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Il gioco del silenzio

Non so se veramente fu vissuto
quel giorno della prima primavera.
Ricordo – o sogno? – un prato di velluto,
ricordo – o sogno? – un cielo che s’annera,
e il tuo sgomento e i lampi e la bufera
livida sul paese sconosciuto...
 
Poi la cascina rustica sul colle
e la corsa e le grida e la massaia
e il rifugio notturno e l’ora folle
e te giuliva come una crestaia,
e l’aurora ed i canti in mezzo all’aia
e il ritorno in un velo di corolle...
 
–Parla! – Salivi per la bella strada
primaverile, tra pescheti rosa,
mandorli bianchi, molli di rugiada...
–Parla! – Tacevi, rigida pensosa
della cosa carpita, della cosa
che accade e non si sa mai come accada...
 
–Parla! – seguivo l’odorosa traccia
della tua gonna... Tutto rivedo
quel tuo sottile corpo di cinedo,
quella tua muta corrugata faccia
che par sogni l’inganno od il congedo
e che piacere a me par che le spiaccia...
 
E ancor mi negasti la tua voce
in treno. Supplicai, chino rimasi
su te, nel rombo ritmico e veloce...
Ti scossi, ti parlai con rudi frasi,
ti feci male, ti percossi quasi,
e ancora mi negasti la tua voce.
 
Giocosa amica, il Tempo vola, invola
ogni promessa. Dissipò coi baci
le tue parole tenere fugaci...
Non quel silenzio. Nel ricordo, sola
restò la bocca che non diè parola,
la bocca che tacendo disse: Taci!...
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