Tutte le stazïoni e tutti i porti
videro quella che non è mai stanca
e sotto il nero velo è così bianca,
pallida in viso del pallor dei morti.
Treni in corsa per monti e per radure
la rapiron tuonando e sibilando
nei giorni d’oro, nelle
calde e torbide notti senza stelle:
da treni in corsa vide essa le pure
albe fiorire in cieli ignoti: e quando
s’addormentò sognando
sui cuscini, dal sogno all’improvviso
la scosse un urto, il secco urlar d’un nome
di paese straniero:
e niuno era ad attenderla con riso
di gioja, ed ella non cercò nessuno;
ma, calma, discendendo, il velo nero
ricompose sul volto e sulle chiome.
*
La tristezza di gelo ella conosce
delle stanze d’albergo, ove la gente
passò col suo mistero e il suo pungente
destino a tergo, e le sue sorde angosce:
ove un ignoto visse la sua notte
ultima, forse—e rise e pianse amore
fra baci senza fine,
e l’insonnia spiò fra le cortine,
e l’odio sibilò le rauche e rotte
parole, che di pietra fanno il cuore.
.... Da quale mano il fiore
cadde che or, vizzo, sul tappeto giace?...
Chi morse ieri il candido guanciale?...
.... Non sa, non pensa. È stanca.
Solo vorrebbe riposare in pace.
E scioglie il velo e libera le trecce;
ma fra le trecce v’è una ciocca bianca,
il viso è smorto come il capezzale.
*
Malinconia delle città lontane
ove le sembra d’essere sperduta,
ove ogni cosa agli occhi, al cuore è muta,
voce di folla e voce di campane!...
Malinconia di ferree tettoje
piene di fischi, di fumo, di gente,
di lacrime e di brividi
nella penombra dei tramonti lividi!...
Creature che van verso le gioje
d’una casa o d’un sogno—e il sogno mente,
e un labbro v’è che mente
in quella casa!... Trepide partenze,
singhiozzi e gridi soffocati in gola,
baci, dolore, amore!...
Vana forma fra innumeri parvenze,
va l’Errabonda, e non si volge indietro;
ma quando parla col suo chiuso cuore
si curva, e trema d’esser troppo sola.
*
Oh, fermarsi un momento!... Oh, ritrovare
una casa fedele, un volto amato!...
Ma non può. Dietro a sè tutto ha spezzato.
Ella stessa distrusse il focolare.
E in fondo al cuore seppellì i suoi morti,
e non v’accese lampada a vegliare;
ma fugge; chè una muta
ombra l’incalza, sol da lei veduta.
Cieli acque terre cimiteri ed orti
fuggon dinanzi al suo solingo errare,
fuggono il monte e il mare,
così fuggir potesse anche il ricordo!...
Così strappar da te potessi, o bruna
innominata, il senso
d’ambascia che ti preme, opaco e sordo,
le viscere, se pensi un dolce nido
piccino agli occhi, ma pel cuore immenso,
e in esso, a notte, un dondolìo di cuna....