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L’abisso che separa

L’abisso che separa le parole dalle cose,
il cielo dalle case, l’aria dalle maschere,
la pietra dalla statua che contiene
è tale che non so se mi conviene
saltare senza niente che sospenda
la caduta, due ali, un soffio, la mano
di colei che lontana mi saluta
e io non riconosco perché macerata
come le ciliegie sotto spirito.
 
Mia nonna, bei tempi, le faceva
e me le dava di nascosto perché
davano alla testa anche a lei
soprattutto quando le mangiavamo
a digiuno. Sorrideva e l’autunno
nella stanza se ne andava,
con il rosso delle nostre guance
che sembravano come le ciliegie
mature sugli alberi di giugno.
 
Il pavimento lucidato a specchio
le sedie di legno e di tessuto
il tavolo più alto del mio mento
la tovaglia tutta fatta all’uncinetto
le tazzine in vetro, le posate d’argento
i cassetti della credenza che
il mio scetticismo non riusciva ad aprire.
Allora mi sedevo a rileggere una storia
a fumetti che non facevo mai finire.
 
E forse già sapevo che cosa la memoria
avrebbe trattenuto di quello che vedevo
e imparavo a nominare; c’era come un patto
tra la parola detta e il concetto della cosa
il nome della rosa, il volto della nonna
e la collana d’oro che poi ho visto al collo
di mia mamma e poi in un cassetto
che sono riuscito a aprire adesso che
ci arrivo, ma non riesco ancora a unire
 
l’abisso che separa le parole dalle cose...

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