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Alb-ero

Sei abituato alla vista d’un posto
a te caro e noto: un paesaggio
urbano con un albero apposto e
con te cresciuto; lì d’estate un raggio
 
non passa, e d’inverno una goccia tosto
para a ombrello; è dei ricordi paggio,
pur se ancora non sai. Poi vien imposto,
senza richiesta, che l’ancoraggio
 
venga rimosso, un vuoto riposto
che non volevi, e pensi: "che coraggio!
Mai più sarà lo stesso! E a qual costo
sto spazio per risparmiare il foraggio?”
 
Guardi il piede monco, resina, esposto il
nascosto, segatura al caldo raggio
che or passa, e il vento sussurra commosso:
“albero ero, e mi ero saggio
 
fatto d’anello in anello; scostavo il
terreno, ma poi era saldo. Or a maggio e
agosto più non spero in un innesto,
che albero ero e lì vivevo e morivo".
 
Non piangi l’ambiente, ma l’affettivo
valore ora assente: un dolor vivo.

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