T’ho amata sul Tevere, torbide acque corsiere, sapendoti perduta. Chissà in quali riviere, nota sconosciuta,
La roccia non disgrega al colpo della goccia e, pare strano, ma vano è lo scalpello aguzzo sul mio cristallo duro.
Svanì rapido col suo mistero. Era il baleno, l’istante del bocciolo dischiuso, aperto e già concluso nel suo profumo aitante.
Ombra notturna, lugubre forma, luce che sei, sospesa, accogli gli occhi miei, dai sogni ormai perduti tormentati, in questa veglia buia!
Fu un istante dal tuo poggiolo. Fu un raggio, emerso da un cumulo di nuvole eburnee. Tu, elevata, a leggere sedevi, a me donata dal Caos benevolo d’un destino.
La notte mia trascorro in ebbri stinti sguardi. Il bello ammiro, il dolce male, delle sfumate cose. Il brutto del mio aspetto ignoro.
Nuovamente ho assaporato il deliqu… sul tuo busto di dea, sui tuoi sen… sulle tue guance e su ogni tua rel… Vi ho trovato il nulla, l’oltre ch… e che mi culla, in giostra alla lu…
Giaccio nell’inerzia che Dio igno… al mezzodì, fermo al cencio di sol… scagliato sulla marea irta e incre… che balza sul picco, punge ed irro… la rena e la ghiaia di salsedine.
Osserva la terra lacerata, trafitta dai papaveri vermiglio e dall’erba rigogliosa, dalla formica operosa e da tutta la minuzia viva.
Il sole a filo del germoglio gravido, limone appeso, un globo smusso di quarzo citrino. E dietro la quiete
Supino al fianco d’una venere —nel vuoto che succede al culmine— ho perduto la scienza d’esistere. Poco più d’un respiro è valsa questa piena assenza del vivere.
L’insonnia sopisco col dolce quieto vino. Già più non ho parole nel mio cuore stanco. Allo sguardo ogni cosa
O mosca nera, nel calice caduta, morta ebbra del mio vino, tomba più dolce non puoi bramare.
E tu, di Minerva ministra, che per trecce infuocate coroni il tuo capo, hai un cuore tra i seni e lo servi al destino?
Cosa casca dai cieli torvi tra i queruli canti stinti nei via… Aghi di tedio, rostri di corvi o fini dolori in madidi strali? Chi ora lacrima dall’empireo–