Giovanni Giudici

Gli stracci e la santita

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Credo che fosse la sola scappatoia – travestirsi.
Perché, nessun dubbio, non ero dei loro.
Identificabile a vista, basta
Che passassi per via – eccolo
Dicevano subito.
Esposto stefano protocristiano
E lì i sassi a portata di mano.
Non mancavano stracci di cui camuffarmi
Non propriamente di stoffa – smorfie occhi bassi
Parole prese a prestito da libri e labbra
E gattamorta e rumori scurrili e tutto
Il turpiloquio dei modi d’esistere.
Timorato bambino che ognora paventavo
Carabinieri ammanettanti il mio caro.
Gli stracci mi andavano larghi però
E quasi sempre la mia fatica sprecata:
Vieppiù i lanzi infierivano
Alla maldestra mascherata.
Io – braccato tarcisio in corsa ai suoi misteri.
A chi vorresti darla a bere piccioncino?
Ma chi vorresti prendere per il sedere?
Due o tre me li ricordo bene, mi facevano la posta
Sulla punta biforcante due strade
Una piana e diritta e l’altra un viale
Planante giù con platani e una grande ansa.
Due o tre, pensati in faccia – e poi chissà come
Angariati offesi a loro volta
Nel volgere di future storie. Parce
Nobis Domine, tanto più che io stesso
Proprio di lì ho appreso il sopravvivere:
A lapidare Stefano, a acchiappare per la tunica Tarcisio.
Cresciuto negli stracci che mi vennero a pennello
E non parvero più travestimento.
Confortato dalla loro malizia
In più di un’occasione ne fui gaglioffo e contento.
E a questo punto spogliarmene? Chi mai
Penserà a molestare un ometto così grigio
Nell’ordine mentito come di queste strofe?
Rischiarla adesso la santità?
Mio tribunale che mi frughi incerto
Fra essere e diventare – ho un bel dirti
Che non è quel che sembro.

1977

#ScrittoriItaliani da Il ristorante dei morti (1981)

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