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Ketty

Supini al rezzo ritmico del panka.

I.
 
Sull’altana di cedro, il giorno muore,
giunge dal Tempio un canto or mesto or gaio,
giungono aromi dalla jungla in fiore.
 
Bel fiore del carbone e dell’acciaio
Miss Ketty fuma e zufola giuliva
altoriversa nella sedia a sdraio.
 
Sputa. Nell’arco della sua saliva
m’irroro di freschezza: ha puri i denti,
pura la bocca, pura la genciva.
 
Cerulo-bionda, le mammelle assenti,
ma forte come un giovinetto forte,
vergine folle da gli error prudenti,
 
ma signora di sé della sua sorte
sola giunse a Ceylon da Baltimora
dove un cugino le sarà consorte.
 
Ma prima delle nozze, in tempo ancora
esplora il mondo ignoto che le avanza
e qualche amico esplora che l’esplora.
 
Error prudenti e senza rimembranza:
Ketty zufola e fuma. La virile
franchezza, l’inurbana tracotanza
attira il mio latin sangue gentile.
 
II.
 
Non tocca il sole le pagode snelle
che la notte precipita. Le chiome
delle palme s’ingemmano di stelle.
 
Ora di sogno! E Ketty sogna: "...or come
vivete, se non ricco, al tempo nostro?
È quotato in Italia il vostro nome?
 
Da noi procaccia dollari l’inchiostro...”
“Oro ed alloro!...”– "Dite e traducete
il più bel verso d’un poeta vostro...”
 
Dico e la bocca stridula ripete
in italo-britanno il grido immenso:
“Due cose belle ha il mon... Perché ridete?”.
 
“Non rido. Oimè! Non rido. A tutto penso
che ci dissero ieri i mendicanti
sul grande amore e sul nessun compenso.
 
(Voi non udiste, Voi tra i marmi santi
irridevate i budda millenari,
molestavate i chela e gli elefanti.)
 
Vive in Italia, ignota ai vostri pari,
una casta felice d’infelici
come quei monni astratti e solitari.
 
Sui venti giri non degli edifici
vostri s’accampa quella fede viva,
non su gazzette, come i dentifrici;
 
sete di lucro, gara fuggitiva,
elogio insulso, ghigno degli stolti
più non attinge la beata riva;
 
l’arte è paga di sé, preclusa ai molti,
a quegli data che di lei si muore...”
Ma intender non mi può, benché m’ascolti,
 
la figlia della cifra e del clamore.
 
III.
 
Intender non mi può. Tacitamente
il braccio ignudo premo come zona
ristoratrice, sulla fronte ardente.
 
Gelido è il braccio ch’ella m’abbandona
come cosa non sua. Come una cosa
non sua concede l’agile persona...
 
—"O yes! Ricerco, aduno senza posa
capelli illustri in ordinate carte:
l’Illustrious lòchs collection più famosa.
 
Ciocche illustri in scienza in guerra in arte
corredate di firma o documento,
dalla Patti, a Marconi, a Buonaparte...
 
(mordicchio il braccio, con martirio lento
dal polso percorrendolo all’ascella
a tratti brevi, come uno stromento)
 
e voi potrete assai giovarmi nella
Italia vostra, per commendatizie...”
—"Dischiomerò per Voi l’Italia bella!”
 
“Manca D’Annunzio tra le mie primizie;
vane l’offerte furono e gl’inviti
per tre capelli della sua calvizie...”
 
—"Vi prometto sin d’ora i peli ambiti;
completeremo il codice ammirando:
a maggior gloria degli Stati Uniti...”
 
L’attiro a me (l’audacia superando
per cui va celebrato un cantarino
napolitano, dagli Stati in bando...)
 
Imperterrita indulge al resupino,
al temerario – o Numi! – che l’esplora
tesse gli elogi di quel suo cugino,
 
ma sui confini ben contesi ancora
ben si difende con le mani tozze,
al pugilato esperte... In Baltimora
 
il cugino l’attende a giuste nozze.
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