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Nell’Abazia di San Giuliano

Buon Dio nel quale non credo, buon Dio che non esisti,
(non sono gli oggetti mai visti più cari di quelli che vedo?)
 
Io t’amo! Ché non c’è bisogno di creder in te per amarti
(e forse che credo nell’arti? E forse che credo nel sogno?)
 
Io t’amo, Purissima Fonte che non esisti, e t’anelo!
(Esiste l’azzurro del cielo? Esiste il profilo del monte?)
 
M’accolga l’antica Abazia; è ricca di luci e di suoni.
Mi piacciono i frati; son buoni pel cuore in malinconia.
 
Son buoni. “Non credi? Che importa? Riposati un poco sui banchi.
Su, entra, su, varca la porta. Si accettano tutti gli stanchi.”
 
Vi seggo – la mente suasa – ma come potrebbe sedervi
un tale invitato dai servi e non dal padrone di casa.
 
—"Riposati, o anima sazia! Riposati, piega i ginocchi!
Chissà che il Signore ti tocchi, chissà che ti faccia la grazia.”
 
—"Mi piace il Signore, mi garba il volto che gli avete fatto.
Oh, il Nonno! Lo stesso ritratto! Portava pur egli la barba!”
 
“O Preti, ma è assurdo che dòmini sul tutto inumano ed amorfo
quell’essere antropomorfo che hanno creato gli uomini!”
 
—"E non ragionare! L’indagine è quella che offùscati il lume.
Inchìnati sopra il volume, ma senza voltarne le pagine,
 
o anima senza conforti, e pensa che solo una fede
rivede la vita, rivede il volto dei poveri morti.”
 
—"O Prete, l’amore è un istinto umano. Si spegne alle porte
del Tutto. L’amore e la morte son vani al tomista convinto.”
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