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Sono le otto

Sono le otto, sto
seduto sul cesso; il tempo
è amaro. Il caffè,
invece, è troppo zuccherato:
amore, lo sai
che di cucchiaini me ne
basta uno; come mai
insisti a mettercene tre?
 
Mi lavo i denti e poi mi rado
con un rasoio a una sola lama.
Leggo: made in Egitto
e già immagino la trama
di un giallo che conduce
dal Cairo alla Martesana.
 
Un ragno scende lento dal soffitto
“Vieni qua, caro, che ti faccio
uscire dalla finestra e non
passare dallo scarico del lavandino”.
Di questi atti di pietas mi compiaccio
più di quando schiaccio
tra le mani una zanzara o un moscerino.
 
Quanti minuti ancora occorreranno
per capire che non c’è
più niente da capire come cantavamo
da ragazzi mentre lei
se ne andava con un altro
senza poterle dire ti amo?
Non tanti: tra poco sarà settembre
le luci spente e le scale
staranno immobili fino a Natale.
Rileggeremo Brecht?
 
Sono le otto di sera,
il cielo si è schiarito dopo
un passaggio di nuvole balcaniche.
Poca pioggia, un po’ più freddo,
i fagioli sul fuoco: sarà bello
dal culo fare trombetta
pensando a te, Europa,
e al ghigno ferale di chi ti comanda.
Non ci sono più muri
da far cadere, basta solo alzare
gli occhi su verso il cielo di lavanda
e respirare.
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