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Delle crisalidi

Ma il sesto dì la mia famiglia trovo
dispersa tutta lungo le pareti.
Come le sacre vittime d’un tempo
s’apprestavano degne col digiuno,
i bruchi alunni mondano i precordi,
ricusano la fronda. È giunta l’ora.
Consapevoli quasi del mistero
imminente, s’ammusano l’un l’altro,
lenti volgendo ad ora ad or la testa,
esplorano gli arredi gli scaffali
le cimase gli spigoli, un rifugio
cercando eccelso come gli stiliti.
Cercano in vero il luogo ove celarsi
dai nemici del cielo e della terra;
quale vigilia torpida li attenda
ben sanno e sotto quale spoglia inerte
pendula ignuda, senza la custodia
del bombice di sua seta fasciato;
ché le Diurne mutansi in crisalidi
non difese che dalla forma subdola,
dalla tinta sfuggente, non armate
che di silenzio immobile e d’attesa.
 
Dato è perciò seguire nel mistero
i pellegrini della forma. Eletto
un rifugio sicuro, il bruco intreccia
poche fila in un cumulo, a sostegno,
v’infigge i ganci delle zampe estreme
e s’abbandona capovolto come
l’acrobata al trapezio. Un giorno intero
resta pendulo immoto, in doglia grande,
fin che si fende a sommo e la crisalide
convulsa vibra, si sguaina lenta
dalla spoglia villosa che risale,
s’aggrinza, cade all’ultimo sussulto.
Ogni forma di bruco è dileguata:
la crisalide splende, il nuovo mostro
inquietante ambigüo diverso
da ciò che fu da ciò che dovrà essere!
Pendula, immota, senza membra, fusa
nel bronzo verde maculato d’oro,
cosa rimorta la direste, cosa
d’arte, monile antico dissepolto;
un minuscolo drago vi ricorda
il dorso formidabile di punte,
la maschera d’un satiro v’appare
nel profilo gibboso e bicornuto.
Dove il bruco defunto, la farfalla
apparitura? La Natura, scaltra
nasconditrice, deviò lo sguardo
dell’uomo del ramarro della passera.
Ma la farfalla tutta, se badate
ben sottilmente, appare a parte a parte
in rilievo leggiero: il capo chino
tra l’ali ripiegate come bende,
l’antenne la proboscide le zampe
giustacongiunte al petto. La crisalide
ritrae la farfalla mascherata
come il coperchio egizio ritraeva
le membra della vergine defunta.
 
Ma già– mentre ch’io parlo– i bruchi tutti
sono vòlti in crisalidi. Al soffitto
agli scaffali al dorso dei volumi
famosi, alle cornici delle stampe,
financo – irriverenza – al naso adunco,
alla mascella scarna del Poeta,
ovunque la mia stanza è un scintillare
di pendule crisalidi sopite.
Guardo e sorrido. E un velo di tristezza
mi tiene già gli alunni ripensando
che più non sono e loro schiera bruna
raccolta intorno alle mie carte quando
rinnovavo la selva agropungente
e m’era caro il crepitìo di lime
dei compagni famelici a seguirne
i moti e l’attitudini e ritrarne
col pennello e col verso il divenire.
Oggi tutto è silenzio di clausura,
digiuno, attesa immobile, sgomento
di necropoli tetra. Alle pareti
ogni defunto è un pendulo monile,
ogni monile un’anima che attende
l’ora certa del volo. Ed io mi sono
quel negromante che nel suo palagio
senza fine, in clessidre senza fine,
custodisce gli spiriti captivi
dei trapassati, degli apparituri.
Veramente la mia stanza modesta
è la reggia del non essere più,
del non essere ancora. E qui la vita
sorride alla sorella inconciliabile
e i loro volti fanno un volto solo.
 
Un volto solo. Mai la Morte s’ebbe
più delicato simbolo di Psiche:
psiche ad un tempo anima e farfalla
scolpita sulle stele funerarie
da gli antichi pensosi del prodigio.
Un volto solo...
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