#ScrittoriItaliani
Amore mio, nei vapori di un bar all’alba, amore mio che inverno lungo e che brivido attenderti! Qu… dove il marmo nel sangue è gelo, e… di rifresco anche l’occhio, ora ne…
Faceva freddo. Il vento mi tagliava le dita. Ero senza fiato. Non ero stato mai più contento.
Imbrogliare le carte, far perdere la partita. È il compito del poeta? Lo scopo della sua vita.
L’occasione era bella. Volli sperare anch’io. Puntai in alto. Una stella o l’occhio (il gelo) di Dio?
Non uccidete il mare, la libellula, il vento. Non soffocate il lamento (il canto!) del lamantino. Il galagone, il pino:
Sono tornato là dove non ero mai stato. Nulla, da come non fu, è mutato. Sul tavolo (sull’incerato a quadretti) ammezzato
Ah, mio dio, Mio Dio, perché non esisti? Dio onnipotente, cerca (sfórzati)… almeno di esistere.
Un’idea mi frulla, scema come una rosa. Dopo di noi non c’è nulla. Nemmeno il nulla, che già sarebbe qualcosa.
Hanno rubato Dio. Il cielo è vuoto. Il ladro non è ancora stato (non lo sarà mai) arrestato
Sta forse nel non essere l’immensità di Dio?
Genova mia città intera. Geranio. Polveriera. Genova di ferro e aria, mia lavagna, arenaria. Genova città pulita.
Non è arrivato nessuno. Tutti sono scesi. Uno (l’ultimo) s’è soffermato un attimo, il volto nel lampo
Da sempre me ne sono accorto. La ragione è sempre dalla parte del torto.
Aveva posato la sua lanterna sul prato. Aveva allargato le braccia. Tutto quel sole. Tutto
Quanti se ne sono andati... Quanti. Che cosa resta. Nemmeno il soffio.