Colsi, chino, la bellezza, tutta chiusa in una sfera, dispersa nella bufera aprilina d’una brezza.
Ti sei spenta, fiamma dolce. Ed ora è fredda, ora è amara, l’aria satura del tuo fumo.
Lambisci pure, o luce d’oro, i miei mattini d’ombra. Campisci il cielo del tuo inchiostro chiaro… Quando sparuta alla riviera ti sporgi, s’incorona il mare
Che ho da chiederti, o vita? Quale dono o cambiamento? Sull’albizia il fiore attendo e null’altro. Allora perché questa preghiera
Nuovamente ho assaporato il deliqu… sul tuo busto di dea, sui tuoi sen… sulle tue guance e su ogni tua rel… Vi ho trovato il nulla, l’oltre ch… e che mi culla, in giostra alla lu…
Cosa casca dai cieli torvi tra i queruli canti stinti nei via… Aghi di tedio, rostri di corvi o fini dolori in madidi strali? Chi ora lacrima dall’empireo–
La notte mia trascorro in ebbri stinti sguardi. Il bello ammiro, il dolce male, delle sfumate cose. Il brutto del mio aspetto ignoro.
La roccia non disgrega al colpo della goccia e, pare strano, ma vano è lo scalpello aguzzo sul mio cristallo duro.
E tu, di Minerva ministra, che per trecce infuocate coroni il tuo capo, hai un cuore tra i seni e lo servi al destino?
Parigi, il tonfo d’un sasso, nella tua Senna caduto, pare il cuore. Parigi, terra umana d’umani addii,
Mi trattenga la vita a un richiamo di fronde stormenti e languidi gorgogli in scogli emersi, brillii di salsedine e profumi amari trasportati in un brivido,
Ebbe così albore l’ultimo declino, alzandosi quel fungo velenoso sull’uomo inerme al suo destino. Poi ancora l’ardore indecoroso: il soldato decorato
Fu un istante dal tuo poggiolo. Fu un raggio, emerso da un cumulo di nuvole eburnee. Tu, elevata, a leggere sedevi, a me donata dal Caos benevolo d’un destino.
T’ho amata sul Tevere, torbide acque corsiere, sapendoti perduta. Chissà in quali riviere, nota sconosciuta,
Domani, mia guerra e martirio, linfa del giglio e dell’acanto, sarai rugiada nel mattino, goccia tenera, in sè racchiusa, più resiliente e gracile struttura