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RISPOSTA DI MARGOT

Caro Renè, non potevo non risponderti.
-M

Caro Renè,
ho ricevuto la tua lettera qualche mese fa e mi ero ripromessa che non ti avrei mai più risposto o cercato, invece eccomi qua.

Sai caro, per  quanto io ti abbia amato e stimato, non riesco ad oltrepassare la tua natura. Come di consuetudine maschile, ti sei preso la briga di inventarmi, di circoscrivermi all’idea di donna eccentrica e sensuale, priva di senno ed a tratti immorale. Tu come molti, mi hai creata ad immagine e somiglianza delle tue fantasie erotiche e recondite, te ne sei sempre fregato di conoscermi davvero, sei rimasto in superficie.

Ricordo tutti i dettagli del nostro amore, rivivo spesso quegli attimi, quando i nostri discorsi scandivano le ore in quella casa... la tua. Era una delle case di gente per bene come te che non si è mai sporcata le mani per costruirsi, che ha sempre trovato tutto già servito. Ricordo che vivevi in un quartiere rinomato per il suo prestigio, lì abitavano professori e avvocati ricchi da generazioni; classisti e maleducati, ignari della loro dipendenza dal basso. Forse non sapevano che senza il “basso” quelle case non l’avrebbero mai avute, nessuno gliele avrebbe costruite, persino il pavimento sarebbe crollato, il cielo avrebbe inondato la città e le piante avrebbero divorato i loro amati vialetti fioriti e ben curati. Tu facevi parte di quella specie, eri uno di loro, non avresti mai potuto capirmi. Io nata e cresciuta nel verde della campagna, tra vacche e spighe, giocando con vasi colmi di acqua e terriccio. Cresciuta divisa a metá tra  l’intenzione di fuggire per urbanizzarmi, e la paura di non poter tornare indietro, di non poter più appartenere alla natura nella sua forma più onesta.

Io ti ho amato durante il mio sviluppo, ero ancora vergine, non sapevo niente di nulla e tu mi hai insegnato la matematica e le lingue antiche; curavi attentamente la mia istruzione come se fosse la tua. Non capivo che forse non era spassionato amore per la conoscenza, forse architettavi la tua grande soddisfazione nell’avermi plasmata, trasformata in una giovane donna colta, medicata dall’ignoranza come si salva un gatto per strada. Mi piaceva attingere alla tua sapienza, era come alimentare di continuo il mio corpo di cibo senza saziarmi mai, avevo la sensazione di poterti leggere come un’enciclopedia ed incamerare subito tutto ció che mi serviva.

Peró sai, ad un certo punto mi rendevo conto che questo per te era una sorta di patto non scritto, tu mi avresti preparata alla vita e io ti avrei fatto sentire magnifico agli occhi di te stesso e del resto.
Era arrivato un punto però, in cui tutti quei libri scritti da uomini che ormai avevo letto ed interiorizzato, mi facevano sentire stupida e priva di personalità. Tutte quelle donne inventate nei libri, godevano di corteggiamenti e gesti cavallereschi, era concesso loro di parlare poco e ridere in maniera aggraziata, le loro piccole ribellioni potevano limitarsi a piangere o rifiutare un uomo sempre sotto l’occhio vigile dei maschi di casa. Da sempre una donna geniale era una strega e una che desiderava amare, una prostituita.

Iniziavo a sentire rabbia, volevo rivendicare quelle vittime della repressione virile, disegnate come ottuse o isteriche, criticate dagli autori stessi, oppresse anche nei romanzi. Io mi dicevo “voglio essere diversa, voglio farcela”; tu Renè, per quanto ti amassi, non mi avresti mai permesso di diventare al di fuori di te. E quella che tu chiami “follia e instabilità”, era semplicemente la mia libertá che chiedeva di uscire, perché ti avevo consentito di prendermi quasi in custodia, di essere tua, mi ero impegnata così tanto ad assomigliarti che avevo spento la magia della mia mente creativa, metafisica. A te piacevo tanto perché sei un uomo razionale, preciso e metodico, per cui ti facevo sentire libero di poter uscire dagli schemi fissi che ti hanno sempre tormentato. Ci divertivamo molto insieme, avevamo ormai progettato un futuro, una bella coppia insomma, tu un professore importante ed io chissà...è certo che sarei sempre apparsa al tuo fianco con un sorriso smagliante ed i capelli sempre in ordine. L’ordine peró lo sai, non fa per me, io amo il chiasso, le teorie su fantasmi e alieni, i film e la poesia caotica.

Non avere dubbi, io ti ho amato davvero in quel momento, perché ero convinta di poter dare più spazio a te che a me stessa, che in fin dei conti andava bene restare ferma con te, che mi sarei evoluta comunque nonostante non lo esternassi. Per questo quando iniziavo ad esprimermi con i tuoi amici, odiavi che mi apprezzassero, non volevi solo proteggermi dalla loro indiscreta sessualizzazione dei miei discorsi, tu volevi che io non ti spodestassi e che rimanessi sempre un passo indietro.

Questo non mi andava più bene, io volevo essere al di fuori, tu non saresti più stato per me il punto attorno cui orbitare, sarei dovuta essere io stessa il mio centro.

Quella sera lo avevo definitivamente realizzato, l’ultima sera che eravamo usciti insieme, la ricorderai bene. Eravamo andati a cena con quattro professori colleghi tuoi, uno accompagnato da sua moglie, altri due divorziati e l’ultimo convinto che solo fosse meglio. La moglie del professore di Geometria, era una donna estremamente affascinante, composta e timida. Aveva parlato poco, solo per elogiare il marito e i viaggi che lui le aveva regalato per i diversi compleanni, non diceva nulla su di lei e su quello che amava fare o pensare. Non le era uscito un pensiero formulato grazie alle sue capacità, era la rappresentazione della devozione fedele. Io ero l’opposto e quella sera non mi ero proprio risparmiata, insultavo la chiesa e l’alta classe, ridevo ironicamente per far capire loro che li trovavo vuoti e scontati. Non mi avevi rivolto la parola, ti limitavi a darmi qualche piccola spinta sotto il tavolo per zittirmi, con scarsi risultati. Una volta tornati a casa avevamo urlato per ore, una catastrofica lite in cui mi avevi persino dato della puttana; mi avevi smontato in un attimo la stima che avevo di te. Li avevo deciso di andare via la mattina dopo e non avrei fatto più ritorno, se non scrivendoti lettere, perché mi mancava in fondo l’uomo amorevole che eri con me dal principio, perché sapevo che non eri cattivo, eri semplicemente programmato per essere così.

Non ti ho scritto per provocarti o per giocare, è che a volte ho il ricordo di ció che di te avevo immaginato, perché forse in fondo anche io ho avuto la presunzione di volerti inventare.
Non ti dirò mai di fuggire insieme e sono in pena per la tua sofferenza e per tua moglie che è solo un ripiego; soffro anch’io la tua assenza, ma sono libera. Magari in un altro universo io e tu siamo simili, magari non ti ho mai lasciato o tu non mi hai mai conosciuta. Però ti posso promettere che ti ho amato nei momenti in cui eri accanto a me nel letto, quando suonavi il pianoforte o mi leggevi il greco per farmelo imparare; quando ti arrabbiavi con me perché bruciavo il caffè o lasciavo la mia roba persino in bagno. Ti ho amato con ammirazione come un’alunna, con affetto come una figlia e con desiderio come un’amante perché la tua bellezza non avrà eguali mai. La magia la conservo e la nutro, continuo a credere che l’universo senza il mistero non sarebbe così meraviglioso e le certezze mi spaventano. Spero che tu prima o poi, pensando a noi possa trovare la forza di liberarti da te stesso che sei l’unico tuo male. Non ti dimenticherò, ma non saprai forse più nulla di me, questa è la nostra ultima comunicazione, lo faccio per il bene di entrambi. Ci lega un magnetismo strano a tratti perverso e inspiegabile, ma non possiamo più essere insieme in questo tempo e spazio.

Ciao Renè, amati e piangi, sentiti più spesso,
non tradirti, non saziarti mai di conoscere,
migliorati e abbellisci tutti i muri di casa.
Scopriti anche lontano dalla fisica, o non farlo se non riesci,
datti una possibilità e cura le tue ferite, chiudi la porta, togli le dita.
Ciao Renè, mi hai cambiata per sempre ma adesso è il momento che sia io a cambiarmi.

—Margot

Scritto mio @nijcoletta

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