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L’ignota

L’uomo del camposanto, o Creatura,
distesa ti trovò sull’erba diaccia,
squallida salma senza sepoltura.
 
E non avevi più capo nè braccia:
solo il ventre mostravi allo stupore
dei cippi:—altra di te non era traccia.
 
Non avevi più labbra per l’amore
bugiardo, per la voluttà venduta:
nulla, più nulla: un torso: un arso cuore:
 
un eterno silenzio, o Sconosciuta.
*
Io lo so, chi tu fosti.—In un oscuro
crepuscolo, alla fiamma d’un fanale,
io ti vidi passar rasente un muro,
 
con lenti occhi mal desti e viso male
imbellettato e tutto il corpo sfatto
da una stanchezza che parea mortale.
 
Tentavi con la bocca di scarlatto
un riso di lusinga e di menzogna.
Ed io tremai, dentro il mio cor contratto,
 
per te, soffrendo della tua vergogna.
*
Mai ti raggiunse, o sempre ignuda e sola
fra turpi amplessi e fiati acri di vino,
la pietà d’una tenera parola.
 
Vile sino al torpore, affranta sino
a non distinguer più morte da vita!...
Ma venne uno, nell’ombra, a te vicino.
 
La tua preghiera egli avea forse udita.
Ebbe pietà. Ti soffocò con braccia
di ferro—e la tua forma irrigidita
 
mutilò, fino a sperderne ogni traccia.
*
Ora, o Ignota, pregando io vo che il sozzo
urlo de la plebea folla loquace
s’acqueti intorno al tuo bel corpo mozzo;
 
ora che dormi finalmente in pace,
e il cieco infurïar della tormenta
che turbinando ti travolse, tace;
 
.... e perchè più non gema e più non menta
le divoranti fiamme arser l’impura
bocca—e degli occhi la lusinga lenta
 
e le lacrime occulte, o Creatura!...
*
 
Riposa.—Oh, forse mai, nell’errabonda
tua vita, il sonno a te venne con veli
sì casti e santità così profonda.
 
Senza nome sarai come gli steli
nati domani dal tuo morto cuore
e puri sotto il puro arco dei cieli.
 
Non ti ricorderai del tuo dolore
che per fissar con iridi novelle
il sol che schiude in ogni boccio un fiore,
 
l’ombra che in alto palpita di stelle.

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