poeta veneto. Tra gli eventi della rassegna: Ritratti. Andrea Zanzotto, di Carlo Mazzacurati e Marco Paolini. Convegno “Omaggio ad Andrea Zanzotto”, 25-26 ottobre 2012, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi. Convegno “Andrea Zanzotto, la natura, l’idioma”, 10-12 ottobre 2014, Pieve di Soligo. Convegno "Nel «melograno di lingue», Plurilinguismo e traduzione in Andrea Zanzotto", novembre 2014, Nancy. = Maggio 2007 = La rivista bimestrale di letteratura “l’immaginazione” diretta da Anna Grazia D’Oria ha dedicato il n. 230 interamente ad Andrea Zanzotto. Il fascicolo monografico raccoglie i seguenti testi: La poetica La poetica di Andrea Zanzotto si può ricostruire attraverso la lettura delle sue opere che segnano le tappe di un percorso espressivo praticato all’interno dell’esperienza di una poesia difficile e tuttora in fieri, esulante dai classici protocolli interpretativi e dalla normale divisione in periodi. Come dice il critico Stefano Agosti, nel saggio introduttivo all’opera complessiva delle Poesie di Andrea Zanzotto avvenuta in prima edizione nel settembre del 1999 e in seconda edizione nel 2003 da parte di Mondadori ne “I Meridiani”: il punto non si può fare proprio perché l’oggetto– nelle sue configurazioni cronologicamente più prossime, ed esemplificabili perciò in Meteo (1996) e negli specimini di un nuovo volume tuttora in fieri, qui presentati sotto la titolazione provvisoria e generica di Inediti, sembra volto ad attestare una nuova posizione dell’operatore nei riguardi di quella che, molto comprensivamente e tuttora centralmente, possiamo denominare la sua esperienza di linguaggio. La formazione La formazione di Zanzotto non è facile da individuare perché diversa rispetto alle correnti e ai gruppi che hanno caratterizzato il nostro Novecento. La sua vera scuola furono soprattutto le numerose, intense e disparate letture: da Hölderlin a Rimbaud, da Lorca a Éluard, da Ungaretti ai surrealisti e agli ermetici, per non dimenticare Virgilio ed Orazio, Dante e Petrarca, Molière e Leopardi, Carducci e D’Annunzio, Husserl e la logica matematica. Nel libro-intervista di Marzio Breda, Zanzotto indica come letture fondamentali, negli anni della guerra, Sereni e Rilke, precisamente “Frontiera” del primo e i “Sonetti ad Orfeo” del secondo, nella versione di Giaime Pintor. Egli poi assorbì una infinità di elementi: dall’economia ai mass media, dalla sociologia alla fantascienza, dalla semiologia alla psicanalisi (più Lacan che Freud) e il tutto rimescolato a volte in un linguaggio disteso e piano e altre volte crittografico. Poesia anticorrente Quando furono pubblicati i suoi primi libri (Dietro il paesaggio nel 1951; Vocativo nel 1957), Andrea Zanzotto venne accolto come il più prestigioso della sua generazione e considerato il continuatore della linea ungarettiano-ermetica e inoltre con qualche eco raccolta dal surrealismo francese e dalla poesia spagnola degli anni venti e trenta. Una poesia dunque fortemente anticorrente. Ma in seguito, con gli sviluppi che ebbe la sua produzione, pur confermando la forte propensione verso la piena forma lirica e la dolcezza elegiaca, si è resa insufficiente la precedente collocazione. Poesia della nuova avanguardia Con le IX Egloghe (1962) il suo discorso si modifica e si allarga sia a livello psicologico (viene introdotto un io autobiografico pieno di ansie e interrogativi sul proprio rapporto con la realtà), sia a livello della forma, con un totale ripensamento dei propri mezzi comunicativi. Il linguaggio si sviluppa seguendo procedimenti parzialmente simili al sogno e all’inconscio. Ed è in questo periodo che la poesia di Zanzotto rivela affinità con le esperienze contemporanee della neoavanguardia. La ricerca poetica degli anni sessanta Una ulteriore svolta e accelerazione della poesia di Zanzotto avviene con l’opera La beltà, (1968) dove ogni cosa appare abbandonata a sé stessa e galleggiante in una non-atmosfera. Se nelle IX Egloghe il poeta era ancora dentro al suo paesaggio, ora i suoi oggetti (alberi, fiumi, gregge, luna, neve) sono, se pur presenti, appiattiti e immobili. Il suo linguaggio diventa rarefatto, un ammasso di puri fonemi, balbettii, petèl (il primo linguaggio dei bambini, linguaggio che si ferma ad uno stadio di semincoscienza). Questa rarefazione è dovuta ad un passaggio fondamentale nel percorso poetico di Zanzotto, quello ad una ricerca di conoscenza poetica che non si indirizza più sulla realtà esterna (sul paesaggio) come referente misterioso ma positivo e salvifico in quanto familiare. Davanti alla distruzione dell’autenticità di questa realtà da parte della civiltà dei consumi la ricerca di conoscenza e salvezza per il soggetto si sposta sulla lingua stessa, una lingua ormai irrelata, ma alla quale soltanto il poeta può fare appello, poiché la realtà ormai si riduce ad essa. La posizione più avanzata Sottoelencando alcune tappe intermedie come il monologo-lascito in lingua veneta di Filò (1976), nell’affrontare i testi che documentano la posizione più avanzata di Zanzotto si osserva nella trilogia composta da Il galateo in bosco (1978), Fosfeni (1983) e Idioma (1986) la completa lacerazione fra la natura e la storia e pertanto anche la fine dell’elegia e dell’idillio, tra il paesaggio e il retro del paesaggio. La catastrofe è descritta in tre momenti: nel Galateo vengono analizzati gli eventi esterni (dal “grande macello” della guerra '15-'18 sino alla discontinuità della tradizione metrica), in Fosfeni viene “vissuta” nella lingua e nel linguaggio, in Idioma è raccontata attraverso le testimonianze sulle conseguenze psicologiche e di costume. La funzione del linguaggio La struttura poetica di Zanzotto è basata sulle scelte lessicali, sull’innovazione e deformazione ma soprattutto sulla costruzione del discorso. La sua poesia è prevalentemente autobiografica e cosparsa di profonde riflessioni filosofiche-esistenziali. Il lessico utilizza sia la lingua infantile, sia gli inserti poliglotti creando in molti casi difficoltà di lettura e di decifrazione che generano a volte vera e propria incomunicabilità. La lingua, secondo Zanzotto, è incapace di render conto dei gradi del vissuto, pertanto il poeta deve trovare una linea che divida la coscienza dall’incoscienza. Da qui nasce il tentativo di trovare un’autentica ed originaria dimensione, sia del dire che dell’essere, partendo da un “massiccio patrimonio linguistico” in uno stato di “regressione afasica”. Avviene così che l’opposizione tra afasia e verbalizzazione venga rappresentata o dal vociferare babelico o, ad un altro estremo, dal silenzio. Zanzotto, come scrive in un bel saggio Franco Fortini, non usa strutture metriche codificate, se non quando vuole esibirsi stilisticamente. Più che altro le sue sono pastiche di carattere formale dove prevale il gusto dell’esercizio tecnico. Onorificenze e riconoscimenti Opere In volume * Luoghi e paesaggi, a cura di M. Giancotti, Milano, Bompiani, 2013. Traduzioni a cura di Andrea Zanzotto * Georges Bataille, La letteratura e il male, Milano, Rizzoli, 1973; Milano, SE, 1987 * Georges Bataille, Su Nietzsche, Bologna, Cappelli, 1980; Milano, SE, 1994 Traduzioni straniere delle opere di Andrea Zanzotto * Selected Poetry and Prose of Andrea Zanzotto, edited and translated by Patrick Barron et. al., University of Chicago Press, Chicago (Illinois) 2007 * Selected Poetry of Andrea Zanzotto, edited and translated by Ruth Feldman-Brian Swann, Princeton University Press, Princeton (New Jersey) 1975 * Le Galaté au Bois, traduit de l’italien par Philippe Di Meo, Arcane 17 ("L’Hippogrife"), Nantes, 1986 * Lichtbrechung, mit einem Kommentar von Stefano Agosti, Übersetzung Donatella Capaldi, Ludwig Paulmichi, Peter Waterhouse, Verlag Droschl, Wien-Graz 1987 * Lorna, Kleinod der Hügel. “Lorna, gemma delle colline”, übersetzt und herausgegeben von Helga Böhmer und Gio Batta Bucciol, mit Zeichnungen von Hans Joachim Madaus, Narr ("Italienische Bibliothek, 4"), Tübingen 1990 * Poems by Andrea Zanzotto, Translated from the Italian by Antony Barnett, A-B, Lewes (Canada) 1993 Du Paysage à l’idiome. Anthologie poétique 1951-1986, édition bilingue– edizione bilingue, traduction de l’italien et présentation par Philippe Di Meo, Maurice Nadeau– Unesco ("Collection Unesco d’œuvres représentatives. Série européenne"), 1994 (in quarta copertina passo antologico di Pier Paolo Pasolini) * La Veillée pour le Casanova de Fellini, avec une lettre et quatre dessins de Federico Fellini, Texte français et posface de Philippe Di Meo, Éditions Comp’Act (Collection “Le bois des mots”), Chambéry 1994 Del Paisaje al Idioma. Antología poética, con un “Autorretrato” del autor, seleccion y prólogo de Ernesto Hernández Busto, Universítad Iberoamericana– Artes de México ("Colectión Poesía y Poética"), Colonia Lomas de Santa Fe– Colonia Roma 1996 * Peasant’s Wake for Fellini’s “Casanova” and Other Poems, Edited and Translated by John P. Welle and Ruth Feldman, Drawings by Federico Fellini and Augusto Murer, University of Illinois Press, Urbana and Chicago 1997 * Hääl ja tema vari. La voce e la sua ombra, Itaalia keelest tõlkinud Maarja Kangro. Eesti Keele Sihtasutus, Tallinn 2005. Bibliografia della critica Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Zanzotto




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