Maggio,
sbreccia il glicine
tra crepe di vinaccia,
s’incerchia un tratto di sanguigna
sul muro di limoni.
Sotto una pioggia di felci
il vento fruga tra frustoli di ulivi,
plagati bulbi nell’orto spino
sulla piuma di una capinera.
Tutto fiorisce.
Mi rivesto di nuvole
e di ortensie,
sospesi globi di topazi;
voltizza sul davanzale
—aguzza vespa—
si risvela la libellula sull’acqua
nell’occhio chiuso del pescecane.
La città si piega
—acerbo miglio—
come un fiore di cartapesta.
Non resta che l’ombra,
magro stelo fermo
come un chiodo nella luce.
Thea Matera