Scuote il vento i sonagli dei rami… Culla i nidi gorgoglianti di vita. La rondinella ch’impara a volare, tra le ali porta, trepido, il cuor…
Parigi, il tonfo d’un sasso, nella tua Senna caduto, pare il cuore. Parigi, terra umana d’umani addii,
L’insonnia sopisco col dolce quieto vino. Già più non ho parole nel mio cuore stanco. Allo sguardo ogni cosa
Ti sei spenta, fiamma dolce. Ed ora è fredda, ora è amara, l’aria satura del tuo fumo.
L’uomo che a me porge la sua mela appare agli altri il Diavolo tenta… ma occhi non ha di tentazione. Ci accomuna un’inquietudine serena…
La roccia non disgrega al colpo della goccia e, pare strano, ma vano è lo scalpello aguzzo sul mio cristallo duro.
Parigi, d’antichi Lutezia, triste suono della calma Senna al chiaroscuro dei boulevards, alcova di raminghi e borghesi, non sei che terra di uomini.
Che ho da chiederti, o vita? Quale dono o cambiamento? Sull’albizia il fiore attendo e null’altro. Allora perché questa preghiera
Svanì rapido col suo mistero. Era il baleno, l’istante del bocciolo dischiuso, aperto e già concluso nel suo profumo aitante.
Cosa casca dai cieli torvi tra i queruli canti stinti nei via… Aghi di tedio, rostri di corvi o fini dolori in madidi strali? Chi ora lacrima dall’empireo–
T’ho amata sul Tevere, torbide acque corsiere, sapendoti perduta. Chissà in quali riviere, nota sconosciuta,
Guardo le strade ricolme di gente, o me ferito da sentenze innocue. Ascolto d’esse l’infelice niente sparso per sillabe confuse e roche… E sento il cuore, spento di speran…
Giaccio nell’inerzia che Dio igno… al mezzodì, fermo al cencio di sol… scagliato sulla marea irta e incre… che balza sul picco, punge ed irro… la rena e la ghiaia di salsedine.
Ramingo per lidi evanescenti, andavo, intriso di libertà scadent… presso uno sciabordio di vetro, fuggendo dai cementi informi nel meriggio d’un dì mortuario.
Chissà se la volontà s’incrini all’impotenza del volere dinnanzi al fatto necessario, o se l’atto sempre sia contrario al caotico destino.