Quando tornai barcollando nel tuo abbraccio di mondo avevo lo scheletro stanco per l’archetipo viaggiare. Mi divorava bramosa,
Bacca di biancospino, lavata dal pianto della pioggia, dove sei nel vibrare di antenne? Sei caduta sulla terra brulla o sei diventata perla?
Quanti veli hai poggiato sui miei mostri interiori, un pomeriggio che vola sulle tue gocce nude, il mio aprire varchi
La notte è passata come passa sempre. Certe generosità di mani non servono più, non sono anzi servite.
C’è un sasso a due ventricoli, ci siamo sedute ai suoi lati lanciando pietruzze come fossero dardi, dove l’onda affonda.
Sola come un papavero, nonostante i bocci intorno, dentro a un vento ostile che ti abbatte un colpo dopo l’altro,
Grazie per le mosche che senza posa ronzano, sul mio sudario vibrandomi i nervi. E per le mie pupille,
Il mio cuscino è mogio: questo tetto è sgraziato. Si è allontanato il mirto. Troppo… Avvampa l’incendio. Intorno. Sono –solamente– salva su una fogl…
Di notte la mia eleganza si spinge tra le vezzose pieghe dell’aria. Ha una tale ferocia la mia bocca da farmi sollevare i calcagni liquidando la distanza
Lei fu per un po’ il mondo intero, fu tutte le ombre scacciate fu sole acchiappato. Ricordo con quale silenzio sapeva portarmi nei campi
Sii gentile, scolpisci il mio ritratto nei luoghi che scopro andando. Ti ospito nella mia casetta,
La mia regina dorme stanca e senza colpa, chiama Tristano! E Tristano ritorna, in una fragile danza,
Bus notturni, piedi gonfi, forbici di abbracci, bocche percosse e poca gloria. Biglietto di rancore
Dov’è che non sei quando posi la tua giubba silenzio… Nelle sillabe dei ritratti fatti di farina e terra che tacciono?
Nel silenzio dell’inverno un legno si spezza. Volano via anche gli uccelli. Io resto ferma. Non è l’odore d’erba fresca