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Dal profondo

Nostalgia mi cacciò dalla mia nitida
casa, ove i fiori in snelle coppe odorano.
Ed un guarnello d’operaja indosso
mi mise, e al collo un fazzoletto rosso.
 
E son venuta ove le basse fabbriche
serpi di fumo snodan dai comignoli;
e di cordami e di carbone e d’assi
ingombri son gli spiazzi irti di sassi.
 
Ecco, e respiro il noto odor di polvere
e di tintura, odo la danza ritmica
dei telaj dietro alle finestre nere,
e canti uguali a bibliche preghiere.
 
Fratello, che t’affacci sulla soglia
e assomigli nel sajo a un prence barbaro,
dammi una spola che tra bianchi fili
passi e ripassi con guizzi sottili:
 
e tu, fabbro, che il maglio sull’incudine
batti in cadenza, a domar ferro e bronzo,
e tu, artiere del legno, che la grezza
pianta ti foggi in forme di bellezza:
 
e voi che in alto, sovra palchi aerei,
con acciajo e cemento enormi gabbie
costruite, ove un giorno i ricchi schiavi
si chiuderan con sapïenti chiavi:
 
e voi del marmo, e voi del fulvo cuojo
mastri, ch’io viva nel compatto fremito
del vostro sforzo, fra di voi perduta,
o asservitori di materia bruta.
 
Nè mi chiedete il nome mio: sui ciottoli
della strada mi cadde, ed a raccoglierlo
io non mi volsi: il nome io l’ho nel viso,
e nell’ardor del mio selvaggio riso.
 
Camminerò con voi, presa nell’impeto
della corrente rapinosa, in gaudio:
canterò per la vostra anima oscura
il ditirambo della forza pura.
 
E se materia sull’artier si vendica,
canterò che la morte è necessaria:
l’opera all’uomo e l’uomo all’opra sia
come l’anima al corpo.—E così sia.—
 
Basti alla nostra sete un sorso d’acqua,
ed alla fame un pane, e al sangue un palpito
di giovinezza; e dai possenti amori
balzino razze di dominatori.
 
E il Sol su noi, dentro di noi, magnifico
dator di grazia, che pei Puri sfolgori:
e se gioja ne investa dal profondo,
piccolo sia pel mio peana il mondo.

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