Ieri, toccavo il cielo con un dito. Non era per superbia, per vanità o altro.
Desideri senza pretese ci han forgiati. Seduti, su un altare di gradini
Sai, mi ricordo una panchina nascosta nella mente mia. Lì mi abbracciavi e tutto intorno a noi
Corrono le biglie, tra i castelli di sabbia e sale e le gabbianelle ora si librano,
Ho visto in faccia la mia follia. L’abominio della frammentazione. L’eco di un essere che non c’è più… In un sogno, la sua disgregazione.
Là dove il calcolo sogna e incontra la bellezza, nasce il genio.
Ho imparato che rivalsa e vendetta non colmano quel vaso vuoto che è il dolore.
Poiché dolcezza e ira sono conseguenza della disobbedienza, e la disobbedienza, dell’ingiustizia
Libertà, diritti, catene, oppressi fardelli e anime “ubriache”.
E fiumi più non odo di gente alcuna. Solo miseria che non vive e spare
Voltati, la stella che ammiravi un tempo non porta più il tuo nome. Il tuo odio l’ha oscurata, l’ingratitudine
Portami il girasole, affinchè io lo trapianti, tra le memorie dimenticate di queste corti d’amanti. Portami l’affetto
Non ci saranno prediche, Né più sermoni, Su ciò che ha afflitto Noi, Uomini nuovi.
Tigre! Tra foreste di mangrovie il tuo sguardo inquieto s’affanna.. Silente.
Ci sono stronzi ovunque: a destra, al centro e a sinistra. Poi, altrove e tra loro, ci sono i fiori che sbocciano. Quando fate il salto...